L'arte popolare in Romania/Capitolo VI
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CAPITOLO VI.
l’arte popolare negli arnesi e negli utensili.
In fatto di arnesi e di utensili, bisogna cominciare da quelli semplicissimi, ma spesso decorati con gran cura, opera del pastore quando è «a munte», sulla montagna, e dispone di molto tempo libero.
Prima di tutto, il pastore copre di ornamenti molto vari, d’un carattere individualmente originale, il suo vincastro, la bâtă (bonță) o căpcel, la măciucă (mazza). Il vincastro così decorato si dice «scritto» (scrisă), «screziato» (împestrițată, împestrită), «inciso» (crestată, încrestată), împuitată, împuiată («che ha degli ornamenti da pulcino») «dipinto» (zugrăvită), «formato» (înformată), ornato a serpentina (șerpuită), «piumato» (împănată), «ornato» (chindisită). Quando ha delle incrostazioni di metallo, il vincastro è «ferrato» (ferecată).
Su tutto il vasto territorio percorso dal pastore transumante, i disegni incisi entro il legno, preparato o no, talora colorato o semplicemente annerito, spalmato di grasso o esposto al fumo (1), hanno tutti lo stesso carattere, assolutamente geometrico. Il cromatismo, alternando del rosso, del turchino (in Transilvania), raramente interviene: tutto si riduce a un lungo lavoro ostinato, minuziosissimo, che cerca di riempire tutto lo spazio disponibile e vi riesce.
Nulla manca, in questo lavoro d’amore profondo, di raccoglimento quasi religioso, degli ornamenti che abbiamo descritti nel capitolo della casa e del vestiario. Il pastore artista raccoglie tutto quanto ha visto e vi aggiunge, nel campo stesso della geometria di stile arcaico, le raffinatezze della propria immaginazione particolarmente spontanea.
L’oggetto è dapprima tutto coperto da un lavoro delicato di punteggiature, di tratteggi, di zig-zag angolosi, su cui risaltano fortemente le decorazioni più nette e originali. Si ha la croce e il rombo, la stella, la serpentina, la rosetta, le foglie lanceolate, e anche degli ornamenti in linea curva che ricordano le «cinture», gli astragali di mezzo delle pareti esterne delle chiese. Mai, neppure sulla parte curva del pomo, che pure vi si presterebbe, si ha il tentativo di riprodurre una testa di animale o d’uomo, come nelle pipe di lavorazione originariamente popolare dell’Occidente. Parti chiare contrastano con quelle annerite dairacciunularsi di tratti minutissimi; si hanno anche i quadrati bianchi e neri come negli scacchieri. Spesso, un’incisione più profonda crea una specie di sporti di finestre nella lunghezza del legno, Dei fogli di metallo inchiodati sono sottoposti a un’analoga elaborazione. Qualche rara volta il materiale è intagliato in modo da creare parecchi registri nel senso della larghezza, con dei rigonfi e degli angoli rientranti.
Il flauto del pastore, che ha lo stesso nome, fluier, che presso gli Albanesi, eredi dei Traci per una buona metà, almeno, della loro lingua, può essere decorato nello stesso modo. Negli esemplari più semplici, che i mercanti ambulanti offrono agli acquirenti, appaiono anzi delle linee d’un lavoro più facile.
Ma nella cintura del custode di mandrie si trovano degli utensili che spesso, per il suo paziente lavoro, raggiungono le più ricche forme di ornamentazione, come la scatola che contiene il rasoio, l’astuccio di legno del coltello, la «tasca» (pungă) per il tabacco e la berbință o berbeniță, che serve a contenere ogni accessorio e che un tempo era la misura di capacità per il formaggio. Aggiungiamo ancora tutta la parte di legno della frusta, la sua «coda» (codorâște, o codiriște, da coadă «coda», col suo suffisso slavo). Le pipe spesso si comprano al mercato, e raramente offrono quella varietà di forme che si osserva in alcuni paesi dell’Occidente. Certi pescatori scolpiscono i loro remi (lopeți).
