La capanna dello zio Tom/Capo XIV

XIV. Evangelina

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XIV. Evangelina
Capo XIII Capo XV
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CAPO XIV.


Evangelina.


Il Mississipì! Qual verga magica trasmutò le sponde di questo fiume, dacchè Chateaubriand lo descrisse nella sua prosa poetica, come errante tra foreste immense, tra solitudini inesplorate, tra meraviglie non mai viste di una natura vegetale ed animale?

In breve tempo le bellezze selvaggie, fantastiche di queste scene si tramutarono in una realtà non meno fantastica e splendida. Quale altro fiume del mondo porta all’Oceano sopra il suo seno, le ricchezze, il commercio d’un paese simile a questo paese — paese i cui prodotti abbraccia quanto si trova fra i poli e i tropici? Quell’onde torbide, impetuose, spumeggianti non rendono, direi quasi, imagine di quel turbine vorticoso di affari [p. 145 modifica]commerciali cui dà moto una generazione di uomini la più operosa di quante l’antichità abbia mai conosciuto? Alle tante cose che trasportano non si avessero più oltre a confondere le lacrime, le paure degli oppressi, i so- Il padroncino Giorgio balzò di sella, gli cacciò, con grande affetto le braccia al collo. Capo X.


spiri dei derelitti, le preghiere accusatrici di poveri cuori, ignoranti, ad un Iddio sconosciuto — sconosciuto, muto, invisibile, ma che pure dovrà venire per redimere tutti i poveri della terra!

Li ultimi raggi del tramonto indoravano le acque di questo fiume che [p. 146 modifica]somiglia ad un mare; le lunghe canne da zuccaro, i bruni giganteschi cipressi, donde pendono ghirlande funeree di musco grigiastro, staccano pittorescamente sul fondo dorato; il piroscafo, sopraccarico, proseguiva il suo viaggio. Ingombro di balle di cotone, ivi trasportate da diverse piantagioni, tanto sulla tolda, quanto sui fianchi, somigliava veduto di lontano, ad una vasta massa grigia, quadrata; e noi non dobbiamo faticar poco per ritrovare, tra la moltitudine di passaggieri, l’umile nostro amico Tom, che alla fin fine ci è dato di riconoscere, al secondo ponte tra cumuli di mercanzie.

Sia per effetto delle raccomandazioni confidenziali del signor Shelby, sia per la propria indole sommamente mite e pacifica, Tom era riuscito a cattivarsi, poco a poco, la fiducia dello stesso Haley.

Il mercante, sulle prime, lo sorvegliava strettamente durante il giorno, o fatta la notte, non permetteva che dormisse, se non era incatenato; ma la pazienza rassegnata, l’apparente soddisfazione di Tom, lo consigliarono a dismettere gradatamente di questi rigori; e Tom per qualche tempo potè passeggiare, come meglio gli piacesse, sulla coperta del piroscafo, non da altro vincolato che dalla parola d’onore.

Sempre tranquillo, sempre disposto a prestar servizio, a porger aiuto ai marinai qualunque cosa occorresse, si era procacciato la stima di tutti, e consumava parecchie ore a lavorare non meno sollecito che non solea dimostrarsi nella fattoria del Kentucky.

Quando gli parea di non avere a far nulla, solea ritirarsi, nel ponte superiore, in una nicchia che si era formata tra le balle di cotone, e si applicava a studiar la Bibbia. Ed è appunto in questo luogo che lo ritroviamo.

Per oltre le cento miglia, prima di giungere a Nuova-Orleans, il fiume è più alto del paese che lo circonda, e svolge il tremendo volume delle sue acque tra argini massicci, alti venti piedi. Dalla tolda del piroscafo, come da torreggiante castello, il viaggiatore signoreggia collo sguardo per miglia e miglia tutto quanto il paese all’intorno. Quindi Tom, osservando, nel suo passaggio, una piantagione dopo l’altra, potea formarsi un’idea della vita che gli si preparava.

