L'arte popolare in Romania/Capitolo VII

Capitolo VII

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Capitolo VI Conclusione
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CAPITOLO VII.


ceramica e ornamentazione delle uova.

La ceramica popolare di queste regioni merita uno studio particolare, tanto più che i materiali dispersi, raccolti a casaccio e in fretta, talora di banale fabbricazione urbana, o di tipo evidentemente degenerato, non sono stati classificati in modo neppur decente, e tale da permettere uno studio appena scientifico.

Essa senza dubbio si riconnette coi vasi dell’epoca neolitica, di cui si trovano ovunque frammenti in Romania: in un villaggio della Bessarabia, a Cucuteni, nelle immediate vicinanze di Iassy, nelle montagne del distretto di Neamț e soprattutto nella pianura del Danubio, in Oltenia. Sono gli stessi zigzag, le stesse spirali. Così pure, non si può non riconoscere che i disegni che ornano la ceramica dei Romeni e dei loro vicini nei Balcani non si differenziano punto da quelli che, fra lo splendore naturalistico della ceramica di Creta e l’«euprepeia» disciplinata dell’epoca classica, eccitano la nostra curiosità per la loro estrema stilizzazione geometrica (vasi del cimitero di Dipylon ad Atene).

Sono stati presentati per la penisola dei vasi di forma antica, con un sottopiede più o meno panciuto, a un solo collo o con un’apertura laterale e un’ansa, suscettibile di essere decorata a corda ritorta; altri, col centro incavato, fiaschette da viaggio appiattite, forme capricciose, con numerosi colli, architetture complicate, creazioni bizzarre con aperture laterali come quelle dei candelabri e chiuse da un pipistrello pronto [p. 83 modifica] a volar via, il che probabilmente ci richiama agli usi rituali di antichissime religioni scomparse. L’ornamento dipinto riproduce tutte le forme dello stile lineare, astratto; un altro, in rilievo, presenta delle stelle, dei fiori, delle conchiglie: modo questo assolutamente originale, ma che sembra preso nella sua essenza dalla ceramica d’Occidente.

Noi abbiamo, per i paesi romeni, sufficiente materiale, pubblicato o inedito, per tentare una sistemazione basata su antichi esemplari.

Scartiamo subito quanto di solito è presentato come ceramica popolare romena in Transilvania, quei vasi affilati con una sola ansa o senza, e un collo leggermente svasato, che sopra un fondo generalmente bianco hanno delle figure turchine, verdi, gialle, brune, riproducenti spesso dei grandi fiori aperti, uscenti da un ricco fogliame, e talora uccelli, o anche animali isolati, come il cervo dei cacciatori occidentali. È impossibile non vedervi l’antica moda germanica, quale sussiste ancora nelle stoviglie rustiche, o alla rustica, dell’Alsazia. Sebbene derivino alcuni elementi stilizzati dalla tradizione traco-illirica, — foglie, spighe, queste ultime specialmente, punteggiate — , pure sono di fabbricazione sassone, come lo mostra del resto anche l’uso di iscrivervi la data. Fatti apposta per questi villaggi romeni, erano venduti dagli Zingari, piuttosto che nei mercati o nelle botteghe. Da anni non se ne fabbricano più, perchè l’industria ha vinto questa modesta concorrenza, che ha dato degli esemplari interessantissimi come forma, colore e disegno, ma specialmente come tentativo di mescolare due diverse civiltà artistiche. Aggiungiamo che questo tipo transilvano è penetrato anche, com’era facile avvenisse, in alcuni distretti montuosi della vicina Valacchia. Delle fiasche, analoghe di forma a quelle dei Balcani, hanno una decorazione simile e appartengono alla stessa corrente.

I veri prodotti del vasellame romeno si trovano qua e là [p. 84 modifica] nell’Oltenia, distretto di Vâlcea, presso l’Olt, e nella montagna valacca dalle parti di Rucăr e più in basso (1), in regioni ove l’influenza sassone non è penetrata, neppure nella forma mista di cui già abbiamo parlato. Ma dalle forme che presenta bisogna detrarre quelle dovute all’influenza della Corte antica residente nella «città» di Argeș.

