Parte I

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Personaggi Parte II
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PARTE PRIMA.

SCENA PRIMA1.

Orazio di casa, cacciato da quattro che poi affiggono su la porta un cartello, e partono2

Orazio. Piano, piano, signori,

Abbiate compassione
D’un pover galantuomo.
In camiscia restar sopra la strada

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Degg’io3 con questo freddo4?

Cotanta crudeltade in voi non credo5.
Andate alla malora.
Ecco dove alla fin m’hanno ridotto
Il giuoco rio, la crapula, i bagordi6.
Ma che dirà mia moglie
Quando questo saprà? Pur troppo anch’essa
Con le sue tante mode e tante gale
Fu in gran parte cagion di questo male.
Ma non vorrei al certo
Ch’ella mi ritrovasse in questo stato;
Vuò batter da Cocchina mia sorella.
È ver che fuor di casa
Per cagion di mia moglie io la cacciai,
E che le7 consumai
Quasi tutta la dote,
Ma pur trovarla io spero,
Per la forza del sangue,
Ancor pietosa ad un fratei che langue.
Ehi di casa. Cecchina.

SCENA II.

Cecchina al balcone e detto.

Cecchina. Siete voi, fratel mio8?

Orazio. Sì, sorella, son io.
Cecchina. In camiscia? perchè?
Orazio.   La mia disgrazia
Mi ridusse così.
Cecchina.   Come?
Orazio.   Di casa

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Per i debiti miei fui discacciato.

Cecchina. Io non saprei che farvi.
Orazio.   In questo stato
Non vi muovo a pietà?
Cecchina.   Me ne dispiace.
Orazio. Soccorretemi dunque.
Cecchina.   Andate in pace.
Orazio. Come? Sorella ingrata,
Così meco 9 spietata?
Sapete quanto amor che vi portai.
Cecchina. Io veramente il vostro amor provai,
Quando mi discacciaste
Di casa sì vilmente,
E la mia dote riduceste in niente.
Orazio. (Ella10 ha ragion, ma voglio fare il bravo).
Orsù, non tante ciarle;
Datemi da vestire, e se da uomo
Abiti non avete,
Datemi un qualche andrien, che tanto serve.
Cecchina. Ma da una miserabile
Che vorreste voi mai?
Orazio. Orsù, Cecchina, ho pazientato assai.
O aprite questa porta,
O giù la getterò.
Cecchina. Aspettate, fratel, ch’io l’aprirò.
(S’inganna, se m’aspetta;
Vuoto la casa e me ne fuggo in fretta.)
Orazio. Ma una gondola giunge.
Sarà forse mia moglie.
Oh questa è bella,
Che fuor di casa dovrà stare anch’ella11.

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SCENA III.

Lindora e detto.

Lindora.   No la se incomoda,

  Caro lustrissimo;
  No, no certissimo,
  Za son a casa,
  Resti pur là 12.
Orazio. (Sempre da cavalieri ella è servita,
Ma adesso anco 13 per lei sarà finita).
Lindora. Oe fermè 14, barcarioli15,
Dè una siada indrio 16.
Sior marchese, l’aspetto
Stamattina a disnar.
Orazio. Venga, venga, che avrà ben da mangiar.
Lindora. Sior Orazio in camisa, e su la strada? 17
Che? Seu deventà mato?
Orazio. Io già pazzo non son, ma disperato.
Lindora. Come sarave a dir?
Orazio.   Guardate in alto,
Quel cartello leggete.
Lindora. Qua dise: Casa d’affittar.
Orazio.   Ridete?
Or sappiate che alfine i creditori
M’han cacciato di casa;
I mobili s’han preso,
Colà entrar non si puote.18
Lindora. Oh povera Lindora,
Come songio ridotta?19.

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Orazio. Le vostre pompe e gale...

Lindora. Quel ziogo maledetto...
Orazio. Il vostro praticar gran cavalieri...
Lindora. El vostro morosar con questa e quella...
Orazio. Vostro poco cervello...
Lindora. Vostro poco giudizio...
Orazio. È stata la cagion...
Lindora.   Xe stà il motivo...

Orazio. a due Del nostro precipizio.
Lindora
Orazio. Cosa mai si può20 far? Vi vuol pazienza 21.

Lindora. Inzegneve pur vu, za mi gh’ò in testa
Una resoluzion bizzara e presta.
Orazio. Mia sorella Cecchina, a cui palese
Ho fatto il caso mio,
Dovria darci soccorso 22.
Lindora.   Arecordeve,
Che senza de culìa mi voggio far,
Se da fame credesse anca crepar.
  Scufia bon zorno,
  Andrien a spasso,
  Cerchi, ve lasso,
  No fe più per mi23.
Orazio. Anch’io penso di farne una assai bella,
Ma non viene e mi burla la sorella.
Or è meglio ch’io parta,
Che se qualcun mi vede in questa guisa,
Creperà certamente dalle risa.
  Io sembro di quelli
  Che a mezzo l’estate
  Si vedono snelli
  Giocare al ballon 24.

