Istoria delle guerre vandaliche/Libro secondo/Capo XXIV
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CAPO XXIV.
I. L’imperatore mandò poscia in Africa Areobindo, uomo senatorio e di generosissima famiglia, inesperto però al tutto delle cose di guerra, Atanasio maestro de’ cavalieri venuto di fresco dall’Italia, e qualche numero di armene truppe capitanate da Artabano e Giovanni, arabo di stirpe arsacida e prole di Giovanni; i quali non guari prima abbandonate le insegne persiane ricoverarono con altri di lor nazione sotto quelle imperiali. Accompagnavano Areobindo la sorella e la moglie Proietta1, figliuola di Biglenzia2 suora di Giustiniano.
II. Il quale tuttavia non levò di carica Sergio, ordinando per lo contrario che sì egli come Areobindo fossero ad una governatori, con egual diritto raccogliessero truppe nella regione, ma Sergio guerreggiasse i barbari della Numidia, l’altro i Maurusii della Bizacene. All’apportare adunque del costoro navilio a Cartagine il primo conduce immediatamente l’esercito contro i Numidi.
III. Areobindo poi risaputo che Antala e Stoza erano a campo nei d’intorni di Sicavenerea, città lunge da Cartagine tre giornate di cammino, vi spedì contro Giovanni di Sisinio col fiore del suo esercito, e mandò scrivendo in pari tempo a Sergio di unirvisi per combattere insiememente i barbari; ma la costui negligenza nell’eseguire tal ordine fe sì che l’altro venisse costretto da un nemico assai più forte ad accettare con poca gente la battaglia. Qui tornerò a dire che negli animi di Giovanni e di Stoza ribollivano ognora i germi dell’antico odio, cosicchè al mirarsi tra loro in campo alla testa dei proprii guerrieri l’uno sprona ver l’altro, bramoso di atterrarlo. Giovanni, il primo a trar d’arco, ferì nel destro inguine Stoza, il quale caduto subito in terra, senza abbandonare lo scudo, non sopravvisse che pochi giorni alla piaga. Stramazzato, quanti erangli dappresso corsero a levarlo di là, ed a procacciargli sotto d’un albero più agiato riposo, mentrechè tutto l’esercito de’ Maurusii con impeto gagliardissimo piombando sopra i Romani miseli a bell’agio, superiore cotanto di numero, unitamente al duce loro in fuga. E va il grido che Giovanni allora si protestasse contento della morte, così volendo il fato, pago di vedere a felice meta la più ardente sua brama. E di vero il valoroso e gloriosissimo duce nel valicare d’un aspro luogo venne dall’affaticato destriero, messo il piede in fallo, balzato giù d’arcione, e stando per rimontarvi fu ad un tratto sorpreso dai nemici e spento. La nuova raggiunse a Stoza sull’ultim’ora sua, e uditala esclamo: «dolcissima cosa m’è adesso l’uscire di vita.» Nel combattimento fu morto eziandio Giovanni, fratello d’Artabano, dopo bellissime pruove di valore contro i barbari. A tali annunzj Giustiniano, sommo estimatore della virtù di lui, molto addolorò, e quindi riputato superfluo il tenere nell’Africa due governatori, commise a Sergio, richiamatolo di là coll’esercito, altre faccende nell’Italia.