L'Uomo di fuoco/1. Sulle coste del Brasile
Questo testo è completo. |
◄ | L'Uomo di fuoco | 2. Gli antropofaghi | ► |
— Signor di Correa, v'è il mozzo di bordo, occupatevi di lui. — (Cap. I).
CAPITOLO I.
Sulle coste del Brasile.
— Terra dinanzi a noi! Scogliere a babordo!
A quel grido, lanciato con voce tuonante da un gabbiere, che era salito fino alla coffa, non ostante le spaventevoli scosse che subiva la caravella, i volti dei marinai si erano fatti pallidi.
Una costa, in quel momento, fra quelle onde formidabili che incalzavano e sbattevano in tutti i sensi la piccola nave, invece della salvezza, rappresentava più che un pericolo, anzi una morte sicura.
Nessuna speranza di sfuggire ad una triste sorte rimaneva a quei disgraziati. Anche se le onde li avessero risparmiati, la terra contro cui li trascinava la tempesta era più da sfuggirsi che da cercarsi, perchè sotto i suoi immensi boschi vivevano ancora i formidabili antropofagi, che già tanti equipaggi avevano massacrati e poi divorati.
Tutti i marinai si erano slanciati, come un solo uomo, verso l’alto castello di prora, interrogando ansiosamente il tenebroso orizzonte.
— Dov’è la terra che hai veduta? — gridò un vecchio marinaio, alzando il capo verso il gabbiere che si teneva stretto all’albero di trinchetto onde resistere alle furiose raffiche che lo investivano.
— Là!... Dinanzi a noi... una costa... delle isole... delle scogliere...
— Camerati — disse il vecchio con voce commossa. — Preparatevi a comparire dinanzi a Dio.
La caravella non governa più, e le vele vanno a brandelli.
– Si è spezzato anche il timone? – chiese un giovane alto e muscoloso, dai lineamenti fieri e dall’aspetto signorile, che contrastava vivamente coi volti ruvidi e abbronzati dei marinai.
– Sì, signor Alvaro; un’onda l’ha portato via un momento fa.
– E non potete sostituirlo?
– Con questi cavalloni? No, signore, sarebbe una fatica inutile.
– E come ci troviamo già dinanzi ad una costa?
– Non lo so; la tempesta ci trascina da tre giorni e sempre verso il sud.
– Sapreste almeno dirmi quale terra abbiamo dinanzi?
– Suppongo che sia il Brasile.
Il giovane fece una smorfia assai significante.
– Non era la mia destinazione, – disse con vivo malumore. – Il Brasile non è Portorico, nè S. Salvador, nè il Darien, signor pilota.
Mi si aspettava nel golfo del Messico e non qui. Non ho affari con questi selvaggi, che hanno la pessima abitudine di mettere allo spiedo gli uomini di razza bianca.
– Temo, signor Alvaro de Correa, che coloro che vi aspettavano non vi vedano mai più a giungere.
– Eh! Non siamo ancora naufragati nè mangiati. Cercate almeno che la caravella non si fracassi completamente.
– È quello che tenteremo di fare, quantunque dubiti assai di riuscirvi.
Il vecchio pilota aveva ben ragione di non avere molta fiducia di salvare la piccola nave.
Un mare spaventevole s’offriva agli sguardi dei disgraziati, che parevano ormai votati ad una morte certa ed erano tre giorni che la durava a quel modo.
Montagne d’acqua si rovesciavano le une addosso alle altre con muggiti assordanti, muovendo tutte all’assalto del povero legno che non poteva più offrire, a quegli urti incessanti, dei fianchi solidi.
Non si creda già d’altronde che fosse una grossa nave, anzi tutt’altro. Nel 1535, epoca in cui si svolge questa veridica istoria, tutte le navi mercantili, eccettuati i galeoni, avevano proporzioni modestissime.
L’enorme tonnellaggio delle navi moderne era affatto sconosciuto. Quando una ne stazzava trecento era già molto e quelle da cento non esitavano ad intraprendere viaggi immensi, spingendosi fino in America e anche nell’India orientale.
