L'epopea della bonifica nel Polesine di San Giorgio/15

Scompaiono gli ultimi stagni

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L’epopea della bonifica ottocentesca si conclude, nel Polesine di San Giorgio, nel 1891, quando l’installazione di una pluralità di piccole idrovore consente di bonificare nove bacini minori del comprensorio, Montesanto, Denore, Campocieco, Benvignante, Sabbiosola, Martinella, Tersallo, Bevilacqua e Trava, complessivamente 13.660 ettari, il secondo merito storico, dopo il salvataggio della bonifica delle Gallare, del marchese Di Bagno. La guerra interromperà la grande opera intrapresa dall’Italia sabauda per estendere l’esigua superficie agricola di cui il Paese dispone, naturalmente, in pianura. Dopo la guerra lunghi anni saranno necessari al ripristino delle opere la cui cura è stata, negli anni del conflitto, trascurata, o che sono state, è il caso delle bonifiche venete, teatro dello scontro militare.

Quando nuove bonifiche vengono intraprese il confronto tra l’uomo e la palude si compie in un quadro civile che non è più dominato dai gentiluomini in marsina e bombetta che decidevano dell’installazione delle idrovore in sintonia con i propri corrispondenti alla City londinese, è il quadro in cui si sono imposti i focosi centurioni in camicia nera che inaugurano ogni nuova chiavica allo sventolare dei gagliardetti tra gli inni a Roma che rivendica le glorie tramontate. Nel clima nuovo nel 1925 vengono prosciugati i 2.300 ettari di sant’Antonino, la cui bonifica è salutata dalle autorità, in una solenne adunata, come l’alba della nuova agricoltura del Regime, nel 1928 i 1.300 ettari di Celese, nel 1933 i 4.300 ettari di Valle Isola e Minori e, contemporaneamente, i 6.300 ettari del Mantello.

Alla stagione delle bonifiche littorie corrisponde il progressivo ampliamento della superficie del Consorzio. Il comprensorio governato dalla Congregazione di diritto pontificio si dilatava su una superficie di 55.800 ettari: quelle dimensioni si erano contratte quando, emanata la legge 20 marzo 1865, nel comprensorio di Argenta e in quello di Galavronara e Forcello i proprietari si erano uniti in consorzi specifici per realizzare autonome esperienze di bonifica. La superficie dell’antica Congregazione aveva perduto 10.800 ettari.

La superficie del Consorzio inizia il processo di dilatazione che la porterà alle dimensioni attuali con l’incorporazione, sancita nel 1925, della bonifica di Trebba e Ponti realizzata due anni prima dal Genio Civile, cui negli anni successivi segue l’incorporazione di numerosi consorzi minori. Nel 1937 l’incorporazione della bonifica di Cavo Spina porta la superficie consortile a 50.650 ettari.

Dopo il secondo conflitto mondiale si aggiungono ai terreni liberati dalle acque i 1.600 ettari delle Valli Basse, vengono inclusi nel comprensorio il Consorzio di Forcello, quindi quello di Valle Isola, poi le Bonifiche di Argenta, quindi il Consorzio di Filo e Langostrino. Nel 1951 il Genio Civile di Ferrara inizia i lavori di bonifica di Valle Pega.

Il 5 ottobre 1953 l’Ente Delta, costituito tra gli organismi demandati dell’attuazione della Riforma agraria, inoltra al Comune di Comacchio un’offerta di acquisto delle valli Pega, Rillo e Zavelea. Fedele alla secolare tradizione alieutica il Consiglio comunale rifiuta, inizialmente, la trattativa, propone, dopo negoziati politici turbinosi, il proprio prezzo il 29 novembre 1955.

La vendita viene realizzata a 60.000 lire l’ettaro. La grande valle del Mezzano sarà oggetto di una trattativa successiva. La bonifica di Valle Pega è ultimata nel 1955, quella del Mezzano sarà realizzata grazie alla legge speciale che finanzierà le ultime bonifiche realizzate nel Paese, la legge 20 luglio 1957, che consentirà di varare, l’anno successivo il piano generale di bonifica del Mezzano, che nel 1989 sarà incluso dalla legislazione regionale nel comprensorio del Secondo Circondario portandone la superficie a 119.500 ettari.