L'agiografia di San Laverio del 1162/Capitolo XXV

Capitolo XXV

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Capitolo XXV.

UN ALTRO SECOLO Di CONTESE (1584-1666).

Qui, agl’intenti del mio lavoro, potrei mettere termine a questo episodio spicciolo di storia ecclesiastica. Ma ai futuri storici della vita municipale delle nostre contrade non sarà inutile materia la notizia di queste contese; e poiché ancora inedito è il libro del dottor Ramaglia, che fu lo storico di esse, io esporrò, con quella brevità che comporti la chiarezza, le ulteriori peripezie di questa, che il buon Ramaglia dice < memoranda tragedia, > della quale egli non poteva, scrivendo, ricordare senza lagrime < le piaghe inflitte ai suoi concittadini. > — E il mio lettore abbia pietà alle di lui lagrime!

Nel 1584 venne vescovo di Manico un Antonio Fera dei Minori conventuali; e risollevando da capo l’antico conflitto presso la sacra Congregazione dei vescovi regolari, si querelò di usurpata giurisdizione dal novello arciprete Camillo Catino. Fu commessa all’arcivescovo di Salerno, Colonna, la informazione dei fatti; e quegli chiese ed ebbe dalla curia di Marsico la copia di quel processo informativo che era stato compilato dal commissario Parisi per la querela del 1572. Sulla relazione dell’arcivescovo di Salerno, la sacra Congregazione nel 1584, decidendo in via provvisionale, mantenne il capitolo di Saponara nel possesso dei diritti esercitati tanto per la elezione dell’arciprete, quanto per la giurisdizione di questo, però cumulativamente col vescovo, e senza pregiudizio alla prova in contrario. Il vescovo ricorre al tribunale della Camera Apostolica; e questa, nel 1591, riconferma il possesso al capitolo; se non che quegli ne appella alla Signatura di Giustizia ed ottiene sia commessa la causa alla Boera Rota; ma il Ponente (come dicevano il relatore, o commissario della causa) riconosce di nuovo il diritto del possesso nel capitolo; e condanna il vescovo alle spese. [p. 95 modifica] Il vescovo paga; e da capo. — Tutte le vie portano a Roma; e parecchie, a piedi e a cavallo, ai suoi tribunali! Impetra egli dal papa una nuova commissione o riesame della lite dalla sacra Rota; ma andato a monte il riesame, torna nel 1502 alla sacra Congregazione dei vescovi, e questa volta con migliori auspicii. Dappoiché si querela di un nuovo attentato dell’arciprete avversario, come colui che si faceva lecito di pubblicare giubbilei nella sua diocesi-città, e rilasciare lettere patenti di approvazione ai confessori! All’appuramento delle vecchie e nuove querele fu delegato il vescovo di Capaccio; e nel 1592 la Rota sentenziò che, pei nuovi fatti di approvazione a confessori e indizione di giubbilei, l’arciprete non aveva il possesso immemorabile, e incorreva nella pena della sospensione di ufficio e beneficio — e fu sospeso; ma per tutti gli altri capi delle antiche querele, il possesso era in lui ab antiquo, e ve lo manteneva. — Il vescovo Fera, macerato dall’ira, si morì nel 1600.

Dopo tanti ripicchi e battaglie era lecito di sperare inconcussa la forza del proprio diritto. Ma non fu.

Quell'Ascanio Parisi, che nel 1578, da commissario del vescovo, aveva sentenziato a favore della chiesa saponarese, è fatto vescovo di Marsico nel 1601. Ma da vescovo non riconosce quello che aveva deciso da giudice. Ricorre ai tribunali di Roma anche lui contro < le usurpazioni > dell’arciprete: ed ito di persona ad limina, avviene, un bel di, che scoprono scomparso dagli archivi romani, ove era deposto, quel processo del 1572, informativo per titoli e testimoni < dell’immemorabile possesso > nell’Ordinario di Saponara; il quale processo, compilato per parte della curia marsicana dal Parisi commissario, era stato richiesto, come abbiamo detto poco innanzi, dall’arcivescovo di Salerno delegato della Congregazione dei vescovi, e da questo mandato a Roma nel 1584. L’ecclissi del documento fece scandalo: e i pubblicati monitorii di scomunica contro autori e detentori non furono che formule sciupate. Ebbe intanto facoltà nel 1608 l’arciprete di Saponara di rifare le prove del < possesso immemorabile: > ma i testimoni della nuova generazione (e qui era la ragione evidente del processo trafugato) non potevano attestare cose che sorpassassero il limite della loro infanzia.}}

Dalle nuove prove raccolte il < possesso immemorabile > non parve abbastanza provato alla Rota giudicatrice. La quale perciò,


[p. 96 modifica]mancata che era la preva della < eccezione > nella chiesa saponarese, riconosceva come regola la pienezza del diritto nel vescovo. Sentenziò quindi nel 1607 come usurpata la giurisdizione di Ordinario nell’arciprete! — e della sentenza (non so il perchè) clero ed avvocati non portano appello, o passa in giudicato.