Quella che la tempesta stava per scagliare contro le coste del Brasile, terra allora poco nota, perchè scoperta solamente un trentacinque anni prima e per pura combinazione, da Cabral, era una modestissima caravella portoghese di novanta tonnellate, col castello di prora ed il cassero molto alti, il ponte invece assai basso, che le onde spazzavano facilmente, con due alberi sostenenti vele latine e vele quadre e che ormai il vento aveva sbrindellate in tale modo da renderle assolutamente inservibili.
Da tre mesi aveva lasciate le coste del Portogallo diretta alle Indie occidentali, con ventisette uomini d’equipaggio ed un passeggiero, ma come accadeva pur troppo sovente in quell’epoca lontana, in cui la navigazione era molto indietro nonostante l’audacia dei marinai spagnuoli, portoghesi ed italiani, aveva deviato molto al sud, muovendo incontro alle spiagge brasiliane.
La sorte della povera nave, che la tempesta aveva ridotta in tristissima condizione, sgangherandola completamente, ormai non pareva più dubbia, malgrado l’ottimismo del giovane Alvaro de Correa.
Senza timone, senza velatura, col ponte fracassato, le murate strappate, il cassero sfondato, non era più in grado di resistere alla furia delle onde e dei venti, i quali la spingevano inesorabilmente verso la costa segnalata dal gabbiere.
Quella terra nessun altro l’aveva veduta, poichè i lampi erano cessati ed una oscurità profondissima avvolgeva il mare, rendendo l’orizzonte impenetrabile agli sguardi dei marinai. Poteva darsi che il gabbiere si fosse ingannato, nondimeno la situazione non poteva migliorare. Le ore della caravella erano ormai contate: se non la sfracellavano le scogliere, il mare non doveva tardare ad inghiottirla.
Il pilota, vecchio marinaio che aveva già attraversato più volte l’Atlantico, non si faceva soverchia illusione sulla fine del legno. Nondimeno, essendo uomo esperimentato, s’era affrettato a prendere le disposizioni necessarie per rendere il naufragio meno disastroso.
Aveva fatto armare le due scialuppe, mettendovi dentro dei viveri e soprattutto delle armi, non ignorando che in quell’epoca le coste brasiliane erano abitate da tribù bellicose e antropofaghe, poi aveva fatto abbattere i due alberi onde rendere la caravella più leggera e per servirsi d’uno di essi da timone o meglio da remo.
Tuttociò era stato fatto precipitosamente, temendo che l’urto dovesse accadere da un momento all’altro, fra un trambusto, un gridìo, una confusione indescrivibile perchè pareva che più nessuno avesse la testa a posto. Cioè tutti no: Alvaro de Correa, malgrado la sua giovane età, non aveva perduta la sua calma ed aveva assistito a quei preparativi senza che il suo viso dimostrasse troppe apprensioni.
– Siamo pronti, pilota? – chiese con tono scherzevole, quando le due scialuppe furono armate.
– Sì, signore – rispose il vecchio marinaio il quale, appoggiato alla murata prodiera, cercava di discernere la costa.
– Suppongo che non le getterete ora.
– Non abbiamo ancora toccato.
– Che non vi sia proprio alcun mezzo per salvare la caravella?
– Nessuno, signore: ormai è irremissibilmente condannata.
– Splendida prospettiva! Meno male che dovremo menare le mani contro i selvaggi! Ciò sarà divertente.
– Ah! Non scherzate, signor Alvaro – disse il pilota. – Non è il momento questo.
– Volete che pianga?
– Ci dibattiamo fra le strette della morte.
– Quella signora la prenderemo pel collo e la strozzeremo prima che ci porti via – rispose il giovane, ridendo.
Il vecchio pilota lo guardò di traverso.
– Brutti scherzi – brontolò. – Vedremo se riderà quando il mare lo travolgerà od i brasiliani lo metteranno allo spiedo.
