Istoria delle guerre vandaliche/Libro secondo/Capo VII

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CAPO VII.

Compassionevole istoria di due famelici garzoncelli. — Lettera di Gilimero a Faras. — Il Vandalo si arrende, e condotto in Cartagine presentasi ridendo a Belisario. — Giudizio di Procopio sopra questa guerra.


I. Tre mesi erano di già scorsi dal cominciare dell’assedio, e al verno succedeva la primavera quando re Gilimero diedesi a paventare non i Romani tentassero con miglior riuscita di prima l’espugnazione del monte: non invilì però (quantunque ai mali dell’animo accoppiassersi ora pur quelli del corpo, molestato di continuo nel ventre da forti dolori) che all’appresentarglisi di orribilissima scena. Tal donna maurusia avea messo alla foggia di sua gente un piccol pane a cuocere sotto la cenere1 standole intrattanto seduti ai fianchi due famelici garzoncelli, l’uno figliuolo di [p. 414 modifica]lei e l’altro di Zazone, i quali agognavano il momento di giugnere a divorarlo. Se non che l’ultimo a sopraffare il compagno carpì la pasta non cotta ancora, e tutta sparsa di cenere se la pose in bocca; ma il rivale avvedutosi della costui arditezza fugli sopra ed, afferratolo per la chioma, a furia di busse il costrinse a dar fuori il già mezzo inghiottito cibo. Gilimero, presente all’alterco, ebbelo segno che la fortuna a lui contraria come ne’ tempi andati facessegli tuttavia ostinata guerra. Laonde perdutosi d’animo scrisse prestamente nella massima disperazione a Faras in questi termini:

II. «Se mai ebbevi altri, mio ottimo Faras, il quale, dopo tollerati con molta constanza i più forti sinistri della vita mutasse alla per fine le sue prime deliberazioni, io sono quel desso, risoluto in oggi di accogliere intieramente il tuo consiglio e di non oppormi a vie più alla fortuna o combatterla, ma di seguirla senza indugiare ove mi chiama. Per abbandonarmi adunque nelle vostre mani attendo solo che Belisario, dando sua fede, accordi salvezza a’ Vandali, e promettami l’adempimento delle buone intenzioni di Giustiniano a mio riguardo, come tu appunto mi scrivevi». Così la lettera.

III. Faras manda subito il foglio e tutto il carteggio dapprima avuto col re a Belisario, chiedendogli un pronto riscontro; e questi bramoso al sommo di condurre Gilimero vivo in Bizanzio, lettene giubilando le condizioni, ordina immantinente a Cipriano duce dei confederati di partire con altre persone alla volta del [p. 415 modifica]Papua e di sagramentargli a suo nome e la domandata salvezza e l’adempimento presso l’imperatore delle cose indicategli da Faras; il quale, giunti costoro, accompagnolli vicino alle radici del monte, dove arrivato il re si fecero gli accordi: scioltasi quindi l’adunanza con piena soddisfazione del Vandalo tutti insiememente calcarono la via di Cartagine. Belisario abitava in allora un borgo della città nomato Ela, e quivi accolse il prigioniero che vennegli innanzi con ridente volto; maravigliandone i Romani, chi di essi interpetrava quel riso parto di follia cagionata da grave cordoglio, e chi attribuivalo ad una elevatezza straordinaria di mente, come che egli (di regia prosapia e da’ principj del viver suo fino agli estremi potentissimo e ricchissimo, di poi fuggiasco tra mille timori, e ridotto pe’ tanti disagj sul Papua ad assoggettarsi alla schiavitù degli imperiali) riandato ad un tratto il quadro di tutti i beni ed i mali avuti dalla fortuna, volesse col proprio esempio mostrare il niun conto da farsi delle umane vicende riputandole meritevoli di grandissimo riso; ma delle esposte sentenze giudichi ognuno a suo piacimento. Belisario di poi scrive a Giustiniano il prospero successo della guerra, la prigionia del re in Cartagine, ed il suo desiderio di menarlo seco in Bizanzio; intrattanto orrevolmente custodisce que’ barbari, ed appresta le navi.

IV. Ma siami or lecito di filosofare un istante sulle cose di qua giù; essendo che l’uomo debba sempre virilmente comportare le traversie, e sperare sinchè il fato avrallo in sua balìa sorte migliore, nella [p. 416 modifica]persuasione che le imprese stesse malagevolissime, ed impossibili a parer nostro nell’eseguimento loro, spesso riduconsi a buon termine dagli animosi con ben degno universale stupore: tale fu appunto il caso di questa guerra, non sapendomi se abbiavene altra da paragonarsi a lei. Ed in fe mia, come non trasecolare vedendo il quarto successore di Gizerico ed un regno fiorentissimo per ricchezze ed esercito, vinti e rovinati in così breve tempo da cinque mila stranieri privi di spiaggia e di porto a cui liberamente afferrare? (Non maggiore, senza contrasto, fu il numero delle truppe condotte da Belisario in Africa, e che vi riportarono sì grandi vittorie o in virtù di propizia stella, o mercè dell’animo loro): torniamo a bomba.

Note

  1. Qui lo storico passa in qualche modo a contraddire l’esposto al § 2 del precedente capo.