Ad Argeș c’è ancora un intero sobborgo di vasai (olari, da oală, latino olla, vaso), che lavorano seguendo gli antichi sistemi. La tecnica stessa deve essere quella dei loro antenati che preparavano per il palazzo dei principi gli oggetti di ceramica i cui vaghi frammenti, d’un bellissimo smalto, sono stati scoperti negli scavi intrapresi da Virgilio Drăghiceanu (2).

Ho trovato, in questa prima capitale del Principato di Valacchia, uno di quei vasi complicati di cui abbiamo parlato: fuori, delle ruote in rilievo, delle specie di catene e di ghirlande, assai pesanti; dell’animale alato che tutto dominava, ora spezzato, rimane sulla pancia un’aquila con le ali aperte, simile a quella dell’emblema del paese al principio del secolo XIX. E’, lo ripeto, piuttosto un prodotto di imitazione. Fiori a rilievo di questa foggia non si trovano che in casi isolati, nel distretto di Mehedinți nell’Oltenia (3); è una moda quasi scomparsa.

Più a Oriente, nel distretto di Prahova, si fabbricano urne di una bella forma antica, panciute, il cui manico ha un’apertura laterale e il collo si ristringe, sottile. Mancano però gli ornamenti. Per trovare lo stesso tipo del distretto di Muscel bisogna entrare in Moldavia, nella regione montagnosa e collinosa; ho scoperto tutta una serie di piatti bellissimi (farfurii; il termine significò dapprima unicamente: porcellana), nella [p. 85 modifica] torre della Chiesa di Doljești presso Roman, quasi nella regione di quella Baia la cui terra, in una lettera del sovrano, del XVI secolo, è indicata come particolarmente adatta a questo lavoro. Si fabbricavano e si fabbricano ancora, con mezzi più ridotti e sotto rinfluenza delle forme degenerate che oggi gli stessi contadini preferiscono, a Hârlău, nel distretto di Botoșani, che fu due volte residenza di principi, poiché anche qui la ceramica sembra connettersi coi centri di vita politica. La Transilvania non offre che prodotti molto inferiori e diversamente mescolati; per avere dei tipi antichi bisogna penetrare nelle vallate solitarie, come quella che si stacca a occidente di Cluj-Kolozsvàr, verso Huedin (Bànffy-Hunyad), come a Călățele, o in qualche angolo del Maramurăș, a nord (4). Però a Bârgău, vicino a Bistrița, a fianco d’una assai umile ceramica moderna, si trovano ancora dei belli esemplari di un lavoro più antico, con ornamenti in profondità attorno alla pancia del vaso, il che è un caso unico.

Il carattere generale di questo vasellame, cui nulla s’è mischiato di straniero, e che è anche d’una qualità assolutamente superiore, perchè lo smalto in Moldavia ha dei toni rosei, dei riflessi iridati e la decorazione è sovrapposta con tonalità in rilievo, è geometrico. Qualche rara volta, specie dalle parti di Putna, a sud, attorno alla scodella sul bordo c’è una linea serpentina; ma, di solito, l’unico ornamento è la riproduzione della spiga stilizzata, non contando la punteggiatura, le grosse macchie rotonde, le linee isolate e qualche stella. La spiga si fa d’un azzurro cupo, d’una tinta rossastra scura, oppure verde; il fondo è sempre bianco.

La pianura valacca, che ha intieri villaggi fatti solo di case di vasai che si distribuiscono il lavoro per specialità, come quello di Potigraf, vicino alla stazione di Crivina, nei dintorni di Bucarest, predilige un’altra ceramica, alla quale si lavora [p. 86 modifica] un po’ dappertutto, ma con poca diligenza per quanto riguarda la decorazione. Le belle forme antiche delle urne si conservano ovunque, con varianti che possono interessare; ma lo smalto, che negli ultimi tempi è diventato di qualità inferiore, vien gettato a placche o a macchie brune, a casaccio. Delle linee giallastre corrono a serpentina. Sulle scodelle il motivo più frequente è quello arcaico della spirale, che però ha perso la sua primitiva eleganza (5).