La caravella, spinta da quelle montagne d’acqua che l’Atlantico scagliava, con impeto formidabile, contro la costa brasiliana, s’avanzava sempre verso le scogliere che il gabbiere asseriva d’aver scorte. L’oscurità si manteneva sempre così fitta, da non poter ancora sapere se erano lontane o vicine, raddoppiando in tale modo le ansietà dell’equipaggio.
Ormai non vi era più nulla da tentare per rendere il naufragio meno disastroso. L’albero calato a poppa onde potesse servire, in qualche modo, da remo, era stato quasi subito portato via, le vele non esistevano più dopo che l’alberatura era stata abbattuta, sicchè la caravella non aveva più alcuna direzione.
Balzava e rimbalzava come una palla di gomma, imbarcando acqua da tutte le parti, girava su se stessa come una trottola, si rovesciava impetuosamente ora sul babordo ed ora sul tribordo, faticando assai a risollevarsi e ad ogni istante si lasciava indietro qualche pezzo. Ora era un lembo di muratura che i marosi si portavano via; ora un attrezzo della coperta oppure un pezzo del cassero.
I marinai, terrorizzati, si tenevano aggrappati ai tronconi degli alberi o alle sartie che giacevano in coperta, aspettando con angoscia il momento terribile dell’ultimo urto.
Avevano gli occhi dilatati dello spavento, i visi alterati e pallidissimi e dalle loro labbra sfuggivano invocazioni disperate. Facevano voti di portare ceri a tutti i santuari del Portogallo, di visitare la Terrasanta, di andare a combattere i mori dell’Africa, di andare in pellegrinaggio e scalzi a Roma, tutte promesse che facevano sorridere l’impassibile giovane, il quale conosceva troppo bene i marinai per prestarvi fede.
Un’altra mezz’ora era trascorsa così, quando un lampo abbagliante solcò il tempestoso cielo, mostrando a quei disgraziati l’orrore della loro situazione.
Quantunque quella luce livida non avesse avuta la durata che di quattro o cinque secondi, tutti avevano potuto accertarsi che il gabbiere non si era ingannato.
La caravella era stata spinta entro una profonda baia, cosparsa d’isolotti e circondata da rupi altissime e da colline coperte da folte foreste. A destra ed a sinistra erano state scorte delle scogliere le cui punte aguzze apparivano fuori dalle onde, pronte a sventrare d’un colpo solo la povera nave.1
Non ostante il suo coraggio, Alvaro de Correa non aveva potuto trattenere un’esclamazione di malumore.
– Mio caro pilota – disse, volgendosi verso il vecchio marinaio. – Mi pare che questa volta la sia proprio finita e che nessuno dei nostri andrà a combattere i mori dell’Africa e tanto meno in pellegrinaggio a Gerusalemme. Possiamo preparare i nostri bagagli pel viaggio all’altro mondo.
– Cominciate voi, signore.
– Mi accontento d’una piastra per pagare il passaggio a Caronte e l’ho già messa in tasca. Badiamo almeno che non sia falsa onde non rimanga fermo sulle rive dello Stige.
– Scherzate pure... vedremo... Eh! Udite?
– Per Bacco! Non sono ancora diventato sordo. Sono le onde che si rompono contro le scogliere.
– È un colpo di tallone, signore. La chiglia ha toccato.
– Brutto affare; questo povero legno è così sconquassato che andrà in cento pezzi al secondo urto.
Il pilota si era slanciato sulla tolda gridando:
– Preparate la scialuppa! Stiamo per fracassarci!
– La paura gli ha sconvolto il cervello – disse Alvaro. – Non può resistere la caravella e vuole sfidare le onde con una barca. Non sarò certamente io che m’imbarcherò.
A bordo della caravella la confusione era giunta al colmo. I ventisette marinai che ne formavano l’equipaggio, completamente impazziti, si erano precipitati addosso alla scialuppa, azzuffandosi ferocemente per disputarsi i posti, non potendo contenerli tutti.
Vi era bensì anche un canotto, ma era così piccolo da non poter pensare a metterlo in acqua con quelle ondate furiose che irrompevano nella baia con muggiti assordanti.
