Istoria delle guerre vandaliche/Libro primo/Capo XVIII

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CAPO XVIII.

Arrivo delle navi in Cartagine, ed animo degli abitatori bene affetto ai Romani. — Liberazione de’ mercadanti prigionieri. — La truppa de’ vascelli piglia terra. — Belisario, entrato nella città alla testa dell’esercito, ascende il trono di Gilimero, ascolta i richiami dei saccheggiati da Calonimo, e fa loro giustizia.


I. Il dì appresso, arrivati i fanti ed Antonina consorte di Belisario, tutti di brigata battemmo la via di Cartagine, e giunti colle tenebre a lei vicino passammo non di meno la notte innanzi alle sue mura attendati, avvegnachè nessun ostacolo s’intraponesse all’entrarvi, corsi essendo prontamente i Cartaginesi ad aprirci le porte e ad accendere lumi e falò per le contrade, acciò ardessonvi fino all’alba del nuovo giorno; i Vandali quivi rimasi erano supplichevoli ne’ templi. Il condottiero però non volle approfittarne per guarentirsi dalle insidie, ed impedire ai suoi di commettere saccheggi e rapine col favore delle tenebre. In questa medesima notte le navi, spirando euro, veleggiarono al promontorio, ed i Cartaginesi vedutele appena ritirarono le catene di ferro dalla bocca del porto Mandracio perchè vi afferrassero.

II. Ascondevasi nella reggia un carcere ultimo albergo delle vittime destinate all’estremo supplizio dal tiranno, e rinserrava in allora gran numero di mercatanti, rei di non averlo potuto aiutare di danaro in [p. 370 modifica]questa guerra, e condannati a morire nel giorno stesso in cui a Decimo fu spento Ammata. Se non che il carceriere udita la sconfitta de’ barbari e vedendo la flotta al di qua del promontorio entrò a que’ miseri, privi dall’epoca di lor prigionia d’ogni consolante novella e tra quelle miserie in aspettativa sempre della morte, e richieseli qual somma e’ darebbero per tornare in libertà e tutti ad una voce risposero: non avervi danaro sufficiente a guiderdonare un tanto benefattore. Colui replicò bastargli il giuramento di assisterlo com’ei potrebbero il meglio nel grave pericolo che andava ad incontrare per essi, e la cosa ebbe effetto. Il guardiano adunque fe loro manifesta la rotta de’ Vandali, ed aprendo le finestre volte al mare poseli in istato di riconoscere le nostre navi; quindi al momento spalancò il carcere, e i detenuti abbandonarono in sua compagnia quell’esecrando luogo.

III. Le truppe che aveano in custodia i vascelli affatto ignare dell’operato dall’esercito in terra, ammainando le vele spedirono ad Ermea per saperne, bramose di togliersi da quella molesta incertezza. Conosciute pertanto le felici avventure de’ colleghi, giocondissimi ripresero con prospero vento la navigazione, pervenendo in brev’ora a soli cencinquanta stadj da Cartagine. Qui Archelao ed i soldati volevano dare in terra, ma non v’acconsentirono i nocchieri dicendo pericolosissimo il lido, e fondato il timore che sopraggiugnesse tra poco una tempesta, nomata Cipriana1 [p. 371 modifica]dai terrazzani, la quale, fermandovisi le navi, non ne risparmierebbe neppur una, ed era la verità. Laonde raccolte nuovamente le vele e tenuto consiglio, deliberarono che non si andasse in verun conto a Mandracio senza ordine positivo di Belisario. Nè meno del lido e della tempesta paventavano l’angustia del porto in comparazione di cotanto navilio, e non fosservi ancora alla sua bocca tirate le catene. Ripensando in cambio ad un seno, come già scrivea, detto Stagno, non più che quaranta stadj lontano da Cartagine, vastissimo e di molto facile entrata, ove tutte le navi a loro bell’agio apporterebbero, vi si diressero ed occuparonlo dopo il tramonto. Il solo Calonimo con pochi altri fecesi di nascosto tradurre in Mandracio, e presa terra diede il sacco a tutti i fondachi de’ mercatanti forestieri e cartaginesi ivi di stanza.

IV. Il giorno seguente Belisario fe dismontare le truppe delle navi, e ordinato l’esercito come se venir dovesse a giornata col nemico, marciò alla volta di Cartagine non libero da timore d’un qualche agguato. E prima di mettervi il piede molto raccomandò a ciascheduno la disciplina, mostrando loro i vantaggi per lei conseguiti di già nell’Africa; esortolli di più ad osservare una irreprensibile condotta soprattutto nella capitale, i cui abitatori per lo innanzi ligi dell’imperio, non giaceano che a lor malincorpo sotto la potenza de’ Vandali, sofferendone ognora cattivissimi trattamenti; il perchè a torto e con vitupero oltraggerebbesi un popolo cui si promette libertà e salvezza. Dopo le ammonizioni passò nella città, non [p. 372 modifica]incontrandovi nemici, e salito nella reggia occupovvi il trono di Gilimero; e qui appresentaronglisi i mercatanti di quella spiaggia per richiamarsi ad alta voce contro le sue genti, che avevanli saccheggiati nell’ultima notte. Il duce allora strinse con giuramento Calonimo, autore del commesso delitto, a manifestare e rendere la preda; costui promiselo, ma quindi spergiuro diedesi alla fuga portando seco tutto il bottino. Non andò guari però che aggiunselo in Bizanzio il gastigo di sua perfidia, perduto avendo il senno in causa d’un colpo apopletico, e laceratosi per lo grave malore co’ denti la lingua tra mille guai uscì di vita; la fine di lui non di meno vuol riferirsi ad un’epoca più lontana.

Note

  1. Lo storico dà la spiegazione di questo nome al § 3 del capo seguente.