Istoria delle guerre vandaliche/Libro primo/Capo IV
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CAPO IV.
I. I Vandali tolta l’Africa ai Romani guardarono sotto buona custodia i prigionieri tra cui era Marciano quindi successore di Teodosio, e vo’a dirne la istoria: Mentre che in tal giorno questi disgraziati eransi fatti raccorre da Gizerico entro una vasta corte, bramoso di osservare dai volti loro se aveavene di stirpe regale per sottrarli da sì triste condizione, e là pel nudo terreno d’inedia e di fatica oppressi giaceansi assonnati, un’aquila d’improvviso volatavi s’arrestò, librandosi in sulle ali, qualche tempo sopra il capo di Marciano. Il barbaro tra sè notato il prodigio, nè tenendolo opera del caso, lo chiama e vuol sapere da lui chi mai e’ si fosse. E quegli: il partecipe, rispose, di tutti gli arcani di Aspare, o con voce romana, il familiare suo. Gizerico a queste parole ravvolgendo nella mente ed il maraviglioso operare dell’uccello e la possanza di quel duce in Bizanzio, giudicò fuor di proposito il dargli morte, nè verisimile che l’aquila così onorasse chi aveva ad un filo appesa la vita. Il perchè vedendo inutile ogni tentativo di nuocergli se destinato era all’imperio, non valendo possa umana contro ai voleri del Nume, si fa giurare da lui una costante amicizia e che terrebbesi ognora lontano dal guerreggiare i Vandali. Per simigliante guisa Marciano riebbe la propria libertà, e morto poco dopo Teodosio fu imperatore, da ottimo principe governando la repubblica, solo che trascurò le africane vicende, come narreremo a suo tempo.
II. Gizerico, superato Aspare e Bonifacio, prudentemente chiamandosi alla memoria la volubilità della fortune, la picciolezza sua rimpetto all’imperio, ed i gravi pericoli cui soggiacerebbe se Roma e Bizanzio mandassergli contro un nuovo esercito, meglio estimò, in virtù di tali considerazioni, il moderarsi che non l’inorgoglire per la testè riportata vittoria; laonde chiese ed ebbe pace da Valentiniano, obbligandosi ad un annuo tributo e dandogli in istatico il proprio figlio Onorico, il quale però dopo breve assenza, crescendo sempre più tra loro la buona armonia, vennegli dall’imperatore spontaneamente restituito. In Roma frattanto muoiono Placidia e Valentiniano, non lasciando costui prole virile, ma due sole femmine avute da Eudossia figliuola di Teodosio, e qual ne fosse l’estremo fato esporrò qui brevemente.
III. Vivea a que’ dì tra’ senatori un Massimo, congiunto per parentado al tiranno di egual nome spento dal seniore Teodosio, e di sua sconfitta era celebrato festivo anniversario dai Romani1. Valentiniano invaghitosi della costui moglie di grandissima onestà e bellezza, e disperando averne l’affetto, studiossi compiere i suoi desiderj con abbominevol arte; imperciocchè mandato ordine a Massimo di tosto presentarglisi nella reggia, e preso a giuocar seco ai dadi, con invito di danaro, il vinse, e giusta il pattuito dapprima tra loro, in isconto delle poste ebbene l’anello, che fe segretamente ed a nome del consorte pervenire alla matrona, sollecitandola di portarsi appena ricevuto quel segno alla corte per salutarvi l’imperatrice Eudossia. Ella obbedisce, ed al suo arrivo è accolta da persone complici del tradimento, e condotta a diritto nel gineceo, dove pronto giugne Valentiniano ad incontrarla per eseguire la ordita trama. La meschina tornata quindi alla sua abitazione mesta lagrimava il sofferto oltraggio, e corrucciavasi acerbamente al marito supponendolo partecipe di tanto delitto. Massimo ribollente d’ira medita vendicarsi coll’offensore, ma trovando grave ostacolo a’ suoi divisamenti nel duce supremo, in molta estimazione allora per una segnalatissima vittoria riportata sopr’Attila condottiero d’un poderoso esercito di Massageti e di Sciti contro i Romani, pensò torre a costui in anticipazione ogni lode e merito derivatigli da quelle imprese rendendolo sospetto al monarca; ed avevane tutto il destro, certissimo che i Romani erano ben lunge dal riporre in esso ogni loro speranza.
IV. Comperatosi adunque l’affetto degli eunuchi, ai quali, in premio di lor fedeltà, aveva l’imperatore commesso la custodia del suo corpo, induceli a persuadere Valentiniano che Aezio macchinavagli insidie, e colui di leggieri credutolo, per averne sospette le virtuose azioni, ordina che di ferro perisca2; si vuole poi che interrogato un Romano a’ suoi fianchi sul merito di quella morte venissegli risposto: «Se dalla proferita sentenza avrem utile o danno a te spetta il giudicarne, o sire: sta però fitto nel mio capo che siiti coll’opera della manca tagliato la destra mano».