Vedea di lontano gli schiavi al lavoro; vedea, in molte piantagioni, i loro villaggi formati di capanne disposte in lunghe file, separate dal palazzo e dal giardino del padrone; e mentre quella scena gli si volgea sotto gli occhi, ricordava, nel suo povero cuore, la fattoria nel Kentucky, rallegrata d’un’antica ombrìa; ricordava la casa del padrone, colle sue fresche, spaziose sale, ed ivi presso la sua casetta che sorgeva tra rosai e bignonie. Gli parea di vedere i noti volti de’ suoi compagni, che erano cresciuti seco lui dall’infanzia; vedeva l’operosa sua moglie, tutta attenta [p. 147 modifica]a preparar la cena; udiva le allegre risa de’ suoi figliuoletti che giuocavano insieme, e il pispigliare della fanciullina sorretta sopra il suo ginocchio, e all’improvviso tutto spariva, ed egli vedea nuovamente le canne da znccaro, i cipressi delle piantagioni; udía nuovamente il gemito delle macchine del piroscafo, e tutto gli diceva — ahi! troppo miseramente! — che quella fase di sua esistenza era finita per sempre.

In questo caso voi scrivereste a vostra moglie, inviereste messaggi ai vostri figliuoli; ma Tom non potea scrivere; la posta non esisteva per lui; l’abisso che lo separava dalla sua famiglia non poteva essere superato da una parola amichevole, da un cenno convenuto.

Dobbiam dunque meravigliarci se alcune lacrime cadono sulle pagine della sua Bibbia, che ha deposta sopra una balla di cotone, mentre il suo dito paziente, percorrendo di parola in parola, lo aiuta a rintracciarne le promesse? Tom, essendosi messo assai tardi a studiare, non sapea leggere correntemente, e durava fatica a passare da un versetto all’altro. Buon per lui, che il libro su cui medita, non perde punto ad esser letto lentamente, diresti anzi che ciascuna delle sue parole voglia, non altrimenti che verga di oro, essere pesata a parte, acciò il lettore sia in grado di apprezzarla al vero. Seguiamolo per un momento, mentre accenna col dito parola per parola e le pronuncia sommessamente:

— «Il... vostro... cuore... non... si... turbi. Nella... casa... del... padre... mio... sono... parecchie... sedi.... Io.... vado... a... prepararne... una... per... voi....»

Cicerone, quando pose sotterra la sua bella ed unica figliuola, avea il cuore pieno di un ben giusto dolore, come quello del povero Tom — forse non più angustiato — perchè entrambi non erano che uomini; ma Cicerone non potea fermarsi su parole così sublimi di speranza, non potea comprendere una tale riunione di una vita futura — e se l’avesse conosciuta, probabilmente non vi avrebbe creduto — si sarebbe imbrogliato il cervello in mille dubbii sull’autenticita del manoscritto, sull’esattezza della traduzione. Ma, per il povero Tom, ciò che ivi stava scritto era così evidente, così divino, che il dubbio non potea entrare nella sua semplice intelligenza. Ciò deve esser vero; perchè, altrimenti, come potrebbe vivere?

La Bibbia di Tom non avea note, non richiami in margine ricavati da dotti commentatori, ma era stata abbellita da certi segni convenzionali di sua propria invenzione, e che lo aiutavano meglio che non avrebbero potuto farlo le più dotte elucubrazioni. Era uso farsi leggere la Bibbia dai figliuoli del padrone, specialmente dal giovinetto Giorgio; e mentre essi leggevano, Tom solea segnare con un grosso tratto di matita o di penna que’ brani che lusingavano particolarmente il suo orecchio o commovean meglio il suo cuore. Quindi la sua Bibbia era piena, da un capo all’altro, [p. 148 modifica]di un’immensa varietà di segni e di geroglifici; talchè d’un colpo d’occhio, potea egli riconoscere i suoi brani prediletti, senza dover percorrere i versetti intermedii. Ognuno di que’ segni gli ricordava una scena, una gioia della sua passata esistenza; quella Bibbia era per lui quanto gli rimanea di vita, promessa unica dell’avvenire.

Trovavasi, fra i passaggeri, un giovine signore, di famiglia ricca ed onorata, residente in Nuova-Orleans, nominato S. Clare. Avea seco una figliuoletta dai cinque ai sei anni di età, con una signora che parea sua parente e incaricata specialmente di sorvegliarla.

Tom avea spesso notata la fanciulla — perchè la era una di quelle creature, ardenti, irrequiete che, come un raggio di sole od una brezza di estate, non si possono tener ferme; una di quelle creaturine che, vedute una volta, non si possono facilmente dimenticare.

