L'agiografia di San Laverio del 1162/Capitolo XXIV

Capitolo XXIV

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Capitolo XXIV.

CONTESE GIURISDIZIONALI.— DAL 1530 AL 1578.

Eletto che fu nel 1530 dai suoi chierici l’arciprete della chiesa saponarese, s’indiresse, come di uso, al vescovo di Marsico per la conferma; ma questi ricusò, e surse allora un primo o proprio litigio di dritti giurisdizionali. Al litigio pose termine una decisione della Curia romana del 1534, che confermò la nomina dell’arciprete fatta dal suo clero con tutti i dritti che l’uffizio per antica consuetudine avesse goduto. Questo fu come il prologo del lungo dramma.

Nel 1541 venne vescovo di Marsico un Marzio de MartiisMedici.Egli che era stato al Concilio di Trento, portò in diocesi lo spirito del concilio, che, accentrando i poteri ecclesiastici o sulle minori sollevando le potestà episcopali, voleva eliminate dalle minori potestà ecclesiastiche i dritti proprii dei vescovi.

Trovò egli nella sua diocesi il capo dei preti di Saponara che esercitava appunto dritti di vescovo, e autorizzava confessori, giudicava in cause matrimoniali, teneva sinodi. Laonde nel 1572 ordinò fosse aperta un’informazione giuridica contro l’arciprete del tempo, Ettore Giliberti, per colpa di usurpata giurisdizione.

E citato costui per lo informazioni di rito, fu facile a lui di dimostrare, nel capo della chiesa saponarese, l’antico possesso e immemorabile dei dritti impugnati. Allora il vescovo sospende l' inchiesta processuale, ma non decide la controversia, non cassa il libello di citazione; o invano il clero saponarese si querela ripetutamente di denegata giustizia, a lui finchè visse. Ma lui morto o rimosso, o venuto a succedergli a Marsico un suo nipote, a nome Angelo de Martiis-Medici, questi deciso in via giuridica sul fatto controverso. E la sentenza che è del 1578, e che fu pronunciata (è mestieri di ricordarlo) dal commissario e vi[p. 92 modifica]cario del vescovo marsicano a nome Ascanio Parisi, dichiara: 1° che la chiesa di Saponara è «collegiata,» ed esercita da tempo immemorabile il diritto di eleggere l’arciprete, cui il vescovo non dà se non la conferma; 2° che competa all’arciprete unicamente — privative — la cognizione «di tutto le primo cause civili, criminali e miste, contro ai chierici o ai laici che tocchino allo spirituale» — cognitionem primarum causarum, civilium, criminalium, et mixtarum omnium contra clericas, presbyteros et laicos, — eccetto le cause che importino pena di morte o recisione di membra, e le cause matrimoniali; le quali spettano alla curia del vescovo, una alla cognizione di tutto cause in appello.

Questa medesima sentenza riconosceva nel capo della chiesa saponarese la facoltà di pubblicare costituzioni sinodali; ed un diritto altresì che a noi lettori di altra età fa inarcare le ciglia, ed è il diritto di permettere ai componenti del clero saponarese di comparire in giudizio, sia come attori, sia pure come testimoni innanzi al giudico secolare.1 — Se doveva permettere, poteva negare! E questo era un bel modo di richiamare i laici, volenti o nolenti, innanzi ai tribunali ecclesiastici!

II vescovo De Martiis ratificò con suo speciale atto del settembre del 15782 cotesta sentenza del suo Vicario.

Lo storico Ramaglia, che nel suo inedito volume riferisce tutti i documenti del processo o segue passo a passo le varie vicende della lunga controversia, scrive queste parole, che occorre al mio scopo di riferire. In virtù dell’informazione processuale del 1572 «dovendosi (egli dice) proceder nella causa, non si mancò, per parte del Collegio (cioè del clero di Saponara) e dell’arciprete Giliberto, andar rattrovando ed unendo scritture antiche, dallo quali apparato fosse l’esercizio della giurisdizione (oltre degli testimoni esaminati nella difesa, al numero di 24, e vecchi e forastieri); colli quali onninamente provò che da tempo immemorabile gli arcipreti della Saponara avevano esercitata la totale giurisdizione quasi vescovile, come Ordinari, anche contro li stessi vicarii generali di Marsico che delinquito [p. 93 modifica]avessero nella Saponara, con averli tenuti carcerati. Siccome accadde a Lucio Pulcinella, che, essendo vicario della curia marsicana, per certo insulto fu inquisito dalla curia dell’arciprete, e tenuto molti mesi nelle carceri di Saponara; e l’arciprete poi, per pacificarsi col vescovo, li fece la grazia.... > Io trovo in queste parole del Ramaglia quello che, nelle corti di giustizia, usa dire la causa a delinquere; la causa che determinò qualche erudito uomo della cittadinanza sapouarese alle postume manipolazioni della leggenda che di sopra abbiamo indicate.

Si può, anzi, da queste parole designare i limiti di tempo in cui le interpolazioni si fecero; o questo va circoscritto tra il 1530, epoca dei primi litigi puramente giurisdizionali, e il 1578, in cui ebbe un primo termine che parve fine, o non fu che sosta, la lunga o intralciata tela.

L’arciprete, il clero e tutta intera la città di Saponara, in possesso pubblico o pacifico per molte generazioni di quei diritti che erano un privilegio alla chiesa e un titolo di onore alla città, non potevano non essere profondamente commossi dalle pretese, dai cavilli e dalle prepotenze, come parevano, dell’autorità vescovile. All’interesse di un ceto prevalente si aggiungeva la gara di municipio; ai diritti della chiesa quelli della città; e più che controversia speciale ad un ordine di persone, addivenne contesa patriottica di tutta la cittadinanza. Il fatto della contrastata giurisdizione per essi esisteva così, come le cose che si vedono, si toccano e si palpano: ma era a loro imposta la necessità di dimostrarlo per via di prove giuridiche, siccome esistente non oggi soltanto, ma nel passato altresì, e in un lontano passato; al quale non si poteva estendere la ricordanza di testimoni viventi e parlanti, ed era forza di ricorrero alla parola di testimoni muti, i documenti. Quale maraviglia adunque, se o l’interesse, o l’amor di patria, o la boria di municipio, o il ripicco altresì avesse determinato taluno, sia a ricamare una gala di storia intorno ad un lembo di tradizione orale, sia a chiarire o integrare la tradizione in documenti acconci a sostenere una tesi evidentemente giusta per essi, perchè sanzionata dal possesso pacifico, continuo, pubblico, e indisturbato di tante generazioni?

Note

  1. Eccone le parole: .... E (licet) concedendi licentiam
  2. Apud Ramaglia, Ms. cap. XVII.