V. Attila, morto Aezio, non vedendo più tra’ romani duci chi potesse competer seco in valore, guasta e rovina per poco Europa tutta e fa suo tributario l’Imperator d’occidente. E narrasi che cinta d’assedio Aquileia3, città marittima, ricca e popolata sopra ogni altra al di là del golfo Ionico, arrivassegli il seguente faustissimo augurio. Stanco omai dal lungo ed infruttuoso accerchiar quelle mura, intimò la partenza all’esercito per l’aurora del vegnente giorno; ed in effetto ai primi raggi mattutini pronti i barbari cominciavano a retrocedere, quando fu in cotal mezzo aocchiata una cicogna portar via per singolo i suoi pulcini da una torre ov’erane il nido, i quali non ancor destri al volo adagiavansi nel tragitto sul dosso materno, e così l’un dopo l’altro condurli a salvamento. Attila, di moltissimo ingegno nell’interpetrare gli augurj, considerato il fatto rivocò subito l’ordine della partenza, dicendo che l’uccello non abbandonerebbe indarno sua magione se non antivedesse minacciata di qualche gravissimo disastro la città dal Nume; e fu indovino, mirando poco stante cadere di per sè la parte del muro che ricettava il nido, e con ciò aprirgliesi un varco, per mettervi a ferro e fuoco quanto eravi dentro; tali furono i destini di Aquileia.
VI. Massimo di poi estingue Valentiniano, e rimaso a que’ dì vedovo invaghisce d’Eudossia e vi passa a nozze; ma avendole confessato, tra i piaceri del talamo, che preso oltre misura di lei non seppe rattenersi dal vedovarla del marito, la matrona cui già da gran pezza non iva costui più all’animo, esacerbossi maggiormente per le udite malvagità, ed agognò vendicare il tradito consorte. Laonde appena dileguate le tenebre mandò frettolosamente a Cartagine4 pregando Gizerico di accorrere a gastigare l’empio tiranno e dell’assassinio di Valentiniano e de’ cattivi trattamenti cui soggiaceva ella stessa. Aggiugne di più che ove il perfido riuscisse ad usurpare il supremo potere tutto ne andrebbe in perdizione, e conchiude rammentandogli l’obbligo suo di sovvenirla mercè dell’amicizia e degli accordi che legavanlo all’ucciso, e la impossibilità di sperare aiuto alcuno da Bizanzio, dove mancato ai vivi Teodosio, imperava Marciano.
Note
- ↑ Anno dell’era volgare 383 e settimo dell’imperio di Teodosio I. Fu sconfitto il tiranno presso Aquileia; e spogliatolo dalle imperiali insegne soggiacque al taglio della testa.
- ↑ Anno dell’era volgare 454, e vigesimo nono dell’imperatore Valentiniano III. «Valentiniano fece uccidere Aezio per semplice pazzia; il quale poi nel fine dell’anno fu miseramente ucciso, onde lo imperio era tutto sotto sopra, essendosi perse molte provincie, e tra le altre la Spagna, la Francia, l’Africa, la Germania, la Dacia, la Sarmazia, la Misia, la Guascogna, la Pannonia, e altre regioni nobili, onde lo impero era del tutto in occidente depresso» (Bardi).
- ↑ Detta parimente Acilia. «Aquileia, sono parole di Strabone, che più d’ogni altra è vicina all’ultimo recesso del golfo, la fondarono i Romani, e fortificaronla contro i barbari abitanti nelle parti superiori. Si naviga alla volta di questa città rimontando il fiume Natisone per lo spazio di circa sessanta stadj; e serve d’emporio a quelle fra le nazioni illiriche che abitano lungo l’Istro, le quali vi portano le produzioni marine e il vino che mettono in botti di legno su carri, e l’olio; e i Romani vi conducono schiavi, pecore e pelli. Questa città d’Aquileia è situata fuor dei confini degli Eneti» (lib. v, trad. di F. A.)
- ↑ «È Cartagine situata sopra una penisola della periferia di trecento sessanta stadii, cinta di muro, ed il suo collo, della lunghezza di sessanta stadj, stendesi dall’uno all’altro mare, dov’erano le stalle degli elefanti de’ Cartaginesi, luogo vastissimo. Nel mezzo della città fuvvi la rocca nomata Birsa (Dorso), ch’è una balza assai erta con abitazioni all’intorno, e nella cui sommità ergevasi il tempio di Esculapio, che la moglie d’Asdrubale nella presa della città arse unitamente a se stessa. Sotto la rocca sono i porti e Cotone, isoletta rotonda circondata da stretto canale (Euripo), e da ambe le sue parti veggonsi in giro gli arsenali. Didone edificò questa città, e vi condusse da Tiro gli abitatori..... Cartagine dopo essere stata lungamente deserta, rimontando la sua rovina quasi all’epoca di quella di Corinto, fu nell’egual tempo ristaurata dal Divo Cesare, il quale vi mandò coloni romani, chiunque ne avesse fantasia, e qualche soldato. Ed ora è così popolosa che non havvene altra maggiormente in Africa» (Strabone, lib. xvii).