Muore il vescovo Parisi nel 1614; e nuovi monitorii di scomunica, invocati dall’arciprete, producono migliori frutti. Taluno in confessione si discarica; tal altro offre notizie o barlumi. La Curia incarcera in Roma un tale che fu già l’uomo d’affari del vescovo di Marsico; e in casa di lui trovano un sommario del processo trafugato o lettore che ad esso si riferiscono. Si aveva dunque un principio di prova scritto a favore del derubato; il quale perciò dimanda la restituzione in integrum, e chiede sia obbligato il vescovo a presentare l’originale del processo scomparso, che essere doveva negli archivi della sua curia. Con decisione del 1616 è ammessa, in massima, l’azione di lui; con altra del 1617 gli è riconosciuto l’antico possesso; con altra del 1621 sono decise a favor suo altre incidentali querele sollevate dal vescovo per la nomina de’ confessori. La Rota, inoltre, sentenziò fosse negata < l’udienza, > cioè il diritto di stare in giudizio al vescovo di Marsico, finché egli non avesse presentato l’originale processo del 1572, di cui la copia legale era stata involata a Roma. Era giustissimo.

E parve un momento che la fortuna sorridesse a tanta energia di resistenza in questo rappresentante di antiche giurisdizioni autonomo contro l’incalzare di una nuova o invadente evoluzione del diritto ecclesiastico. Nel 1623 il cardinolo Sanseverino, che era nato nella città di Saponara, della quale era signore fendale la casa di lui, ottenne da Urbauo VII all’arciprete della Collegiata saponarese l’uso dello insegno pontificali. Era un colpo di spada permanente al petto del vescovo! Lo stesso capo della potente famiglia, che portava il titolo di conte della Saponara, non cessò di proteggere la causa del clero, i cui privilegi erano titolo di onoro al suo feudo; o al patrocinio di lui parve dovuta un’altra vittoria del prelato saponarese di fronte al vescovo di Potenza, che dimandò ed ottenne da Roma di potere eseguire, secondo il rito o la disciplina, la < visita > alla chiesa saponarese, vedova, come diceva, per tanti anni del suo pastore. Al tentativo di < visita, > proteste e querele vivissime [p. 97 modifica] da parte del clero reuitente; processi, scomuniche e interdetto a tutto il popolo da parte del vescovo focoso. Poi l’interdetto fu casso da Roma.

Venne vescovo di Marsico nel 1640 fra Giuseppe Ciantes, domenicano e romano. 11 vecchio pruno pungeva ai fianchi di tutti i vescovi; e il Ciantes, di molte aderenze e di carattere intraprendente, si dà tosto a rimuoverlo. Spicca parecchi monitorii; e torna a Roma; e studia di ottenere < l’udienza > giuridica negata ai suoi predecessori. La cronaca manoscritta, che mi è di guida in questo laberinto giudiziario o curialesco, avverte che siamo ai tempi di papa Inuocenzio X, e parla della protezione di Donna Olimpia, che fu concessa al vescovo di Marsico mercè quegli argomenti dell’epoca che tutte lo storie ricordano. Il vescovo ottiene dalla Siguatura di Giustizia la restituzione in integrum per < l’udienza > nel 1G47. Le opposizioni deU’arciproto non valgono; il processo originale non è presentato, od egli è per soccombere.

Si torna adunque lì donde si era partiti; e il vescovo ha bel gioco. Non è colpa sua, egli dico, so il processo non esista negli archivi di Marsico; ha diritto a difendersi, e la difesa del suo diritto è tutta nella decisione stessa della sacra Rota del 1607; la quale è già un giudicato inappellabile o indistruttibile. Questa decisione dichiara non provata la eccezione saponarese del < possesso immemorabile. > Che si vuole di più?

La Rota, per vero, ordina all’arciprete che completi la prova; e commette al vescovo di Anglona che raccolga testimonianze e documenti, traendoli pure dagli archivi della curia marsicna; e il vescovo commissario compie del suo meglio il fatto suo.

Le memorie manoscritte che io seguo, affermano che il processo sussidiario del vescovo di Anglona raffermasse le prove del buon diritto saponarese; ma spedito che fu a Roma in quei momeuti di turbolenze e di guerre che tennero dietro a’ rivolgimenti del 1647, incagliò per via, e non ginnse a Roma che a causa finita, dopo che erano trascorsi i termini, e la Rota aveva già, senza di esso, deciso. — Tirava, per verità, un vento punto propizio alle minori ed eccezionali giurisdizioni delle città accnmpantisi contro il diritto del vescovo diocesano; e d’altra parte, accaddero allora a Saponara, ed ebbero eco larga di scandali, commesse dalla fa [p. 98 modifica] miglia baronale, violenze di sangue e prepotenze contro a preti e frati, e monache claustrali della città.1 Parve, o si finse di credere, che cotesto diritto singolare del clero saponarese fosse un continuo crollo all’autorità della Chiesa, e un continuo fomite al mal costume, non represso dall’autorità della chiesa emendatrice. La Rota adunque decide da capo, nel 1651, che, non essendo provato a sufficienza < l’immemorabile possesso > invocato dalla chiesa saponarese, aveva luogo la regola generale della giurisdizione vescovile, come già ebbero ritenuto altre sentenze e precipuamente quella del 1607.

