Proemio

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Dedica Libro primo


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PROEMIO DELL’AUTORE.


L’Animo mio era, quando al principio deliberai scrivere le cose fatte dentro e fuora dal Popolo Fiorentino, cominciare la narrazione mia dagli anni della Cristiana Religione MCCCCXXXIV. nel quale tempo la famiglia de’ Medici per i meriti di Cosimo e di Giovanni suo padre, prese più autorità che alcuna altra in Firenze. Perchè io mi pensava che Messer Lionardo d’Arezzo e Messer Poggio, duoi eccellentissimi istorici, avessero narrate particolarmente tutte le cose, che da quel tempo indietro erano seguite. Ma avendo io dipoi diligentemente letto gli scritti loro, per vedere con quali ordini e modi nello scrivere procedevano, acciocchè imitando quelli la istoria nostra fusse meglio dai leggenti approvata, ho trovato come nella descrizione delle guerre fatte dai Fiorentini e coi Principi e Popoli forestieri sono stati diligentissimi; ma delle civili discordie, e delle intrinseche inimicizie, e degli effetti che da quelle sono nati, averne una parte al tutto taciuta, e quell’altra in modo brievemente descritta, che ai leggenti non puote arrecare utile o piacere alcuno. Il che credo facessero, o perchè parvero loro quelle azioni sì deboli che le giudicarono indegne di essere mandate alla memoria delle lettere, o perchè temessero di non offendere i discesi di coloro, i quali per quelle narrazioni si avessero a calunniare. Le quali due cagioni, sia detto con loro pace, mi pajono al tutto indegne di uomini grandi. Perchè se niuna cosa diletta o insegna nella istoria, è quella che [p. xcviii modifica]particolarmente si descrive; se niuna lezione è utile a’ cittadini che governano le Repubbliche, è quella che dimostra le cagioni degli odj e delle divisioni delle città, acciocchè possano, con il pericolo d’altri diventati savj, mantenersi uniti. E se ogni esemplo di Repubblica muove, quelli che si leggono della propria muovono moltopiù, e moltopiù sono utili. E se di niuna Repubblica furono mai le divisioni notabili, di quella di Firenze sono notabilissime; perchè la maggior parte delle altre Repubbliche, delle quali si ha qualche notizia, sono state contente di una divisione, con la quale secondo gli accidenti hanno ora accresciuta ora rovinata la città loro: ma Firenze non contenta di una ne ha fatte molte. In Roma, come ciascuno sa, poichè i Re ne furono cacciati, nacque la disunione tra i nobili e la plebe, e con quella infino alla rovina sua si mantenne. Così fece Atene, così tutte le altre Repubbliche che in quelli tempi fiorivano. Ma di Firenze in prima si divisono in fra loro i nobili, dipoi i nobili e il popolo, e in ultimo il popolo e la plebe; e molte volte occorse che una di queste parti rimasa superiore si divise in due. Dalle quali divisioni ne nacquero tante morti, tanti esilj, tante destruzioni di famiglie, quante mai ne nascessero in alcuna città, della quale si abbia memoria. E veramente, secondo il giudicio mio mi pare che niuno altro esempio tanto la potenza della nostra città dimostri, quanto quello che da queste divisioni dipende, le quali avriano avuto forza di annullare ogni grande e potentissima città. Nondimeno la nostra pareva che sempre diventasse maggiore; tanta era la virtù di quelli cittadini, e la potenza dello ingegno e animo loro a fare se e la loro patria grande, che quelli tanti che rimanevano liberi da tanti mali, potevano più con la virtù [p. xcix modifica]loro esaltarla, che non aveva potuto la malignità di quelli accidenti che gli avevano diminuiti, opprimerla. E senza dubbio se Firenze avesse avuto tanta felicità, che poi che la si liberò dallo Imperio, ella avesse preso forma di governo che l’avesse mantenuta unita; io non so quale Repubblica, o moderna o antica, le fusse stata superiore; di tanta virtù d’arme e d’industria sarebbe stata ripiena. Perchè si vede, poichè la ebbe cacciati da se i Ghibellini in tanto numero che ne era piena la Toscana e la Lombardia, i Guelfi con quelli che dentro rimasero, nella guerra contra Arezzo, un anno davanti alla giornata di Campaldino, trassero dalla città, di proprj loro cittadini, milledugento uomini d’arme, e dodicimila fanti. Dipoi nella guerra che si fece contra a Filippo Visconti Duca di Milano, avendo a fare esperienza dell’industria e non dell’armi proprie, perchè le avevano in quelli tempi spente, si vide come in cinque anni, che durò quella guerra, spesono i Fiorentini tre milioni e cinquecentomila fiorini; la quale finita non contenti alla pace, per mostrare più la potenza della loro città, andarono a campo a Lucca. Non so io pertanto conoscere quale cagione faccia che queste divisioni non siano degne di essere particolarmente scritte. E se quelli nobilissimi Scrittori ritenuti furono per non offendere la memoria di coloro, di chi eglino avevano a ragionare, se ne ingannarono, e mostrarono di conoscer poco l’ambizione degli uomini, e il desiderio che egli hanno di perpetuare il nome de’ loro antichi e di loro. Nè si ricordarono che molti non avendo avuta occasione di acquistarsi fama con qualche opera lodevole, con cose vituperose si sono ingegnati acquistarla. Nè considerarono come le azioni che hanno in se grandezza, come hanno quelle de’ governi e degli Stati, comunque le si [p. c modifica]trattino, qualunque fine abbino, pare sempre portino agli uomini più onore che biasimo. Le quali cose avendo io considerate, mi feciono mutare proposito, e deliberai cominciare la mia istoria dal principio della nostra città. E perchè non è mia intenzione occupare i luoghi d’altri, descriverrò particularmente, insino al M.CCCC.XXXIV. solo le cose seguite drento alla città, e di quelle di fuora non dirò altro che quello sarà necessario per intelligenzia di quelle di drento; di poi, passato il M.CCCC.XXXIV. scriverrò particularmente l’una e l’altra parte. Oltre a questo, perchè meglio e d’ogni tempo questa istoria sia intesa, innanzi che io tratti di Firenze, descriverrò per quali mezzi la Italia pervenne sotto quelli potentati che in quel tempo la governavano. Le quali cose tutte, così italiche come fiorentine, con quattro libri si termineranno: il primo narrerà brevemente tutti gli accidenti di Italia seguiti dalla declinazione dello imperio romano per infino al M.CCCC.XXXIV. Il secondo verrà con la sua narrazione dal principio della città di Firenze infino alla guerra che, dopo la cacciata del duca di Atene, si fece contro al pontefice; il terzo finirà nel M.CCCC.XIV. con la morte del re Ladislao di Napoli; e con il quarto al M.CCCC.XXXIV. perverremo; dal qual tempo di poi particularmente le cose seguite dentro a Firenze e fuora, infino a questi nostri presenti tempi, si descriverranno.