La sua forma era un tipo perfetto di bellezza infantile, senza quelle grossezze ordinarie che ne guastano i lineamenti. Vi era quella grazia aerea, indefinita che suolsi attribuire ad una finzione allegorica. Il suo volto era notevole, non tanto per una perfetta bellezza di linee, quanto per una singolare espressione di soavità malinconica che commovea l’anima di chi la guardava, sia fossero persone culte o ignoranti, senza che essi ne potessero sapere il come. Il taglio della sua testolina, la mossa del suo collo, l’atteggiarsi della persona aveano una nobiltà tutta propria: i suoi lunghi capelli dorati le ondeggiavano, come aurea nuvoletta, intorno al volto; lunghee ricche ciglia ombreggiavano le sue pupille soavi e penetranti — tutto la facea distinguere dagli altri ragazzi, e le attirava li sguardi dell’universale, mentre essa saltellava qua e là sulla tolda del piroscafo. Tuttavia non si potea dire che essa fosse una ragazza d’indole grave e malinconica; che anzi una immensa gaiezza parea sorvolasse continuamente intorno all’infantile suo volto, alla graziosa sua sembianza, come un’ombra tremolante di frondi in estate. Ella era sempre in movimento; sempre con un lieve sorriso sopra il rosato suo labbro; e saltellando cantava come assorta in una felice visione. Suo padre e il femminino suo custode eran sempre occupati in tenerle dietro; ma quando già stavano per raggiungerla, ella sfuggìa loro leggerissima, come una nube di estate. Correva a suo talento da un capo all’altro il piroscafo senza che una parola di rimprovero tentasse rattenerla. Vestita sempre di bianco, traversava come un’ombra da un posto all’altro, senza che ne contraesse macchia alcuna; e non vi era angolo del secondo o del primo ponte, dove ella non comparisse, quasi aerea sembianza fantastica, per esaminare ogni cosa con quel suo sguardo che affascinava.

Il fochista, sollevando talvolta gli occhi dal faticoso suo lavoro, incontrava li occhi della fanciulletta che guardavano con meraviglia la [p. 149 modifica]grandezza dell’ardente fornace, e affisavansi quindi sovr’esso con un sentimento di pietà e di paura per i pericoli tremendi cui parea esposto. Il timoniere sorrideva alla graziosa testolina che talvolta si sporgea dalla finestruola della sua cameretta, e di subito scompariva. Cento volte al giorno le aspre voci de’ marinai la benedivano, e le ruvide loro faccie si rallegravano con sorriso inusitato mentre ella passava; e quando ignara si avventurava a qualche passaggio pericoloso, le loro callose mani stendeansi sollecite per salvarla, e spianarle la via.

Tom, che avea l’indole mite, sensitiva della sua razza, inclinata ad amare i fanciulli, vegliava su quella creaturina con un’affezione sempre crescente. Talvolta gli sembrava cosa divina, e quando intravedeva quella bionda testina che si sporgeva dietro una balla di cotone, quelli occhi azzurri che furtivamente il sogguardavano, la credea quasi uno di quelli angioletti di cui parla il Testamento Nuovo.

Spessissimo essa si aggirava intorno al luogo dove giacea incatenata la merce d’uomini e donne appartenenti ad Haley. Si gettava in mezzo ad essi, li osservava con espressione di accurata sollecitudine; talvolta colla sua mano delicata sollevava le loro catene, e poi, gettando un profondo sospiro, si allontanava. Talvolta apparve improvvisamente fra di loro, colle manine piene di paste dolci e di frutta, li distribuiva allegramente ad essi, e di bel nuovo scompariva.

Tom osservò a lungo la fanciullina prima che si avventurasse ad appicar discorso con lei. Conoscea mille modi di invitare, di amicarsi i ragazzi, e risolvette di giovarsene. Sapeva intagliare panierini con nocciuoli di ciriege, volti grotteschi con noci di America, ed era un vero Pane per formar zampogne di ogni foggia, di ogni dimensione. Le sue tasche eran piene di mille ninnoli, che egli altra volta adoperava per divertire i figliuoletti del padrone, ed ora li metteva in mostra con prudenza ed economia commendevole, uno ad uno, come preliminari di alleanza.