Il giovane Correa si era tenuto da parte. Aveva attraversato la tolda e si era rifugiato sul cassero, il quale essendo molto alto, non era spazzato dai marosi.
Di là cercava di rendersi conto della situazione e di trovare un mezzo qualunque di salvarsi poichè, quantunque si fosse messo in tasca la piastra per pagare Caronte, non aveva però alcun desiderio di intraprendere il lungo viaggio senza disputare prima la vita.
Cominciava a distinguersi già qualche cosa, essendo l’alba prossima. Vagamente si delineavano i dintorni di quell’ampia baia, che aveva una circonferenza di parecchie leghe e cosparsa di numerose isolette, disseminate capricciosamente qua e là intorno ad una più vasta coperta di folte boscaglie.
I marinai, nel frattempo, erano già riusciti a calare la scialuppa la quale minacciava di venir spinta contro la caravella e fracassata.
Alcuni, temendo che la nave fosse lì lì per inabissarsi, si erano slanciati dall’alto delle murate, senza pensare che quel salto poteva avere funeste conseguenze.
Qualche fortunato era infatti caduto dentro, ma parecchi erano invece precipitati fra le onde, scomparendo quasi subito, una vera fortuna d’altronde per gli altri, non potendo la scialuppa contenerli tutti.
Servendosi delle corde gli ultimi erano però riusciti ad imbarcarsi. Avevano appena presi i remi, quando Alvaro vide un’onda sollevarsi e scagliarli dall’altra parte della scogliera.
Per un momento credette che fossero stati tutti inghiottiti o sfracellati contro le punte aguzze delle rocce, invece vide la scialuppa ricomparire sulla cresta dell’onda e udì anche, fra i muggiti delle acque e le urla del vento, la voce del pilota a gridare:
– Signor Correa, vi è il mozzo a bordo!... Se lo potete, occupatevi di lui!...
– Il mozzo! – esclamò il giovane, guardando da poppa a prora. – Dov’è che non lo vedo? Che si sia nascosto in qualche luogo? Più tardi lo scoverò.
Aveva concentrata tutta la sua attenzione sulla scialuppa, aspettandosi di vederla scomparire da un momento all’altro. Pareva invece che la fortuna la proteggesse. Non ostante la rabbia delle onde, la vedeva sempre scendere negli avvallamenti e poi rimontare le creste, galleggiando come un sughero.
Aveva già superata felicemente una seconda scogliera senza toccare ed ora s’avvicinava alla costa spinta dai remi e anche dai cavalloni. I marinai non potevano tuttavia credersi salvi; la spiaggia era tutt’altro che buona per un approdo, essendo tagliata dovunque a picco e cinta da scoglietti a fior d’acqua.
– Verrà sfracellata – mormorò il giovane. – Mi trovo meglio io qui, su questo rottame, che essi sulla scialuppa.
La caravella, quantunque sventrata, resiste meravigliosamente e pel momento non mi pare che corra il pericolo di venire sfasciata.
Penserò anch’io poi a mettermi in salvo. –
La luce aumentava di momento in momento, permettendogli di non perdere di vista la scialuppa.
Fra le masse di vapori era avvenuto qualche strappo e quantunque piovesse sempre a dirotto, di quando in quando un debole raggio di sole si proiettava sulle acque e sulle spiagge.
L’uragano non accennava però a calmarsi. Il vento ruggiva sempre tremendo, sollevando vere cortine di spuma che subito polverizzava e dall’Atlantico le onde continuavano a giungere con foga straordinaria, accavallandosi rabbiosamente entro la baia.
Nondimeno la scialuppa guadagnava sempre via e s’accostava alla spiaggia. Il giovane Correa, che non aveva lasciato l’altissimo cassero, la seguiva sempre collo sguardo, chiedendosi, con crescente angoscia, se i cavalloni non avrebbero sfracellati di colpo tutti quei disgraziati, scaraventandoli contro le rupi.
