L'agiografia di San Laverio del 1162/Capitolo III
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Capitolo III.
PARTI DIVERSE DELLA LEGGENDA.
La leggenda di san Laverio, che si dice scritta da Roberto di Romana nel 1162, va divisa, secondo a me pare, in tre parti.
Nella prima si vuole descrivere la vita del santo e dopo un prologo di dedica,si raccontano le predicazioni,le persecuzioni e i vari tormenti sostenuti da lui per la fede di Cristo, ai tempi di Costantino Magno. Esposto egli nel fòro di Acerenza alle fiere di Africa, queste non lo toccano, ma l’adorano; chiuso in carcere,viene un angelo a liberarlo, e lo guida a Grumento. Qui l’annunzio fecondo della buona novella al popolo ancora pagano: quindi il martirio di lui fuori la città nel luogo ove si congiungono le acque del fiume Sciáura nell’Agri; e la chiesa innalzatagli sul luogo; e il marmo scritto in onore del martire in fronte alla chiesa.
Questa parte (nella edizione che io ne pubblico) va dal § 1 al § 49.
Nella seconda parte s’intenderebbe di narrare non altro che le vicende delle reliquie del martire; ma alla narrazione si intreccia, con sforzo manifesto, una parte della storia di Grumento. La città prospera in florida abbondanza, grazie al patrocinio del martire in cielo e di sue reliquie in terra. Papa Damaso vi costituisce la sede episcopale, e vi consacra a primo vescovo Sempronio Attone, grumentino. Cresce la pietà verso il santo ai tempi di Giuliano Patoma, vescovo; quando custode della chiesa del martire era Latino di Teodora, il quale fu eletto vescovo della chiesa di Marcelliana, che è detta anche Clusitana. Aumentò senza fine sotto l’antiste munificentissimo Roberto Alano. Ma sopravvengono i barbari: orde di Saraceni devastano Grumento ai tempi di Giovanni VIII; e allora i popoli si sperdono raminghi e profughi per boschi e fórre e caverne d’intorno.
Un giorno, per togliere alle profanazioni dei pagani le reliquie del santo, il vescovo di Acerenza giunge alle ruine di Grumento; ed a Probo, prete e custode della chiesa di esso, dimanda le sacre reliquie. Ma Probo, veramente probo, fra pianti e preghiere umilmente ricusa. Accorrono ai suoi lamenti i popoli dispersi; ed a consiglio di un uomo di grande prudenza che ebbe nome Brutio Oriente, una parte del corpo vien data al vescovo di Acerenza, e l’altra rimane in custodia di Probo nella chiesa della devastata città.
Ma novelle torme di Saraceni irrompono. I popoli grumentini nuovamente si disperdono; e tra essi che vanno profughi uuo dei maggiorenti, a nome Goffredo, porta con sè una particola del corpo santo, e questa dà in custodia al vescovo della città di Satriano, ove egli ricovera. Passano intanto anni parecchi, e un novello vescovo di Acerenza, a nome Leone, rinviene le reliquie del santo nascoste in una chiesa suburbana: di qua cou grande onore egli le trasporta nella chiesa di san Giovan Battista nella città di Acerenza; ove chi prega il santo acquista indubbiamente (dice lo scrittore) gli effetti della mirifica grazia di lui.
Questa seconda parte va dal § 50 al § 63.
La terza parte, che va dal § 64 alla fine (§ 71), è di più evidente moderna appiccicatura.
Qui s’intende di narrare le ultime vicende delle reliquie e della chiesa del santo; ma si annette anche qui la notizia delle ultime vicende della chiesa grumentina. Quella breve parte delle reliquie recate a Satriano furono, dopo la distruzione di questa città, trasportate a Tito nella chiesa matrice che è dedicata a san Lavorio. Delle altre rimaste in Grumento, il tempio che le custodiva restò molti anni adeguato al suolo. Il popolo grumentino abitava disperso in paghi non guari discosti dall’antica città; finchè Donato Leopardo, che era preposto alla chiesa di Santa Maria l’Assunta nelle ruine di Grumento, e aveva la cura delle anime del popolo disperso, non intese a raccoglierlo in un solo centro, e questo fu nel luogo detto la Saponara. Si era ai tempi di Leone VIII, pontefice. Ma il Leopardo, impacciato che egli era dalla riedificazione delle chiese parrocchiali, non rifece il tempio del martire grumentino. Questo cómpito l’assolse invece san Luca venuto di Sicilia in Calabria, e di qui a Noja e poi a Grumento; il quale di sue proprie mani eresse la chiesa, ma questa in minori proporzioni e decoro che prima non fosse. Di qui avvenne che il luogo preciso, ove erano riposte le reliquie del martire, sia rimasto ignorato: essendo incerta la tradizione popolare che ne addita il posto in digrosso. Nè meno incerta è l’altra tradizione di un tristo uomo, che, avendo sognato di un tesoro riposto sotto l’altare di san Laverio, venne quivi in chiesa a scavare, e vi trovò invece un cofanetto, entro di cui non rinvenne l’oro sognato, ma sì il capo che era quello del santo. Sdegnato della poca preda, gittò lungi l’inutilo teschio; e questo, battendo contro una prossima colonna di marmo, lasciò in essa l’impronta come fosse di cera. Il giorno dipoi un asinaio trovò per terra il capo odorifero, e questo recò alla ignota città che era sua patria. Ma questa ultima tradizione non è certa (conchiude la leggenda), ma si è certa ed alla vista di tutti la impronta lasciata in fronte alla colonna; ed è credenza che sia rimasta in essa chiesa saponarese una parte del corpo di san Laverio, a cui accorrono devoti i fedeli, ed alla pietà di essi seguono immancabilmente effetti salutari.