La bancarotta o sia Il mercante fallito/Lettera di dedica
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ALL’ILLUSTRISSIMO ED ERUDITISSIMO
SIGNOR CONTE
ANGIOLO ANTELMINELLI
CASTRACANI
PATRIZIO FANESE.
possedete, ed ammirabile il genio che di promoverle e di esaltarle nutrite, corrispondendo assai bene all’amorosissima cura del Padre, che di ottimi precettori vi ha provveduto, fidando le magnanime sue speranze in Voi solo, unico erede della sua casa, e viva immagine de’ gloriosi Vostri Antenati.
Sarei il più miserabile uomo del mondo, se dopo sì luminose notizie del novello mio Protettore, non conoscessi il bene che alla gloria mia ne deriva, e non tentassi almeno colle parole di manifestare a Voi, Signore, ed al mondo tutto la mia sincera gratitudine rispettosa. Ecco il motivo che io vi diceva a principio avermi guidato a scrivere questo foglio, e collocarlo in luogo ove potesse vivere lungamente agli occhi vostri e a quelli del Pubblico manifesto; non basta ch’io mi consoli con me medesimo e dica di esservi grato, ma dell’animo mio obbligato una qualche dimostrazione deggio recarvi. Per me medesimo vaglio sì poco, che l'offrirvi il mio cuore e la mia servitù sarebbe lo stesso che farvi Padrone di cosa inutile e malagurata. Grata suol essere l’oblazione de’ Figli, ed io, che d’altra natura non ne ho sortito, oltre a quelli dell'intelletto, uno di questi con lieto animo vi presento, non perchè pregievole e di Voi degno lo creda, ma perchè amor di padre fa si ch’io l’ami e mi rallegri nel consacrarvelo. Osservate, Illustrissimo Signor Conte, quanti ragguardevoli nomi onorano i miei parti, in questa edizione1 compresi; mancava il Vostro a compiere una corona alle Opere mie gloriosa, e non ho voluto per verun modo tralasciar di perfezionarla. Dovea, mi direte, di ciò avvisarvi primieramente, ma della Vostra modestia mi hanno bastantemente parlato per dubitare ch’Ella mi contrastasse un tal dono, ed ho voluto essere audace nel prevenirla, fidandomi poscia nella Vostra bontà, la quale, se prima del fatto potea trovare argomenti da dissuadermi ora non saprà del coraggio mio condannarmi. Quattr’anni ormai sono2 che nutrisco un tal desiderio e che lo tengo nell' animo mio celato per cotal fine, giacchè pari tempo veggo a mia vergogna essere corso, da che diedi principio ai dieci Tomi3 in molto minor tempo promessi, ma feci già le mie scuse cogli Associati miei umanissimi, ed ora particolarmente a Voi le ripeto, mio benignissimo Protettore e difensor validissimo, supplicandovi ben di cuore che qual vi degnaste essere liberale inverso le Opere mie, lo siate ancora pel mio nome a fronte di coloro, che la mia tardanza acremente tacciassero di mancamento. Di tutte quelle grazie, che vi siete compiaciuto farmi finora per sola liberalità di animo e per compassion di coloro che vanno al pubblico esposti, e di quelle che d’ora in avanti spero da Voi per generosa condescendenza maggiori, vi ringrazio, Signore, col cuore il più ossequioso e divoto che dar si possa, e quanto ora ho l’onore di esprimervi in quest’umile foglio, spero un giorno potervi confermare personalmente, allora quando le mie circostanze mi permetteranno intraprendere il viaggio di Roma, che da molti anni desidero effettuare. Arrossisco, nell'età in cui sono, e nei viaggi per lo più consumata, non aver ancor veduto quella gran Capitale del Mondo. Aggiungesi a rimproverarmi di ciò gli eccitamenti amichevoli che n'ebbi frequentemente, e l’amor proprio ancor niente meno, veggendo quanta fortuna ebbero le mie Commedie in una Città sì erudita, ove gl'ingegni fioriscono, e le belle arti e le scienze come in propria sede campeggiano. So che il mio nome in Roma veniva assai compatito, e con mio estremo cordoglio intesi dirmi che la tardanza di questa mia procrastinata edizione rivolse gli animi di non pochi contro di me, e mi privarono del loro amore. Ma perchè mai sì rigoroso castigo ad una colpa che non li ha offesi, se non se nella sollecita compiacenza di leggere le miserabili mie produzioni? Uno sdegno, figlio del più tenero amore, facilmente suole placarsi, e mi lusingo, all’apparire di questo decimo Tomo, vedermi nella grazia loro rimesso, in quella maniera che una tenera madre, sdegnata collo sviato suo pargoletto, lo abbraccia teneramente e con affettuosi baci l’accoglie, tosto che lo vede pentito al di lei seno tornare. A Voi non mancheranno, Illustrissimo Signor Conte, nella inclita patria della Vostra gran Genitrice e congiunti, ed amici, e saggi estimatori del Vostro merito; fatemi Voi la scorta presso di loro, per attenermi colà più agevolmente il perdono, e sia questo un benefizio novello della vostra venerabile protezione, che a Voi accresca il diritto di avermi a’ Vostri comandi, ed a me l’impegno e l’obbligazione di essere in ogni tempo col più ossequioso rispetto
Di V. S. Illustriss.
Umiliss. Dev. Obblig. Servidore |