Solo in pianura, qua e là, dei musicisti popolari fanno risonare il cimpoiu, la vecchia zampogna italiana degli avi latini, di cui si ascoltano, con speciale curiosità, i suoni prolungati o rapidi. Nell’album transilvano pubblicato da D. Comșa, — non esiste alcuna raccolta analoga nè per l’Antico Regno, nè per la Bucovina, nè per la Bessarabia — si trovano delle «code» di cornamusa, delle cărăbițe (probabilmente significa «piccole navi»), delle clipote, nelle quali si è sfogata l’iminaginazione creatrice del proprietario. Esse corrispondono alle «code» di guzle, più rozzamente lavorate, che presentano la Bosnia e il Montenegro (2).
Nella casa stessa del contadino si trova un limitatissimo numero di utensili. Alcuni ricettacoli, come le scatole, cutii, che talvolta in certe regioni hanno nomi speciali, — per esempio la turturușă transilvana, che prende nome dalla tortorella, — le saliere e le pepaiole (sărărițe, da sare, latino sal; nella lingua cittadina si usa il termine slavone solnițe, pipernițe, da piper = pepe) sono talvolta finemente lavorati col coltello degli uomini.
Ma gli oggetti meglio scolpiti sono i vasi da cucina, i bicchieri di legno e i cucchiai col lungo manico ornato. Fra queste cauce (singolare cauc, il cui nome significa pure: piccolo cappello quadrato degli uomini), queste căpcele (singolare căpcel; il nome non viene da cap, testa, ma probabilmente da cupă, coppa, originariamente cupsel) vi sono degli esemplari del massimo valore, che riuniscono i più svariati elementi del disegno geometrico; le code specialmente, coi loro angoli rientranti e sporgenti, sono di una meravigliosa «filigrana» di legno, del più bell’effetto. I bicchieri oblunghi presentati da Arturo Haberlandt, che ebbe a sua disposizione le ricche collezioni balcaniche di Vienna, sono evidentemente inferiori come ricchezza e anche come delicatezza di lavoro (3).
I cucchiai (linguri, dal latino volgare lingula, proveniente dal verbo che significa: leccare), con la loro «coda» allungata, che suggerisce dei raffronti con gli uccelli, consentono a questa ingenua scultura forme complicate e nuove. Accanto alle rosette, alle croci d’ogni sorta, ai circoli vuoti — perchè il lavoro oltre l’intaglio si serve di spazi bianchi — , agli angoli, alle punteggiature, si hanno dei galli con la cresta ornata di disegni geometrici, degli uccelli bizzarri ravvolti a spirale come serpenti, o almeno delle code di volatili.
Il burro, il formaggio, escono da forme il cui lavoro, più rozzo, non manca però di originalità: è il păpușar, nome derivante da păpușă, bambola. Vi si distinguono pannocchie di granturco, animali, etc.: senza dubbio si ha un’imitazione delle usuali forme germaniche. Il pezzo di legno su cui si serve la polenta di granturco (mămăligă) è pure talvolta scolpito. In Moldavia specialmente si fanno col ferro arroventato dei disegni simili a quelli delle camicie sull’orlo dei secchi (cofe, cofițe) o sulle botti o sulle zampogne.
Non c’è nulla però, in fatto di scultura e talora anche di cromatismo, che uguagli la bellezza degli strumenti che servono alle donne per tessere le meraviglie di cui abbiamo a lungo parlato. Il fuso (fus) ha le forme graziosamente ornate della «guglia» dei tetti; si prodigano le stelle, le rosette, sulle pristene, le prisnele (talora si dice: prisnel-boboc, a causa, credo, Costume popolare valacco Costume di pastore transilvano della somiglianza con un bottone di fiore), ossia i piccoli gomitoli che corrono da un capo all’altro durante il lavoro del telaio. Ma il maggiore sforzo di decorazione, fatto dagli uomini, si esplica nelle rocche, che fan parte della dote delle fidanzate, regalo di valore per la nuova famiglia, e che spesso, nelle riunioni serali, le șezători4(da a ședea, sedersi; lavoro seduto), sono un mezzo per rivaleggiare con le altre donne, e sono anche, secondo una pessima abitudine, almeno in Transilvania, l’oggetto su cui si sfogano gli scherzi dettati dalla manìa di distruzione dei giovani, quando le veglie volgono al termine.
