L'origine delle leggi

Pietro Metastasio

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Questo testo fa parte della raccolta Poemetti italiani, vol. IX


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L’ORIGINE

DELLE LEGGI

POEMETTO

DELL’ABATE

PIETRO METASTASIO


Quando ancor non ardiva il pino audace,
Grave di merci, dispiegare il volo
Sul mobil dorso d’Ocean fallace,
     Era alle genti noto un lido solo,
5Nè certo segno i campi distinguea,
Nè curvo aratro rivolgeva il suolo.
     Per gli antri, e per le selve ognun traea
Allor la vita, nè fra seta, o lane
Le sue ruvide membra raccogliea.
     10Che non temeano ancor le membra umane
Il duro ghiaccio degli alpestri monti,
Nè i raggi, che cadean dal Sirio cane.
     La pioggia, e ’l sol su le rugose fronti
Battean sovente, ma ’l disagio istesso
15Gli rendeva a soffrir stabili, e pronti.
     A ciascun senza tema era concesso
Del medesimo tronco il cibo corre,
Ed estinguer la sete al fonte appresso.

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     Avvenne poi, che desiando porre
20Due sul frutto vicin l’adunca mano,
L’uno all’altro tentar la preda torre.
     E quindi accesi di furore insano,
Con l’unghie pria si laceraro il volto,
Poi con l’armi irrigar di sangue il piano.
     25Indi più d’un si vide insieme accolto
Solo per tema del potere altrui,
Cui fiero sdegno il freno avea disciolto.
     Poi, per aprir ciascuno i sensi sui,
Con la lingua accennava il suo parere,
30Che fu il modo primiero offerto a lui.
     Perchè sente ciascuno il suo potere,
Come il picciol fanciullo appena è nato,
Ne dimostra col dito il suo volere.
     Scherza il torello alla sua madre a lato,
35Ed appena spuntarsi il corno sente,
Che a cozzar dallo sdegno è già portato.
     Ed adulto l’augello immantinente
Se stesso affida ad inesperti vanni,
Ove il poter natura a lui consente.
     40Poi volendo del ciel fuggire i danni,
Varie pelli alle membra s’adattorno;
Indi tessean di lane i rozzi panni.
     E ciascun componendo il suo soggiorno,
Per sicurezza i lor tugurj uniti
45Cinser di fosse, e di muraglie intorno.

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     Ma perchè varie idee, varj appetiti
Volgono l’uom, perciò sempre fra loro
Erano semi di discordie, e liti.
     Onde, per ritrovar pace, e ristoro,
50Fu d’uopo esser soggetti a patti tali,
Che del comun volere immago foro.
     Così le varie menti de’ mortali
Dall’utile comun prendendo norma,
Resero tutti i lor desiri eguali
     55Che in van tenta ridursi a certa forma
Corpo civil, se sol de’ propri affetti
Ogni stolto pensier seguita l’orma.
     Anzi anch’a’ dotti, e nobili intelletti
Tant’è più necessario il giusto freno,
60Quant’han di variar maggiori oggetti.
     Il saggio vive sol libero appieno,
Perchè del bene oprare il seme eterno
Dell’infinito trae dal vasto seno.
     Egli discerne col suo lume interno,
65Che da una sola idea sorge, e dipende
Delle create cose il gran governo.
     Il dotto è quel, che solo a gloria attende;
Qual è colui, che di Febeo furore
Tra l’alme Muse la sua mente accende.
     70Ma il saggio è quel, che mai non cangia il core,
E sempre gode una tranquilla pace
In questo brieve trapassar dell’ore.

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     Egli è sol, ch’alle leggi non soggiace,
Perchè sol con le leggi egli conviene,
75E di quelle è compagno, e non seguace.
     Ei le sue voglie a suo piacer trattiene,
E sciolto vola da mortale impero,
A cui legati ambizion ci tiene.
     Egli è, che conducendo il suo pensiero
80Per lo cammin delle passate cose,
Mira delle future il corso intero.
     Egli in se stesso ha sue ricchezze ascose,
Nè mai per voglia di grandezza umana,
Di se la guida alla fortuna espose.
     85Ed egli è, che con mente accorta e sana
Le leggi incontra, e con la propria vita
Ogn’ingiuria da quelle anche allontana.
     Come Socrate il saggio ognor n’addita,
Che per non violar le leggi sante
90Sparger si contentò l’anima ardita.
     Ei fu, che avendo i cari amici avante,
Del suo giorno vital nel punto estremo,
Disse con voce debile, e tremante:
     Amici, il mio morire io già non temo:
95Perocchè quanto accorcio il viver mio
Tanto allo spirto di prigione io scemo.
     E questa mortal vita non desio,
Acciocchè l’alma del suo fango pura
Ritorni lieta allo splendor natio.

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     100Che in questa spoglia, che ’l goder ci fura,
Colui la propria vita ha più disteso,
Che non dai giorni il viver suo misura,
Ma da quel, che conobbe, ed ha compreso.