L'agiografia di San Laverio del 1162/Capitolo IV

Capitolo IV

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Capitolo IV.

CIÒ CHE S’INTENDE DIMOSTRARE.


Queste tre parti della leggenda, chi ben guardi il testo di essa, hanno tra sè diversità d’intenti, differenza sensibile di stile e di colorito; e qui e qua un concatenamento di concetti logicamente sconnesso, e tale un concatenamento di periodi che svela la rappezzatura. Lo stile della seconda parte è meno inculto e men ruvido della prima; mostra un’abbondanza, anzi una certa ambizione di ornamenti che la prima non ha; e una certa, che si tradisce, appiccicatura di frasi e di notizie che non fanno direttamente allo scopo della storia del santo, quale è veramente il subbietto della prima parte.

La quale corre di un getto in una forma di stile, senza dubbio stecchito e di costrutti sintassici stentati; ma ha però una speciale sua impronta che manca alla seconda parte; e questa è l’abbondanza della forma dialogistica, per la quale o lo scrittore aveva una singolare propensione, ovvero imbevuto che egli era delle fonti agiografiche dello stesso genere, ne ritrasse, come qualità propria, anche il movimento drammatico dello stile. Egli più che non narri fa parlare i personaggi del suo dramma; e davvero con tanta verbosità, che lo stesso magistrato romano della leggenda ne fa rimprovero al protagonista di essa. Quando la situazione non si presti al dialogo, sopravviene l’epistola; e di questa il narratore dà titolo, indirizzo, contenuto preciso; poi segue la risposta con l’incorniciatura stessa. Il carattere dialogistico manca, come è detto, alla seconda parte; e manca anche là dove il dialogo sarebbe stato in sede propria e naturale, come quando, a mo’ di esempio, entra in colloquio il vescovo che chiede e il prete custode che nega le reliquie del santo.

L’intento della prima parte è unico e chiaro; è quello di narrare la vita evangelica e il martirio dell’apostolo grumentino. L’intento della seconda parte è duplice: dovrebbe essere unico [p. 11 modifica]anch’esso — quello, cioè, di ragguagliare sulle vicende delle sacre reliquie; ma vi si aggiunge, con un’appiccicatura che tradisce la spontaneità, un sommario che condensa parecchi secoli della storia ecclesiastica della città.

La terza parte mostra un concatenamento logico di periodi del tutto sbagliato. Egli è evidente la imperizia de’ connettitori dei varii frammenti di essa. L’intento manifesto è quello di dar ragguaglio sulle ultime vicende delle reliquie a Satriano o a Grumento. Ma vi si annette la notizia del tempio del martire; perchè sia di occasione a notizia, a frasi e parole scelte appensatamente a prova di un concetto riposto, che nulla ha che fare con le reliquie, ma mira ad attestare che la chiesa saponarese è succeduta nella pienezza dei suoi dritti alla chiesa grumentina, e che i dritti episcopali di questa erano virtualmente in germe nel capo di quella. Premeva d’altra parte di rispondere, da prima, a chi nel secolo XVI trovasse ben povera e meschina la chiesa di san Laverio, che pure negli Atti era detta miræ edificationis (§ 46): premeva di rispondere anticipatamente a chi delle anime pie avesse chiesto, con triste maraviglia, perchè rimanessero senza onore di monumenti decorosi le reliquie del martire, che pure erano mostrate segno di tanto culto nelle narrazioni degli Atti. Era, insomma, la nota postuma di uno spirito riflessivo, che voleva accordare la realtà del presente all’identità della leggenda.

Ora dallo studio di questo monumento noi siamo venuti nella persuasione, che queste tre parti dell’agiografia non sono di uno stesso scrittore, nè di una stessa età.

La terza parte (§ 64-71) è di manifesta aggiunta moderna al più antico monumento; poichè vi si accenna a qualche fatto, che, come la distruzione della città di Satriano, accadde molto tempo dopo il 1162, o propriamente nel secolo XV. La cosa è tanto più manifesta, in quanto che la seconda parte (come vedrà il lettore al § 63) si chiude con quelle formole di uso de’ monumenti ecclesiastici, le quali dicono dossologia, e sono formole consuete terminative alle orazioni e alle pie scritture.

La seconda parte (§ 50-63) non è opera di chi scrisse nella prima parte la vita di san Laverio. Io credo scritta la seconda parte tra la seconda metà del secolo XV e la prima metà del secolo XVI. [p. 12 modifica]

La prima parte nulla ci vieta di credere che sia del tempo nel quale si dice scritta, cioè della metà del secolo XII, tranne però le interpolazioni di nomi, frasi e periodi che non rispondono allo condizioni storiche e letterarie del secolo XII. — Quanto al prologo, in intero, io resto in dubbio. — Nulla inoltre ci vieta di credere, che scrittore di questa prima e genuina parte sia, come porta il monumento, un diacono della chiesa saponarese che ebbe nome Roberto di Romana; poiché costui esistette di fatti.

Le interpolazioni della prima parte, che non possono essere concetto dello scrittore vissuto nel XII secolo, è probabile siano della stessa mano di chi scrisse la seconda parte. Ad ogni modo, quelle interpolazioni accennano ad un rinascimento della cultura letteraria, che non potrebbe essere anteriore al secolo XV.


E facendoci alla dimostrazione della tèsi, è necessario discorrere innanzi tutto della personalità dello scrittore, e delle fonti a cui egli abbia potuto attingere.