Non valsero altri ganci di appelli, nè cavicchi di nuovi incidenti a rimuovere il Dio Termine di questa sentenza. Era il finis Poloniae! I canonici del duomo di Marsico vollero tramandare ai posteri il ricordo di tanta vittoria; e rizzarono un marmo 2, che ancora esiste, a salutare il vescovo Ciantes come quegli che

JUMA ET JURISDICTIONEM IN HAC DIOCESI
LONGO TEMPORE OCCUPATAM ACERRIME ROME DEFENDIT
ET IN PRINTINUM BESTITCIT

E i canonici di Saponara, ripensando mestamente ai cavalli donati con le doppie d’oro a Donna Olimpia, ripetevano:Habent sua sidera lites! — e il buon dottore Ramaglia, ancora commosso dopo un secolo da tuito fatto, scioglie un inno di stilo rococò, che destinato a rispondere, come io credo, allo soddisfazioni epigrafiche dei canonici di Marsico, giova di presentare al lettore come fiore poetico, che allieti la mia arida prosa:

< Maledetto denaro, scomunica della puntualità, censura della fede, passione della quiete, burrasca della mente, naufragio dell’anima! non vi è fiamma di risse che non si stuzzichi con


[p. 99 modifica]denari; non vi è odio che non fomenti. L’onore si compra con peso d’oro; coll’armonia della moneta si riconcilia l’amore; la fedeltà per i soldi si sperde; la giustizia si misura in bilancie di argento. Proteo dei metalli, si cangia ognora in varie forme; formidabile guerriero, abbatte robustezza di rocche più con i lustri dell’oro, che con lampo di spada. Rettorico per effetto, persuade, senza parlare, ognuno: pescatore famoso, non fa preda che degli animi umani: monarca dei cuori, un mondo intero ai suoi cenni obbedisce. Sferico di figura, si dipinge un zero e pesa assaissimo: tondo come la luna, li s’imprime forme di re, ma con colpa di reo. Egli solo sbaraglia la mente, conculca i forti, confonde i savi: consigliero di frodi, autore d'inganni, per esso si baratta l’amore, la coscienza, l’anima, la fede, e si rinnega Dio....3 >

Ma nè l’inno archilocheo dei vinti, nè altri incidenti giuridici risollevati da capo dai canonici saponaresi, arrestarono il vescovo Pinerio, successore al Ciantes, dall’ottenere finalmente un mandato d’immissione in possesso. Il mandato fa roborare, come dicevano, del regio assenso; c con l’assistenza solenne

della potestà civile, che era la regia udienza di Salerno, prese il possesso di fatto nel 1666. [p. 100 modifica]

— 100 —

E così aveva termino nel 1666 questo infinito litigio che ebbe principio nel 1530; del quale litigio io sento di non avere segnato, ancorché men sobriamente di quello che volevo, se non i lineamenti precipui: ma di cui gli episodii e gl’incidenti e i germogli furono tali e tanti, che a contenerli non sarebbe sufficiente un volume, e a digerirli non sarebbe stomaco di lettore che basti. Ma il termine della lite non fu il principio della pace. Nuove contese ripullulano.

Note

  1. Queste prepotenze sono appena accennate «lai prudente scrittore che io segno — (era in causa la casa dell’Eccellentissimo Padrone!) — e sarebbe utile saperne di più alla storia dei costumi del tempo. Pare si trattasse di qualcosa come di un fra Cristoforo bastonato, di un prete ucciso in chiesa, e di non so che monache trafugate o strapazzate!... per ordine e spasso di Don Antonio Sanseverino, fratello al conte padrone della Saponara. — Erano, autentici, i tempi di Don Rodrigo!
  2. Apud Udrei.li, VII, 521. — Al marmo è posta la data del KM9: fu dunque messo qualche tempo prima dell’ultima e definitiva sentenza rotale.
  3. MS. Opera citala, cap. XXVIII. — So l’inno in prosa non garba al mio lettore, eccolo tradotto in versi — chi il crederebbe? — da un poeta clic 6 detto oggi di prima riga, l’A. De Mcsset: De tous les fils secrets qui font mouvoir la rie, O toi, le plus subtil et le plus merveilloux! Or! principe do tout, larme au soleil ravieI Seul dieu toujours vivant, parmi tant de faux dieux; Méduse, dont l’aspect change le cœur on pierre, lit fait tomber en poudre aux pieds de la rosière La robe d’innocence et dejirginité! Sublime corrupteur! — Clef de la Tolonté! Laisse-moi»’admirer! — parle-moi — riens me dire Que l’honneur n’est qu’un mot; que la vertu n’est rien: Que, dis qu’on te possède, on est homme de bien; Que rien n’est vrai que toi! — Qu’un esprit en délire Ko saorait inventer de rêves si hardis, Si monstrueusement en dehors du possible, Que tu ne puisso encore sur»on levier terrible Soulover l’unirors, pour qu’ils soient accomplis! La Coupe et tei L)vrn, II* acte, s«. I.