La fanciullina era restìa; e tutto che inclinata ad immischiarsi in cose che le garbassero, non era facile addomesticarla. Sulle prime, appollaiata, come un canarino, su qualche cassa, presso Tom, stava attenta a vederlo lavorare; e li accettava dalla sua mano, non senza una specie di titubanza. Ma a poco andare, diventarono amiconi.

— «Come vi chiamate, damigella?» chiese finalmente Tom, quando giudicò non isconveniente muoverle tal domanda.

— «Evangelina Saint Clare — rispose la fanciullina — sebbene papà ed ogni altro mi chiamino Eva. E voi come vi chiamate?»

— «Il mio nome è Tom; in addietro, nel Kentucky, i fanciulli solean chiamarmi Zio Tom.»

— «Ebbene, vi chiamerò anch’io Zio Tom, perchè, come vedete, vi voglio bene — disse Eva. — Così, dove andate, Zio Tom?»

[p. 150 modifica]— «Nol so, damigella Eva.»

— «Nol sapete?»

— «No. Sarò venduto a qualcuno. Non so a chi.»

— «Mio papà potrebbe comprarvi — soggiunse Eva vivacemente; — e se vi compera, avrete buon tempo. Di quest’oggi voglio pregarnelo.»

— «Ve ne ringrazio, buona damigella!» disse Tom.

Il piroscafo si fermò ad una piccola stazione per provvedersi di legna, ed Eva, vedendo suo padre che la chiamava, gli corse incontro saltellando. Tom si levò in piedi per offrire il suo aiuto a coloro che caricavano le legna, e ben presto si trovò all’opera.

Eva e suo padre stavano appoggiati al parapetto, per vedere come il piroscafo prendea le mosse; la ruota avea già fatto due o tre giri nell’acqua, quando per una scossa repentina, la fanciulla perdè l’equilibrio e cadde nell’acqua. Il padre, mal giudicando ció che si facesse, stava per gittarsele addietro; ma fu rattenuto a tergo da un viaggiatore, il quale si accorse che altri avea prestato un aiuto più efficace alla fanciulletta.

Tom stava appunto nel piano secondo, sotto di lei, quando ella cadde; le vide fare un tonfo nell’acqua, sprofondarvisi e in un subito le fu dietro. Robusto, tarchiato, come era, gli era facile tenersi a gala, finchè, di lì a un momento, la fanciulla venne alla superficie dell’acqua, la prese tra le braccia, e nuotando col dolce peso sino al fianco del piroscafo, la porse a cento mani, che tutte, al tempo stesso, quasi avessero appartenuto a un solo uomo, si stesero per riceverla. Di lì a pochi momenti suo padre la trasportava, tutta gocciolante acqua e svenuta, nella camera riservata alle donne, dove, come avviene in casi consimili, sorse tra loro tal gara d’affettuose cure, da impedirne, anzichè, accelerarne, i mezzi di aiutarla efficacemente.

Al domani, sul tramontare d’un giorno caldissimo, il piroscafo approdava in vicinanza di Nuova Orleans. A bordo, tutto era in moto; i viaggiatori, nelle loro cellette, raccoglievano i rispettivi fardelli e si preparavano a calare in terra. L’equipaggio s’affaccendava a metter in sesto, a pulire ogni cosa, per preparare al piroscafo un’entrata trionfante, una grande entrée.

Il nostro amico Tom, seduto sul ponte inferiore, colle braccia conserte al petto, volgea gli occhi, tratto tratto, ansiosamente, ad un gruppo di persone che stavan sull’altra parte del piroscafo.

Vi era la bella Evangelina, un poco più pallida del giorno prima, ma senza mostrar traccia del sinistro che l’avea colta. Le stava presso un giovane di grazioso aspetto, di persona ben conformata, mezzo sdraiato con non curanza sopra una balla di cotone, con un grosso portafoglio spiegato sotto gli occhi; giovane che, a primo sguardo, ti si palesava per [p. 151 modifica]il padre di Eva. Avea la stessa nobiltà nel carattere grazioso della testa, lo stesso grande occhio azzurro, la stessa capigliatura bruno-dorata; eppure l’espressione del volto era diversa affatto. Quel grande occhio azzurro, luminoso, sebbene per forma e colore somigliasse perfettamente a quello di Eva, non ne avea l’espressione profonda, misteriosa; era bello, altero, splendido, ma di una luce terrena affatto: la sua bocca, ben conformata, avea un sorriso disdegnoso, talvolta sardonico, mentre un’apparenza di superiorità naturale, non priva di grazia, si palesava nel leggiadro e dignitoso suo portamento. Con aria di non curanza, con un umore tra il comico e il disdegnoso, stava ascoltando Haley, che gli andava sciorinando, con una volubilità di parole, i pregi dell’articolo che volea vendergli.

