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142 PARTE PRIMA


Di me piacer si prenda,

E con più gusto il suo danaro1 ei spenda.
Lindora. Oh cossa sentio mai?
Cecchina.   Se voi credete
Che bolognese io sia,
V’ingannate, signori, in fede mia;
Per celarmi qual sono,
In un linguaggio forastier ragiono.
Lindora. Poderavio saver con verità
Chi sè? Za semo tutti d’una lega.
Orazio. Io sono Orazio, cavalier2 romano.
Cecchina. Io son Cecchina, giovine romana.
Lindora. E mi che son Lindora veneziana,
Ve mando a far squartar.
Ti ti xe mio mario,
E ti quella pettegola sfazzada
Cecchina mia cugnada.
Cecchina. Orazio voi!
Orazio.   Cecchina tu?

Cecchina. a due Che vedo!
Orazio.
Orazio. Ma come in questi panni,

E a far questo mestier ti sei ridotta?
Cecchina. Da voi perseguitata,
Deliberai fuggir 3.
Orazio.   Or che far pensi?
Cecchina. Eh via ch’io questi conti
Non rendo ad un fratello,
Che ha nella testa sua poco cervello.
Orazio. E voi siete Lindora?
Lindora. Son quella apponto, cara la mia zogia.

  1. Così l’ed. Zatta. Nelle edd. precedenti è stampato: dinaro.
  2. Ghisl., Ter. Zatta: galantuom.
  3. Nell’ed. Valvasense e nella rist. cit. leggesi: "Da tutti abbandonata, — Io non sapea che far". E poi segue: “Or. Ma non sei moglie — Tu d’un Schiavon? Cech. Pensate! — Io mai ebbi marito. — Or. (Adunque dal Schiavone io fui schernito). — Ma che pensi tu far? Cec. Io questi conti — Non rendo ad un fratello ecc.”.