– Ho fatto male a lasciarli imbarcare – si diceva. – E d’altronde non mi avrebbero obbedito e si sarebbero ribellati. Speriamo che almeno alcuni riescano a salvarsi. –
L’imbarcazione era giunta a soli trenta passi dalla spiaggia la quale in quel posto non offriva alcun approdo. I marinai facevano sforzi disperati, arrancando all’indietro, per attenuare l’urto e senza alcun successo perchè le onde la incalzavano senza tregua.
Alvaro la vide per alcuni istanti dondolarsi sulla cresta d’un cavallone mostruoso, poi scomparire improvvisamente fra una cortina di spuma.
Fra i muggiti della risacca e le urla del vento gli parve di udire delle grida lontane, poi vide dibattersi dei corpi umani a fior d’acqua, indi più nulla, poichè proprio in quel momento la poppa della caravella si era abbassata bruscamente, come se l’intera carena si fosse spezzata in due.
– Che stia per suonare l’ultima ora anche per me? – si chiese. – Pare che anche la nave voglia andarsene.
Cerchiamo di rifugiarci sulla scogliera. –
Stava per ridiscendere sulla tolda, quando nella camera sottostante gli sembrò di udire dei gemiti soffocati.
– Che sia il mozzo? – si domandò. – Deve essere mezzo morto di paura.
Scese la scala, tenendosi stretto alle traverse per non venire portato via dai colpi di mare che spazzavano incessantemente la coperta ed entrò nel quadro che era già stato invaso dalle acque.
– Chi si lamenta? – gridò. – Vi è qualcuno qui?
– Aprite signore – rispose una voce.
– Dove siete?
– Chiuso nella cabina.
– Chi può averlo cacciato qui dentro? Bel caso! –
Vedendo a terra una scure l’afferrò e con due colpi ben applicati sfondò la porta, strappandola dai gangheri.
Un ragazzo di quattordici o quindici anni si era precipitato fuori, gridando:
– Affondiamo! Fuggite signore! Stavo per affogare! –
Era un bel giovanetto, bruno come un meticcio, coi capelli nerissimi e crespi: gli occhi intelligenti e molto aperti, la pelle vellutata come l’hanno la maggior parte dei portoghesi delle regioni meridionali, e molto sviluppato per la sua età.
Vedendo solo il signor di Correa, si era fermato aggrappandosi ad una delle colonnette del quadro.
– E gli altri? – chiese impallidendo.
– Se ne sono andati, mio piccolo Garcia – rispose Alvaro.
– Siamo soli?
– Affatto soli.
– Ora comprendo perchè quel cattivo Fedro mi aveva chiuso qui dentro. Temeva che io sovraccaricassi la scialuppa, occupando un posto.
– In tal caso, ragazzo mio, non ha guadagnato niente, perchè l’ho veduto cadere sulla scogliera e spaccarsi il cranio.
– Sono partiti tutti?
– Non ne è rimasto uno qui.
– Sono già sbarcati, signor Correa?
– Non lo so, ma io non vorrei cambiare il mio posto con essi. Se sono riusciti ad approdare, devono essere stati assai malmenati dalle onde.
– E lo saremo fra breve anche noi, signore.
– Lo credi, Garcia?
– L’acqua sale e le cabine del quadro ne hanno già per due piedi.
– Ve ne sono altri dodici prima di giungere sul cassero e poi non mi pare che la caravella affondi ancora – disse Alvaro. – Hai paura?
– Con voi no, signor Correa.
– Allora andiamo a vedere se possiamo tentare anche noi la traversata.
– Ci deve essere il piccolo canotto.
– Che lasceremo da parte, ragazzo mio, almeno fino quando le onde si saranno calmate. E poi non so se vi sia ancora, con questi colpi di mare che spazzano la coperta. Vieni Garcia e speriamo di essere più fortunati degli altri.
Note
- ↑ Era la baia di Reconcavo, una delle più belle dell’America del Sud e dove più tardi sorgeva Bahia, una delle più ricche città del Brasile.