Per rendere più bella questa «forca», furcă, così detta dalla estremità forcuta che le sta sopra, l’artista si rivolge a tutti i campi della decorazione. Sul corpo, rettilineo o spezzato, rigonfio qua e là, o rotto in parecchi pezzi, di questo ordigno essenziale, che è come lo scettro rispettato delle donne avvezze a filare anche mentre camminano, con un gesto di sovrana imponenza, quasi in un riflesso di odissea, si trovano la punteggiatura, la stella, la croce semplice, il crocifisso di chiesa, la croce con le estremità ad anello, le foglie lanceolate, le braccia incrociate dell’X, gli angoli, le linee parallele, i rombi, i circoli bianchi e neri alternati, la serpentina, la foglia di trifoglio, la spiga di grano. Da ogni parte si raccolgono i particolari; questo ricorda la serie delle tavole scolpite del chiuso, un altro i «ruscelli» della camicia, un terzo la campanella dei fiori montanini; e v’è anche l’imitazione del tetto, della «guglia» che gli sta in cima, delle croci sulla strada maestra, delle ruote del carro, delle corna del bue; certe linee son quelle dei manoscritti ornati, e delle lettere d’ogni forma vengon fuori per indicare il diritto di proprietà della donna che conserva questo documento della simpatia ispirata, del lavoro fatto con infinita discrezione.
In nessuno dei paesi cui l’antica Tracia trasmise i tesori delle sue attitudini artistiche, e, fra le altre, lo stesso modo di decorare le rocche (5), si trova questo trionfo della scultura rustica. È certo che questi elementi hanno guadagnato col sistema «turco», adottato dagli artefici che vivono in città» di ornare con incrostazioni di madreperla secchie, tavole» scrivanie, cornici, bastoni, e persino porte di moschee o di palazzi. Anche i Principati romeni son pieni di lavori di questo genere, dovuti probabilmente a indigeni (quadri di madreperla al monastero di Cernica, presso Bucarest, al Museo di Sinaia; scrivanie un po’ dappertutto).
Oltre i semplici pastori e contadini capaci di fissare sul legno intagliato i graziosi capricci della loro immaginazione, v’è stata presso i Romeni tutta una classe di artefici di campagna, che hanno lavorato per i boiari, per i mercanti e per le chiese.
A queste ultime specialmente hanno dato le più svariate forme di candelieri (6), coperti di pitture rosse, turchine che finora non sono state nè raccolte nè studiate. Nei piccoli santuari non è raro vedere dei candelabri sospesi d’un bel lavoro paesano. Accanto ai crocifissi fabbricati secondo la foggia del Monte Athos, con tutto un intrico di santi in rilievo minutissimo, gli stessi contadini danno alle chiese povere delle croci semplicemente lavorate, portanti attorno alle loro braccia il circolo delle «troice» che si trovano sulle strade maestre o nei cimiteri. E questi rustici «maestri» meșteri, talora si sono anche arditamente cimentati nel grande compito di dare delle porte all’iconostasi, scolpita con una pazienza senza esempio, spiegabile solo con la profonda pietà, da monaci specializzati in questa professione piuttosto che da artefici cittadini.
Note
- ↑ D. Comșa: Album de crestături în lemn, Sibiiu, 1909, p. 4.
- ↑ Haberlandt, op, cit., tav. XXI.
- ↑ Haberlandt, op. cit., tav. XX ha delle «coppe» simili, molto meno riccamente ornate.
- ↑ D. Comșa lo dice nella sua prefazione alla raccolta di sculture in legno (v. la bibliografia).
- ↑ V. Haberlandt, op, cit., pp. XVII, XVIII.
- ↑ V. Zagoriț, in Buletinul comisiunii monumentelor istorice, VII p. 16 e sgg.