— «Tutte le virtù morali e cristiane stan dunque raccolte in quel portafoglio di marocchino nero! — diss’egli ad Haley, quando il mercante ebbe finito di parlare. — Or bene, ditemi alle corte quanto volete della vostra merce, e siate discreto.»

— «Davvero — disse Haley — se io domandassi mille trecento dollari per quello schiavo, non farei che indennizzarmi delle spese — Non intendo di guadagnarvi.»

— «Povero diavolaccio! — disse il giovin signore gettandogli una occhiata di burlevole compassione; — ma io suppongo che me lo lasciate a sì vil prezzo per un riguardo speciale verso di me.»

— «Sicuramente, pare che quella damigella ne sia invaghita ed è ben naturale.»

— «Oh certamente; imploro la vostra benevolenza, amico mio. Ora, a nome della carità cristiana, che ribasso fareste alla vostra dimanda, per obbligare quella damigella che ne è invaghita?»

— «Esaminatelo attentamente — disse il mercante; — osservate quei fianchi, quel petto largo, que’ muscoli da cavallo. Guardate che testa! Quella fronte alta, spaziosa, lo dice un negro intelligente, acconcio a tutto: Io vi posi ben mente. Ora un negro così ben fabbricato, sia pure uno sciocco, ha un valore considerevole, ove altro non fosse, per la sua mole; ma, tenuto conto delle sue facoltà, e posso dimostrarvi che non sono comuni, acquista un pregio ben più alto. Uno schiavo come questo, sa governare a meraviglia qualunque fattoria del padrone; ha un ingegno speciale per il maneggio degli affari.»

— «Male, male, malissimo; sa troppe cose! — disse il giovin signore, sempre collo stesso beffardo sorriso sul labbro, — Non farà mai nulla di bene a questo mondo. I negri di cotal latta scappan sempre, ci rubano i cavalli e mettono a scompiglio ogni cosa. Credo che, per le sue doti intellettuali, vi contenterete di duecento ducati.»

[p. 152 modifica]— «Dite benissimo; ma dovete tener conto dell’indole di Tom; potrei mostrarvi le raccomandazioni del suo padrone e di altri per convincervi a prova che non avete mai veduto una creatura più buona, più umile, più religiosa. Nel suo paese era stato soprannominato il predicatore.»

— «Potrò crearlo cappellano di casa — disse il giovane seccamente. — È questa un’idea felice. La religione in casa mia è un articolo un po’ scarso.»

— «Ora voi scherzate.»

— «Come lo sapete? Non me lo dichiarate predicatore? È stato esaminato da qualche sinodo o consiglio? Or su, mostratemene i certificati.»

Se il mercante non fosse stato ben certo, leggendo negli occhi allegri del giovane, che, alla fin fine avrebbe trovato il suo conto, si sarebbe stancato della celia. Si trasse di tasca un grosso portafoglio bisunto, lo depose sopra una balla di cotone, e cominciò a meditare su certe carte, mentre il giovane continuava a esaminarlo con aria d’incuranza e di disprezzo.

— «Papà, compralo! non importa la somma che può costarti! — gli susurrò Eva dolcemente all’orecchio, saltando sopra una balla e gittando un braccio intorno al collo del padre. — So che tu hai denaro bastante. Io lo desidero.»

— «E a che fine, gattina mia? vuoi servirtene come di un fantoccio o di cavallo di legno?»

— «Voglio farne un uomo felice.»

— «È un motivo ben originale.»

E qui il mercante presentò un certificato sottoscritto dal signor Shelby, che il giovane prese colla punta delle sue lunghe dita, guardandolo con aria d’indifferenza.