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  Ma tremo dal freddo;

  Ingrata Cecchina,
  Non v’è compassion.
Linpora25. Alfin son arrivada
A cantar canzonette in sulla strada.
Vaga pur co26 la sa andar,
Anca cussì se vive, e se sbabazza27,
Che de zente da ben piena è la piazza.
Orsù, demo prencipio28:
Sentì sta canzonetta
Niova de sto paese,
Che una sol volta l’ha cantada Agnese29.
  Quando vedo in zamberluco 30
  Donna Catte e donna Betta,
  Me vien squasi el mal mazzucco31
  A pensar che mi nol gh’ò.
  Ma se posso mel vôi far,
  Gh’ò un bon terno, el vôi zogar,
  Trenta soldi rischierò.
E chi la vuol la costa un soldo solo.
Vago una volta attorno,
E a chi me dà un soldetto,
Darghe la so resposta anca prometto.
Orazio. Chi chi chi vuo vuo vuol vevedere


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A baballallar32 i cacani.

Lindora. Varè qua un’altra birba.
Orazio. Prepresto mamangia frefredo
Fa fa fa un salto 33 per la vecchia.
Lindora. Oh questo ghe mancava
Per levar dal mio bozzolo 34 la zente.
Che tartaggia insolente!
Orazio.   Tutto il giorno la lavora, lavora,
  Be benedetto sia il lavorare,
  Tutto il giorno affafafaticare
  E la sera papapan e cipolla.
Lindora. Son za stuffa morbada35,
No vôi più sopportar. Oe galantomo,
Questa no xe la forma
De vogarme sul remo36.
Orazio.   Che che dite?
Lindora. Digo cussì, che con i vostri cani
Vu me desfè el mio treppo37.
Orazio. La piapiazza è cocomune.
Lindora. Sior sì, ma el posto è mio.
Orazio. Popoposso posteteteggiar anch’io.
Lindora. E mi digo che vôi che andè lontan,
Perchè se no dopererò38 le man.
Orazio. Non fa fate la matta,
Peperchè adopreprerò anchichich’io
Il babastostone39.
Lindora. Vorave veder questa!

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SCENA IV.

Cecchina e detti.

Cecchina.   Olà fermeu40;

Disì, che diavol feu?
Lindora. Sto tartaggia insolente
Con i so cani m’ha levà la zente.
Orazio. Ella è una bububugiarda.
Cecchina. E no v’avergugnè
In piazza a taccar lit?
Più tost che circulant,
Me pari du birbant.
Orazio.   Didite bene
Cocolei è una che che non sa nulla,
Più più ignorante dedella baulla 41..
Lindora. E vu, siora, chi seu?
Cecchina. No vediv? Urtadora;
E sì a son da Bulogna.
Lindora. Steme lontan, no me tacche la rogna42.
Cecchina.   Se chi son saver voli,
  Vel dirò, steme ascultar.
  Basta ben che non ridì
  Nel sentimi a rasonar.
  La mi mama fu Menghina,
  Mi papà Bartolomiè;
  I vendean la porcelina 43
  Alla Tor di Asiniè44.
Orazio. (Oh quanto agli occhi miei
Va piacendo costei!)

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Lindora.   No me despiase

Sta vostra profession.
Cecchina.   S’av cuntintè
Farem, come se sol dir, tra nu de balla.
Lindora. Come sarave a dir?
Orazio.   Che cocalona!45
Cecchina. El zergh non intendi? Farem de balla
Vul dir che s’unirem tutti trì assiem.
Spartirem el vadagn,
E goderem el mond ai spal del gonz.
Za sem de quella razza,
Che per no lavorar batte la piazza 46.
Lindora. Per mi son contentissima. (In sta forma
Nell’arte del birbar sarò perfetta).
Orazio. Anchichich’io mi contento.
(Già per costei ardere il cor mi sento).
Cecchina. (Così costoro mi faran le spese,
Fin che possa tornar al mio paese).
Lindora. Orsù via scomenzemo,
Vôi che tutta la zente a nu tiremo.
  Cari signori, vi voglio pregare,
  Questo sarà per vostra cortesia,
  Tutti d’accordo volerme ascoltare
  Se avè voggia47 de star in allegria.
Orazio. Ma l’ora si fa tarda
E qui non viene alcuno;
Meglio è che ce ne andiamo all’osteria48
A stabilir la nostra compagnia.
Lindora. Come? No tartaggiè?
Orazio.   Oibò, pensate!
È questa una finzione, acciò che il popolo

