L'Argentina vista come è/Sfogliando una guida
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SFOGLIANDO UNA GUIDA.1
Da bordo del Venezuela.
Mi è capitato per le mani un opuscolo interessante. Lo ha trovato interessante, prima anche di me, il Governo argentino, tanto che ha credulo bene di autorizzarne la compera di quindicimila copie per farle distribuire gratuitamente in Italia. Si tratta di una Guida dell’Emigrante Italiano alla Repubblica Argentina.
È un opuscolo scritto con una certa sincerità, e perciò in fondo onesto, e mi guardo bene di metterlo in un fascio con le infami pubblicazioni di propaganda che circolano per certe nostre campagne dove più infierisce l’epidemia dell’emigrazione. È appunto perchè è scritto con sincerità che è interessante. L’Argentina, si capisce, vi è chiamato il «paese ideale»; vi si dice che «non esiste nessun paese nel mondo dove gli italiani possano star meglio che nella Repubblica Argentina», nella quale si sono date convegno tutte le benedizioni del cielo e della terra. Ma fra la relazione di tante cose belle e seducenti si leggono delle frasi, destinate forse a smorzare il disinganno, frasi che dovrebbero far molto meditare gli emigranti nostri, se l’uomo preso dal furore migratorio fosse un essere ragionevole.
Sono granelli di sincerità: «Gli operai debbono essere decisi a far di tutto, ad andare da qualunque parte.... I loro lavori, come pure quello dei campi, risulteranno pesanti, forse più pesanti che i lavori analoghi che si fanno in Italia.... Gli emigranti debbono rassegnarsi a tutto (nei primi tempi e andare in America con l’idea che i principi saranno duri e penosi... Il collocamento degli artigiani non è tanto facile (paragonato a quello degli agricoltori) e più d’una volta non potranno lavorare subito nel loro mestiere e dovranno rassegnarsi a fare qualunque cosa per pesante che sia. Quando ciò succede, molti maledicono l’ora in cui venne loro in mente d’imbarcarsi, abbandonandosi a sfoghi del tutto ingiustificati... Gli emigranti a cui si offre un’occupazione fuori di Buenos Aires l’accettino subito ed abbiano la decisione di andare dappertutto. In Buenos Aires è molte volte impossibile la collocazione... Gli emigranti si debbono rassegnare alle contrarietà dei primi tempi, vivendo male, adattandosi a qualunque lavoro, senza debolezze, ne abbattimenti. Altrimenti sarebbe meglio che non si muovessero dal loro paese, perchè in qualunque nazione d’America si dirigessero troverebbero di peggio.... Quelli che emigrano debbono essere sempre persuasi che per aprirsi una strada, per vivere, e fare alcuni risparmi, dovranno sopportare le fatiche più penose, sottomettersi ai lavori più pesanti. Meglio per loro se la realtà sarà poi meno fosca delle previsioni....»
⁂
Tutto ciò è naturale. L’America come si presenta alle fantasie e alle speranze di tanta povera gente non è mai esistita, neppure all’epoca dei Guarany. In tutti i paesi del mondo sono i forti che resistono e che trionfano dopo lunghe lotte e fatiche: anche in America. Ed è questo che dovrebbero capire gli allucinati che continuano ad essere attratti laggiù dal sogno di facili ricchezze.
Dovrebbero capire che «rassegnandosi a viver male, adattandosi a qualunque lavoro, senza debolezze, ne abbattimenti», potrebbero ben restare nella loro Italia che è pur sempre «il paese del mondo dove gli italiani possano star meglio» — senza offendere la Repubblica Argentina. Dovrebbero capire che se facessero in patria quanto la necessità fa far loro laggiù, se profondessero nel loro paese tutte le energie con le quali fanno ricchi quei lontani paesi, se i sacrifici e il lavoro bestiale ai quali li spinge, una volta emigrati, la disperazione come una sferza sanguinosa, li riserbassero per la bella terra che li ha visti nascere, se le iniziative che essi trovano quando lontani e perduti il bisogno li stringe, le avessero a casa loro, troverebbero bene in Italia la loro America, ma quella delle leggende, e più bella, e più cara.
Ma è la miseria che li spinge ad emigrare: lo dice anche la Guida dell’Emigrante Italiano alla Repubblica Argentina. Pare quasi che la giovane America ci stenda una mano caritatevole, a noi vecchi miserabili, prendendoci un po’ di braccia. Ah! la nostra miseria, noi la gridiamo. E la miseria d’America, della terra promessa? E gli scioperi argentini? E i diecimila disoccupati di Buenos Aires? E coloro che tornano da laggiù sfiniti, con la volontà spezzata? E quelli che non possono nemmeno tornare perchè non ne hanno la forza? E coloro che finiscono nell’atorrantismo, la forma più abbietta e vilipesa della povertà? Di fronte agli arrivati che conosciamo, quanti caduti, ignoti, lontani, dimenticati?
La Guida dell’Emigrante, parlando delle fortune fatte da molti lavoratori italiani nell’Argentina, dice: «Sappiamo che fra gli emigranti ve ne sono che soffrono ogni genere di angoscie, contrarietà e privazioni prima di trovare una via meno aspra, se pur la trovano, ciò che non a tutti succede.» Ma tuttavia, diamine, c’è chi arriva a farsi una bella posizione, e «si suol citare, come esempio, in Buenos Aires, un fabbro che finì per possedere una gran fonderia e un gran numero di case, - Ebbene, un fabbro è poco, e poi il fabbro di Buenos Aires, non lo abbiamo noi in cento e cento edizioni? Non vediamo in tutte le nostre città operai industriosi e intelligenti, uomini di volontà e di costanza che arrivano a mettersi alla testa di industrie, e che giungono ad avere la loro «fonderia con gran numero di case?»
