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sfogliando una guida | 9 |
«Sappiamo che fra gli emigranti ve ne sono che soffrono
ogni genere di angoscie, contrarietà e privazioni
prima di trovare una via meno aspra, se pur la trovano,
ciò che non a tutti succede.» Ma tuttavia, diamine,
c’è chi arriva a farsi una bella posizione, e «si
suol citare, come esempio, in Buenos Aires, un fabbro
che finì per possedere una gran fonderia e un gran
numero di case, - Ebbene, un fabbro è poco, e poi
il fabbro di Buenos Aires, non lo abbiamo noi in cento
e cento edizioni? Non vediamo in tutte le nostre città
operai industriosi e intelligenti, uomini di volontà e di
costanza che arrivano a mettersi alla testa di industrie,
e che giungono ad avere la loro «fonderia con gran
numero di case?»
E via, rompiamo l’incanto che circonda ancora l’America nella mente del nostro popolo. L’America è un paese dove si soffre, dove si piange e dove si soccombe, come in tutto il mondo. Laggiù la lotta è meno disciplinata ed è perciò violenta, terribile: alla curée della ricchezza corrono mastini forti ed agguerriti. E non sono di quei mastini che possa fornire l’emigrazione nostra. L’emigrazione italiana è un’emigrazione di muscoli. Questa Guida dell’Emigrante, dice: «Oltre i deboli, i rachitici, gli sconciati e i vecchi, non debbono emigrare coloro che hanno studiato, che hanno ricevuto un’educazione più o meno scelta.» Nè muscoli infermi, né teste sane dunque. Sono buone braccia che si vogliono da noi, ma niente altro che buone braccia. E noi le diamo.
Quest’opuscolo che sfoglio, sulla cui copertina, come una vidimazione ufficiale, spicca il bollo del «Consulado de Milan», è una chiara e facile esposizione di consigli, alla portata delle intelligenze semplici. Dalla lettura di questi consigli all’emigrante italiano si forma a poco a poco la netta visione di che cosa sia veramente l’emigrazione laggiù: come dai consigli del medico si capisce il male.