— «È scrittura da signore — diss’egli — redatto a dovere. Ma io non sono troppo sicuro, appunto per il suo ardore religioso — soggiunse egli, gittandogli un’occhiata significante; — il paese ingombro di bianchi religiosissimi; i candidati alle elezioni son tutti religiosissimi; gli affari si maneggiano con tanta religione nello Stato e nella Chiesa, che vi è pericolo di essere gabbato ad ogni momento dal tuo vicino. Non so se anche la religione sia posta in vendita sopra il mercato; non ho letto gli ultimi giornali per vedere quanto ella si vende. Ora quante centinaia di dollari chiedete voi per la religione di Tom?»

— «Voi potete scherzare come vi piace — disse il mercante; — ma, alla fin fine, non parlo senza criterio. Bisogna distinguere in fatto di religione. In alcuni vi è dell’ipocrisia; vi sono persone che accorrono alle adunanze, cantano, sermoneggiano; ma in costoro — sien bianchi, sien neri — non vi è nulla di buono; ma ve n’è un’altra religione, di [p. 153 modifica]cui spesso fui testimonio; religione che rende miti, onesti, ubbidienti gli schiavi, per modo che non oserebbero far cosa, dir parola che non credan buona, e voi leggeste in questa lettera ciò che dice di Tom l’antico suo padrone.»

— «Ebbene — disse il giovane, traendo dal portafoglio alcuni biglietti di banca; — se voi potete assicurarmi che posso comperar realmente questo genere di religione, e che sarà posta per conto mio nel libro di colà su, io vi aggiungerò qualche cosa. Che ne dite?»

— «Veramente io non posso assicurarmene — rispose il mercante. — Credo che ciascuno avrà un conto suo proprio, e non potrà avvantaggiarsi dei meriti altrui.»

— «In questo caso, è ben rincrescevole pagar tanto per la religione di un negro, e non poterla trafficare in un paese dove è più necessaria — disse il giovane, che avea fatto un piccolo involto delle cambiali, mentre parlava. — Ecco il vostro denaro, mio buon vecchio» soggiunse egli porgendo l’involto al mercante.

— «Benissimo» disse Haley raggiante di gioia; e trattosi di saccoccia un antico calamaio, cominciò a stendere un contratto di vendita, che porse, di lì a pochi momenti, al giovine signore.

— «Ora vorrei sapere — disse questi, gittato appena uno sguardo sopra la carta — vorrei sapere, se si trattasse di far l’inventario della mia persona, parte a parte, quale potrebbe esserne il prezzo relativo; tanto per la forma della testa, tanto per le braccia, tanto per le gambe, tanto per l’educazione, tanto per il sapere, tanto per l’ingegno, tanto per l’onestà, tanto per la religione! Se mal non mi appongo, questo ultimo articolo non porterebbe un gran prezzo. Ma vieni, Eva — soggiunse egli; e prendendo la mano della sua figliuola, attraversò il bordo, e ponendo scherzevolmente la punta del dito sotto il mento di Tom, gli disse con buon umore: — guarda su, Tom; eccoti il tuo nuovo padrone.»

Tom levò gli occhi. Non si poteva fissar lo sguardo in quel volto bello, allegro, giovanile senza che il cuore se ne commovesse; e gli occhi di Tom s’inumidirono, mentre disse con tenerezza; — Il Signore vi benedica, padrone mio!

— «Spero che sí; come ti chiami? Tom? Sai tu condurre i cavalli?»

— «Ne ho sempre maneggiato — rispose Tom. Il padrone Shelby solea allevarne.»

— «Ebbene, ho intenzione di farti mio cocchiere, a patto che non ti ubbriachi più di una volta per settimana, tranne i casi straordinari.»

Tom lo guardò con sorpresa, mortificato anzi che no, e soggiunse: — non mi ubbriaco mai, padrone.»

— «Questa istoriella l’udii altra volta; vedremo: sarebbe ottima [p. 154 modifica]raccomandazione sotto tutti i rapporti, se la è così. Allegro, figliuol mio — soggiunse egli con buon umore, vedendo che Tom taceva rammaricato; — io non dubito della tua buona condotta.»

— «Potete esserne certo, padrone» disse Tom.

— «E avrai buon tempo! — disse Eva. — Papà è buonissimo con tutti; gli piace celiare.»

— «Papà ti è molto obbligato per questa raccomandazione» disse Saint-Clare, sorridendo; e volgendosi sulle calcagna, si allontanò.