E via, rompiamo l’incanto che circonda ancora l’America nella mente del nostro popolo. L’America è un paese dove si soffre, dove si piange e dove si soccombe, come in tutto il mondo. Laggiù la lotta è meno disciplinata ed è perciò violenta, terribile: alla curée della ricchezza corrono mastini forti ed agguerriti. E non sono di quei mastini che possa fornire l’emigrazione nostra. L’emigrazione italiana è un’emigrazione di muscoli. Questa Guida dell’Emigrante, dice: «Oltre i deboli, i rachitici, gli sconciati e i vecchi, non debbono emigrare coloro che hanno studiato, che hanno ricevuto un’educazione più o meno scelta.» Nè muscoli infermi, né teste sane dunque. Sono buone braccia che si vogliono da noi, ma niente altro che buone braccia. E noi le diamo.
Quest’opuscolo che sfoglio, sulla cui copertina, come una vidimazione ufficiale, spicca il bollo del «Consulado de Milan», è una chiara e facile esposizione di consigli, alla portata delle intelligenze semplici. Dalla lettura di questi consigli all’emigrante italiano si forma a poco a poco la netta visione di che cosa sia veramente l’emigrazione laggiù: come dai consigli del medico si capisce il male.
L’emigrazione non è l’effetto naturale della legge della domanda e dell’offerta di lavoro, come asserisce la prefazione dell’opuscolo. Nei centri argentini vi è pletora di mano d’opera, specialmente a Buenos Aires che attraversa una crisi non indifferente, e la Guida infatti cerca in ogni pagina di persuadere l’emigrante ad internarsi nei campi, risolutamente, senza paura della distanza, e subito. Nella colonizzazione è la ricchezza del paese, il quale ne risente i vantaggi, mentre tutto il passivo di vite, di lavoro e di denaro grava sui pionieri dispersi nelle estancie delle Pampas. Si vuole un’emigrazione stabile: la Guida trova assai più vantaggiosa per gli emigranti «l’emigrazione con carattere definitivo» e consiglia loro di «mettere in ordine i loro affari come se non dovessero tornar più» prima di partire. Li pone in guardia contro il dolce mal della patria; «bisogna guardarsi da questi sentimentalismi che causano malessere e inquietudini e inducono a commettere leggerezze di cui più i tardi ci si pente»; la leggerezza, si capisce, è il ritorno. «Queste vacillazioni recano un danno enorme agli emigranti.» «Del resto hanno la loro poesia e le loro attrattive anche le pianure argentine con i loro orizzonti infiniti.» «Per fortuna gli italiani sono quelli che più facilmente si radicano nella Repubblica Argentina; i più, nondimeno, tardano a convincersi che devono considerare l’Argentina come loro residenza definitiva, come loro seconda patria.» Coloro che non hanno tali debolezze «ottengono un immenso vantaggio su quelli che solo pensano al ritorno».
È logico. La Guida vede l’emigrazione francamente e nettamente dal punto di vista argentino, soprattutto quando, parlando dei risparmi degli emigranti, consiglia «coloro che hanno qualche maggiore conoscenza di queste cose» a comperare titoli degli imprestiti interni della Nazione, perchè «i tracolli e le sospensioni di pagamento di altri tempi non si ripeteranno». Ma dal punto di vista italiano? Non è doloroso e umiliante? Questa sottrazione continua delle nostre forze vive, questa trasfusione del sangue nostro per la rigenerazione di paesi lontani, dovuta principalmente alla ignoranza delle nostre masse, non è cosa ben triste?
E non siamo troppo ottimisti sui vantaggi riflessi che la madre patria può avere dalla emigrazione: lo stato civile dei Consolati c’insegna che l’italianità normalmente si perde alla prima generazione: e tutti gl’italiani che da cinquant’anni sono passati nell’Argentina hanno procurato alla loro madre patria solo un terzo della esportazione che ha l’Inghilterra laggiù; e non vi sono che ventimila inglesi nell’Argentina. Inglesi, beati loro, da padre in figlio e da figlio in nipote, come se vivessero in pieno Regno Unito.
⁂
La Guida dell’Emigrante se la prende un po’ col Governo italiano perchè intende d’occuparsi dell’emigrazione. «Tutte le nazioni d’Europa — dice — hanno dell’emigrazione, in scala maggiore o minore: ma l’Italia è l’unica nazione dove si parla continuamente di misure, di protezioni, di leggi, di colonie (che poi non sono tali)». Se la prende col Governo «perchè insomma con tanto parlare di colonie e di protezioni non si fa che irritare suscettibilità attendibili e creare diffidenze e sospetti.
Sì, tutte le nazioni hanno degli emigranti: ma sopra 1,765,784 emigranti europei sbarcati nell’Argentina dal 1857 al ’98 1,093,112 erano italiani. Abbiamo diritto di occuparcene. E poi che cosa ha fatto il Governo italiano con la sua nuova legge per l’emigrazione e il relativo complicato, burocratico e fiscale regolamento? Ha reso più facile il viaggio, ha provveduto perchè gli emigranti abbiano a bordo tanta carne, tanto pane e tanti metri cubi d’aria respirabile durante il tragitto.
Come se il complesso fenomeno dell’emigrazione consistesse in quei venti giorni di navigazione!...
- ↑ Dal Corriere della Sera del 5 dicembre 1901.