Istoria delle guerre vandaliche/Libro secondo/Capo XIV

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C A P O XIV.
Belisario conquistatore della Sicilia. — Il disco solare mostrasi pel corso d'un anno come ecclissato. — Abbottinamento delle truppe in Africa.

I. Belisario inviato da Giustiniano a guerreggiare Teodato ed i Goti, di leggieri sommise al primo corso la Sicilia, come farà conoscere la istoria giunta a narrare le cose d’Italia, non sembrandomi fuor di proposito il venir prima distintamente esponendo le africane vicende, e passar quindi a quelle dei Goti in essa.

II. Nella vernata adunque Belisario fe dimora vicin di Siracusa, ed in Cartagine Salmone. Tutto quest’anno fu eziandio segnalato da un grandissimo prodigio, apparendo il sole privo di raggi a simiglianza della luna, e quasi il più dei giorni cercaronlo indarno gli umani sguardi; spoglio pertanto dell’ordinario chiaror suo risplendeva oscuro e fosco anzi che no: presagio, al tutto verificatosi, d’imminente guerra, di peste, fame, e d’ogni altro malore correva in quello stante l’anno decimo dell’imperatore Giustiniano1.

III. Al comparir di primavera, quando sogliono appunto i cristiani celebrare la solennità loro detta Pasqua, le truppe dell’Africa levaronsi a sommossa e vo a dirne la cagione ed il termine. Dopo la sconfitta de’ Vandali, da me già esposta, i romani soldati [p. 444 modifica]impalmarono le figlie e le consorti dei vinti; ora molte di queste indussero gli sposi a ripetere la padronanza delle terre di proprietà loro prima del matrimonio, non estimando cosa dicevole ch’elleno già mogli de’ Vandali avesserne il dominio, e quindi maritatesi ai vincitori dovessero, cedendole, ridursi a peggior condizione dei vinti. Laonde quelli siffattamente imbecherati rifiutavansi di obbedire a Salomone, il quale voleva che tutto il conquistato paese andasse a profitto del pubblico erario e dell’imperatore, e fossero scompartiti fra l’esercito, giusta la consuetudine, i soli prigioni ed ogni altro bottino; ma il suolo appartenere tutto al monarca, da cui e’ ricevon i bisogni della vita ed il mezzo di guerreggiare. Su di che vennero fatti molti discorsi ed esecrandi giuramenti nel campo; e sendo tra breve il giorno della festività, gli Ariani, mesti perché vietati loro i tempj, maggiormente insistevano: parve così ai più autorevoli de’ ribelli di consacrare alla morte di Salomone il primo de’ giorni solenni, detto grande. Si tenne la ordita congiura qualche tempo celata, avvegnachè molti vi partecipassero, ed intrattanto crebbe il numero de’ sediziosi coll’unirvisi parecchie lance a cavallo ed alcuni pavesai del condottiero, nella brama pur eglino di conservare le terre sino allora godute. Giunta l’epoca stabilita il romano duce colla massima tranquillità, nulla di sinistro paventando, fu al tempio, e furovi pur coloro che avevan promesso di ferirlo; ma questi, abbenché animassersi l’un l’altro coi segni e mettessero a quando a quando le mani alle spade, non osarono tuttavia cimentarsi all’opera, frenati dal [p. 445 modifica]rispetto dovuto o al sacro luogo, o ai riti che ivi compievansi, o veramente alla gloria e presenza del capitano; seppure non v’intravvenne un che di soprannaturale ad impedirlo. Terminati i divini misterj e restituitosi ciascheduno alla propria abitazione, i sediziosi vengono a forte contesa tra loro, a vicenda rimproverandosi la debolezza e viltà dell’ animo, e da ultimo si rimette di comun voto l’impresa al dì venturo; se non che pure in questo come nell’antecedente concorsi nel tempio invano, passarono uscendone a far combriccola nel foro ed a prorompere in iscambievoli accuse, pusillanimi e traditori chiamando ognuno i suoi compagni, perchè lasciatisi venir meno il coraggio nell’oprare l’assunto incarico, e vincere dal timore all’aspetto del capitano. Divolgata per così fatto modo, com’era da presumere, la trama, non pochi de’ congiurati, credendosi mal sicuri in città, si diedero a vagare nella campagna, a mettervi a soqquadro terre e castella, ed a trattare ostilmente gli Africani a cui avvenivansi; quei poi tra essi che non vollero sottrarsi colla fuga dal pericolo, simulavano, mentendo i pensamenti loro, d’inorridire a tanta barbarie. Ma più che tutti Salomone trasecolava, come di avvenimento senza esempio2, all’udire la regione in preda agli eccessi de’ Romani soldati, ed esortava di continuo i rimasti seco a non traviare dal proprio dovere, assicurandoli che ne riporterebbero la imperiale benevolenza. E’ da principio [p. 446 modifica]fingevano prestare orecchio alle sue ammonizioni, ma scorsi appena cinque giorni, all’avviso che i compagni fuorusciti erano in salvo e confermati nella tirannia, ragunatisi nell’ippodromo svillaneggiarono apertamente e lui e gli altri duci: il perché egli mandovvi Teodoro cappadoce, il quale dovea cercare di ridurli con buone parole ed esortazioni a far senno: qua’ però al comparir di costui non curandone affatto i consigli, sedotti in ispecie da un tal suo nemico alla testa di quella sommossa, dichiarano immediatamente di comune volontà lor capitano il ribelle, ed armatisi corron, guidati da esso, con grande tumulto alla dimora di Salomone, ove al primo giugnere uccidono il prefetto delle guardie, Teodoro anch’egli, ed uomo fornito d’ogni virtù oltre la molta sua perizia nell’arte guerresca: di là proseguendo quanti rincontrano o Africani, o Romani, o amici del capitano, o ricchissimi tra’ cittadini e pronti a comperar la vita col danaro, fanno di tutti orrenda carnificina. Voltisi quindi al saccheggio pongon sossopra le case de’ privati senza opposizione veruna, ed il solo venir della notte da termine al furor loro. In questo mezzo Salomone ascondevasi nella vastissima chiesa del palazzo, dove tramontato il sole capitò Martino a visitarlo: e di là ammendue, quando i ribelli furono immersi in profondo sonno, pervennero alla casa di Teodoro cappadoce, il quale, tenutili contro lor voglia seco a cena, li scortò quindi al porto, avendovi colà un vascello apprestato da Martino: accompagnavano altresì costoro Procopio autore della presente Istoria e cinque degli ufficiali spettanti alla casa del supremo duce. Alzata [p. 447 modifica]l’ancora e navigato stadj trecento e’ pervennero a Messua porto de’Cartaginesi; allora Salomone, vedendosi al tutto fuor di pericolo, inviò Martino a Valeriano e ad altri romani duci nella Numidia, pregandoli che cercassero ad ogni patto di richiamare parte della soldatesca da sì ostinata congiura alla fede e benevolenza del suo imperatore. Scrisse parimente a Teodoro di pigliare le redini del governo cartaginese, e di reggerlo come giudicherebbe del caso. Dopo di che navigò con Procopio alla volta di Siracusa, volendo personalmente informare Belisario di tutti gli africani scombugli, ed esortarlo a tornar subito colà per gastigare le infedeli truppe dell’avere a torto offeso il proprio monarca.

Note

  1. Anno dell’era volgare 537.
  2. Era certamente Salomone poco esperto nelle storie di tutti i popoli se riteneva senza esempio le africane sommosse.