L'epopea della bonifica nel Polesine di San Giorgio/16
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Al termine del secondo conflitto mondiale si accende nel Paese il più aspro scontro politico per distribuire ai contadini la terra la cui divisione negli immensi latifondi patrizi è stata, per secoli, la prima causa dell’arretratezza economica e civile del Mezzogiorno, la cui concentrazione in mani borghesi è stata nel Settentrione, per giudizio unanime dei partiti popolari, tra le cause del Fascismo.
Dopo un infuocato confronto parlamentare l’imperativo la terra ai contadinisi realizza nella Riforma agraria sancita dalla legge “Stralcio” 841 del 1950. Varata per dissolvere il latifondo, non le proprietà a coltura intensiva, la Riforma non interessa, praticamente, il Settentrione, dove la sola provincia coinvolta in misura significativa è quella di Ferrara.
Per l’esecuzione della legge viene costituito, il 7 febbraio 1951, l’Ente Delta, attraverso il quale nella provincia emiliana vengono espropriati 28.374 ettari, che saranno ripartiti in 3.065 unità poderali. Tra gli enti costituiti per attuare la Riforma, l’Ente Delta è il solo che non si prefigge soltanto la ripartizione di latifondi, ma che mira a creare, mediante la bonifica, nuove superfici agrarie di cui effettuare, successivamente, la distribuzione. L’Ente completa, infatti, la bonifica delle valli Pega, Rillo e Zavelea, iniziata dal Genio Civile, realizza quella del Mezzano, un’immensa valle salmastra di 18.000 ettari.
Le assegnazioni di Valle Pega hanno inizio nel 1965, quelle del Mezzano hanno termine nel 1981, quando il problema della “terra ai contadini” costituisce, ormai, tema dei testi di storia sociale. Tra le leggi della Repubblica la Riforma agraria vanta un indiscusso primato polemico: ha suscitato la più violenta opposizione al momento del varo, ha sollevato le più accese critiche economiche nel corso dell’attuazione, i più radicali rilievi storici alimenterà alla conclusione degli insediamenti.
Se è difficile contestare, infatti, che essa abbia infranto il torpore millenario che l’accentramento, nel Mezzogiorno, di regioni intere nel patrimonio di principi e duchi, che le gestivano attraverso intermediari più prossimi alla figura dell’usuraio che a quella dell’affittuario agrario, i risultati hanno consentito ai critici di additare, dal Tavoliere delle Puglie al Fucino alla Maremma grossetana, migliaia di case poderali abbandonate pochi anni dopo la consegna a una famiglia contadina, la cui fuga poteva essere assunta a prova della fallacia del disegno.
Tracciare il bilancio dell’ultimo confronto agrario combattuto in una nazione che mentre il Parlamento disputava sulle dimensioni dell’ideale azienda contadina abbandonava lo status di paese agricolo convertendosi in nazione industriale, è impegno non scevro di difficoltà, che risultano particolarmente insidiose per la provincia di Ferrara. Nei comprensori di riforma della provincia emiliana sono stati assegnati terreni a oltre 3.600 nuovi coltivatori, per 330 dei quali la superficie iniziale è stata successivamente ampliata essendo ritenuta quella originaria inferiore alle esigenze economiche essenziali.
Le dimensioni dei poderi assegnati sono state superiori a quelle di tutte le altre aree interessate dalla Riforma nel Mezzogiorno e nel Centro: nel comprensorio di Valle Pega sono stati assegnati 70 poderi di 30 ettari. Nel Mezzano vengono assegnati poderi di entità decrescente: i primi di 34 ettari, quindi di 18, gli ultimi di 13.
Non sono stati pochi i coltivatori che hanno costituito aziende vitali, non sono stati pochi neppure quelli che, al termine del periodo in cui era loro proibito di rivendere, hanno ceduto, contribuendo alla formazione di nuove grandi proprietà, in parte cospicua di agricoltori veneti, che all’alba del nuovo Millennio le conducono, secondo criteri estensivi, coltivando prevalentemente mais.
Peculiarità ferrarese, il radicamento del movimento sindacale di ispirazione marxista ha prodotto l’assegnazione di una superficie cospicua, 1.728 ettari, a cooperative di conduzione, che, nonostante l’entità dei contributi del Governo regionale, che ne ha periodicamente ripianato le passività, hanno mancato di fornire quella prova della vitalità della gestione collettiva della terra che si ricerca invano esaminandone i tentativi alle latitudini diverse del planisfero, che l’impegno di chi governava, a Bologna, nel segno di Marx è stato incapace di produrre contando sullo spirito comunitario, e la devozione al Partito, degli antichi pescatori di anguille di Comacchio.