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Di me piacer si prenda,

E con più gusto il suo danaro49 ei spenda.
Lindora. Oh cossa sentio mai?
Cecchina.   Se voi credete
Che bolognese io sia,
V’ingannate, signori, in fede mia;
Per celarmi qual sono,
In un linguaggio forastier ragiono.
Lindora. Poderavio saver con verità
Chi sè? Za semo tutti d’una lega.
Orazio. Io sono Orazio, cavalier50 romano.
Cecchina. Io son Cecchina, giovine romana.
Lindora. E mi che son Lindora veneziana,
Ve mando a far squartar.
Ti ti xe mio mario,
E ti quella pettegola sfazzada
Cecchina mia cugnada.
Cecchina. Orazio voi!
Orazio.   Cecchina tu?

Cecchina. a due Che vedo!
Orazio.
Orazio. Ma come in questi panni,

E a far questo mestier ti sei ridotta?
Cecchina. Da voi perseguitata,
Deliberai fuggir 51.
Orazio.   Or che far pensi?
Cecchina. Eh via ch’io questi conti
Non rendo ad un fratello,
Che ha nella testa sua poco cervello.
Orazio. E voi siete Lindora?
Lindora. Son quella apponto, cara la mia zogia.

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Orazio. Volete star con me?

Lindora.  Va pur al bogia.
  Sì, furbazzo, son Lindora:
  No te voggio, va in malora.
  Basta quel che ti m’ha fatto.
Orazio. No, no, no, non son sì matto.
Cecchina. Io non voglio star con voi.
(a tre Ognun tenda a’ fatti suoi.
Lindora. Mi viverò cantando.
Orazio. Io pure tartagliando.
Cecchina. Ed io cavando macchie
Il mondo goderò.

Lindora. a tre E viva la birba,
E chi l'inventò.
Orazio.
Cecchina.
Lindora.   Se mai più ti me trovassi,

  No me star gnanca a vardar.

Orazio. a due Se mai più ti me incontrassi 52.
Cecchina. Guarda ben a non parlar.
(a tre   No sicuro.

Lindora.  Ve lo zuro.
(a tre   Ognun tenda al suo mestier.
Lindora.   Chi vuol canzon novelle?
Cecchina.   Chi vuol terra per le macchie?
Orazio.   Chichi vuol vevedere
  Babalar i cacani?

Per il resto
Lindora a tre Vi protesto
Cecchina. Che sempre dirò:
Orazio. E viva la birba,
E chi l’inventò53,


Fine della Prima Parte.