Del resto, questa ceramica dell’Antico Regno, incastrata nei pali in mezzo alla corte, nonostante le sue lunghe tradizioni, è in piena decadenza. Alcune fabbriche, come quella, già menzionata, di Hârlău in Moldavia, o quella di Colentina alla periferia di Bucarest, riproducono, specie la prima, i tipi antichi.

Anche i contadini la preferiscono, perchè costa poco, alla merce d’importazione, e la si vede in tutte le botteghe dei mercati (in Transilvania soprattutto nelle piazze), e si torna dalle fiere con le stoviglie nuove, l’urna (ulcior, da oală, vedi sopra) accanto al bicchiere prodotto dalla fabbrica. A Periș, nelle vicinanze della capitale, per uso degli acquirenti cittadini, ghiotti di contraffazioni rurali, si cuociono oggetti di lavoro più complicato (6) e più variopinti, mentre il vasellame moldavo non ha che qualche rara macchia gettata qua e là con gusto squisito.

Un uso antichissimo, che si ritrova in molti paesi dell’Oriente ed anche dell’Occidente, è quello di tingere di rosso, di turchino, di violetto, di giallo, le uova di Pasqua — in Romania si chiamano comunemente «uova rosse» (ouă roșii) — per regalarle ai parenti, agli amici, o per tenersele. Presso i Romeni, questo lavoro delicato, fatto solo dalle donne, che [p. 87 modifica] si servono di un pennello intinto nella cera bollente e maneggiato con straordinaria rapidità (questa parte resta bianca quando l’uovo è immerso nel colore) costituisce uno dei più importanti capitoli dell’arte popolare.

Gli «artisti», a indicare i disegni del ricamo, usano i termini più poetici, talvolta anche satirici, per esprimere quanto hanno voluto riprodurre della natura ambiente. Si hanno quindi, fra gli strumenti e gli utensili: il frustino (gărbaciu), la sedia, il tavolino, il bicchierino, lo sprone, il ferro da cavallo, il rastrello, la lancetta, il candeliere, il martellino, la piccola navetta, la chiave del mulino; nel regno vegetale: la «foglia nella vigna», il «grappolino», il «fiore della scala», l’«abetino», accanto alla spiga, al ramo, alla rosa, al basilico, al fiore di fragola, al «fiore dei principi», al «fiore d’Alessio» (probabilmente = Alessandro Magno della leggenda); nel mondo animale: il pollo, il «pollo malato» (stârcit), il bruco, il serpente, il piede e l’occhio della rana, il corno del montone, l’unghia della capra e quella del gatto, la lingua pure del gatto, la gazza (pupăjoaia), il gallo, lo scarabeo (rădașca), la pulce, il ragno. La poesia non manca nella «donna infuriata» (mânioasă), la «mazza del monaco», il «cammino della morte», le «straniere» o «le stelle». «Scrivendo» (a serie, a încondeia), «variegando» le uova nel modo più individuale, così che raramente due esemplari si somigliano, allo stesso modo che sulle forche con le quali l’uovo decorato ha spesso in comune la infinita complicazione del disegno, si cerca di riprodurre «la croce», «il pastorale», «la cintura del pastore», la «piccola lampada», la «bisaccia del pastore», la slitta, l’altalena, l’amo, il ferro dell’aratro, la gabbia, la foglia di ciliegio, i chiodi di garofano, le ghiande, le zampe d’oca, l’ala dell’avvoltoio, la chiocciola, la ranocchia, la libellula, il formicolio delle stelle (7). [p. 88 modifica]Costume popolare valacco del distretto di Argeș [p. - modifica]

Note

  1. Oprescu, op. cit., tav. LIII, LIV.
  2. Cfr. Commissione dei monumenti storici della Romania, Curtea Domnească din Argeș, Bucarest, 1923.
  3. Oprescu, op. cit., tav. LV, prima riga. V. Haberlandi, op. cit., tavola VIII, n. 7: la somiglianza è evidente.
  4. Oprescu, op. cit., tav. LVI, LVII bis.
  5. Vedi anche la maggior parte degli esempi dati da Oprescu, op. cit. tavole.
  6. Ibid., tav. LVI.
  7. V. la Prefazione.