Note

  1. Conserviamo per comodo del lettore la divisione in scene che si trova nell’ed. Zatta. Nelle edizioni precedenti abbiamo soltanto la divisione in partì (ossia Intermezzi).
  2. Così nelle edd. Ghislandi (Milano, 1743), Tevernin (Venezia, 1753), Zatta (Venezia, 1794) ecc.; ma nella prima ed. Valvasense, Ven., 1735, e nella rist. "in Venetia, et in Bassano” s a., si legge: "Orazio esce di casa cacciato da quattro, uno de’ quali chiudendo la porta pone sopra di essa un cartello, che dice: Casa d’affittare".
  3. Nelle edd. Ghislandi, Tevernin, Zatta: deggio.
  4. Nelle edd. del Settecento è stampato fredo, per la rima.
  5. Nelle ed. Valvasense e nella rist. Venetia-Bassano segue la didascalia: "Li quattro lo salutano, e partono atta muta".
  6. Così l’ed. Zatta. Nelle edizioni precedenti: la crapula et caetera.
  7. Ed. Valvasense: gli.
  8. Nell’ed. Valvasense, mancando la divisione in scene, è aggiunta questa didascalia: alla finestra.
  9. Ed. Valvas. e rist. Venezia-Bassano: Meco così.
  10. Edd. Valvas. e Ghislandi: Lei.
  11. Così l’ed. Ghislandi (Milano. 1743) e le ristampe Tevernin e Zatta; ma nella ed. Valvasense (Ven. 1735) e nella rist. Venezia-Bassano la fine di questa scena è alquanto diversa, come vedesi in Appendice.
  12. Ed. Valvas. e rist. cit.: La resti pur là.
  13. Edd. Ghislandi, Tevernin, Zatta: ancor.
  14. Ghisl., Tev., Zatta: Oe, oe fermi
  15. Valvas.: barcaroli.
  16. Sciare all’indietro, per fermare la barca.
  17. Ed. Valvasense: in camisa è su la strada?
  18. Segue nell’ed. Valvasense e nella rist. Venetia-Bassano: "Moglie mia, così suole — Far chi non ha giudizio; — Per le poste siam iti in precipizio".
  19. Nell’ed. Valvas. e nella rist. cit. segue qui l’arietta: "Scuffia, bon zorno, — Andrien, a spasso, — Cerchi, ve lasso, — No fe più per mi".
  20. Valvas.: puol.
  21. Valvas.: pacienza.
  22. Nella ed. Valvasense e nella cit. rist. la scena si svolge ora diversamente, come vedesi in Appendice.
  23. Zatta: No fe per mi.
  24. Forma dialettale: pallone,
  25. Qui nell’ed. Valvasense (1735) e nella cit. ristampa comincia la Parte Seconda; e v’è questa didascalia: "Lindora con cimbano e cestello con canzonette”.
  26. Come.
  27. Si tripudia, si gode a sazietà: v. vol. XII, pp. 134 e 197. Cfr. Patriarchi, Boerio e la Spiegazion de certe parole veneziane alla fine del t. III del Bertoldo tradotto dal Pichi (Padova, 1747).
  28. Ghisl., Tev., Zatta: principio.
  29. L’autore allude scherzando all’Agnese, moglie di Pietro Amurat, armeno, la quale cantava appunto negli intermezzi del teatro di San Samuele: vol. I presente ed., pp. 66 e 96
  30. Giamberlucco: veste d’origine orientale "ed era di panno, lunga, larga, colle maniche strette" (Mutinelli, I, Venezia, 1851) "che si usava nell’inverno e si indossava sopra il vestito " (Greg. Gattinoni, Inventario di una casa veneziana del sec. XVII, Mestre, 1914: Indice-Glossario). Cfr. Patriarchi e Boerio. Le dame lo portavano di velluto: v. Corredo Nuziale di una gentildonna nel 1744, ed. da N. Barozzi (Venezia, 1882); e spec. G. Bistort, Il Magistrato alle Pompe nella Rep.a di Venezia, Venezia, 1912.
  31. Mal mazzùco: "letargia" spiega Boerio “malattia del cavallo e del bue”;”delirio, frenesia": dice il Patriarchi.
  32. Ghisl., Tev., Zatta: vuol vedere - A ballar ecc.
  33. Ghisl., Tev., Zatta: Fa un salto.
  34. Circolo di gente: vol. II, pag. 498; cfr. Patriarchi e Boerio.
  35. Nauseata, da morbar: v. Patriarchi. Manca in Boerio.
  36. Di rivaleggiare, di sopraffarmi: vol. II, pag. 456.
  37. Compagnia, unione di persone: Patriarchi e Boerio.
  38. Ghisl., Tev., Zatta Perchè altrimenti doprerò ecc.
  39. Ghisl., Tev., Zatta: Il bababastone.
  40. Ghisl. ecc.:
  41. Ghisl., Tev., Zatta: Più più ignorante e ostinata d’una mula. Baùla significa donna disonesta, detto per ingiuria: Boerio.
  42. Nelle edd. Tevernin e Zatta è stampato soltanto: Steme lontan. Il Pasqualigo ricorda il proverbio veneto: “El primo ano che ’l va a Bologna, o l’ha frieve o l’ha rogna (Raccolta ecc., Treviso, 1882, pag. 263). Vedi Casanova, Mémoires, ed. Paris, Garnier, vol. V, 310 e molti altri viaggiatori.
  43. Ghisl., Tev., Zatta: procelina. Certamente la purzleina o porchetta.
  44. Ricorda la famosa torre degli Asinelli. Nemmeno questo è dialetto bolognese.
  45. Ed. Valvasense: Che cococococalona!
  46. Questo verso è in forma veneta. Nelle edd. Ghisl., Tev., Zatta si legge: Che per no lavorari batt la piazza. Nè questa è forma bolognese.
  47. Ghisl., Tev., Zatta: voglia.
  48. Valvas.: Megl’è che se n’andiamo all’osteria.
  49. Così l’ed. Zatta. Nelle edd. precedenti è stampato: dinaro.
  50. Ghisl., Ter. Zatta: galantuom.
  51. Nell’ed. Valvasense e nella rist. cit. leggesi: "Da tutti abbandonata, — Io non sapea che far". E poi segue: “Or. Ma non sei moglie — Tu d’un Schiavon? Cech. Pensate! — Io mai ebbi marito. — Or. (Adunque dal Schiavone io fui schernito). — Ma che pensi tu far? Cec. Io questi conti — Non rendo ad un fratello ecc.”.
  52. Valvas.: Tu m’incontrassi.
  53. Nell’ed. Valvasense è qui la Fine della seconda Parte.