Istoria delle guerre persiane/Libro secondo/Capo XV

Capo XV

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CAPO XV.

Reali distintivi conferiti ab antico al monarca de’ Lazj dal romano imperatore. — Cattivi trattamenti fatti a questo popolo da Pietro e Giovanni comandanti delle imperiali truppe. — Suoi ambasciadori alla presenza di Cosroe per domandarne il patrocinio. — Loro preghiera esaudita.

I. Cosroe sollecitato dai Lazj1, e vo a dirne il perchè, moveva colle truppe verso la Colchide. Questi antichi abitatori di lei obbedivano ai Romani senza però esserne tributarj o altrimenti gravati; se non che venendo il capo loro a morte l’imperatore conferiva i distintivi reali2 al nuovo monarca, il quale obbligavasi di [p. 204 modifica]custodire colle sue truppe i luoghi forti della regione, e di reprimere le scorrerie degli Unni, che, disceso il Caucaso e traversata la Lazica, innondavano quasi torrente le imperiali terre; e’ poi non riceveva per tale uffizio da’ Romani truppe o danaro, nè tampoco avea parte co’ suoi nelle militari imprese loro. Commerciava di più la nazione co’ Romani del Ponto, mandandovi pelli e schiavi, e riportandone grano e sale.

II. Dopo le venture di Girgene, re degli Iberi, da me narrate nel precedente libro3, le imperiali truppe cominciarono a dimorare nella regione de’ Lazj ed a travagliarla fortemente, massime Pietro4 lor capo, uomo orgoglioso e violento, originario di Arzanene, [p. 205 modifica]cittadetta a riva del fiume Nimfio e suddita al reame di Persia5. Egli, ancor fanciullo, era prigionere dei Romani allorchè Giustino, debellata Amida, volse le armi sopra le terre di que’ barbari. Ebbe però la buona sorte di ricevere presso il suo padrone sì bella educazione da poter essere prescelto all’ufficio di segretario dello stesso imperatore, il quale salito in trono colla morte di Anastasio elevollo al grado di prefetto de’ Lazj, contaminato poscia dalla sua incontentabile avarizia di enormi crudeltà. In processo di tempo Giustiniano mandò loro altri capi, e tra essi un tal Giovanni soprannomato Zibo 6, oscurissimo per ischiatta e venuto in carica pel solo perspicace oltra ogni dire suo ingegno nell’inventare mai sempre nuove sorgenti di tributi. Su lui perciò cade principalmente la colpa di aver rovinato gli affari de’ Romani co’ Lazj, inducendo l’imperatore a fabbricare nella costoro terra una città, chiamata Pietra7, dove poscia andò egli stesso [p. 206 modifica]a dimorare come in una rocca, ed a reggere pessimamente le cose di quel regno, vietando sino ai mercadanti la introduzione del sale e di altri commestibili nella Colchide, o che ne venisse tratta derrata comunque, volendo egli essere l’unico arbitro d’ogni monopolio, il capo di tutte le officine, ed il solo a commerciare nella provincia, non giusta l’usanza, ma come vie più attagliavagli. Per la qual cosa i Lazj, non potendolo soffrire a governatore, divisarono sommettersi a Cosroe ed a’ Persiani, mandandovi a tal uopo nascostamente ambasceria con ordine espresso di ottenere dal monarca un giuramento che non renderebbeli mai più all’imperio.

III. Giunti gli oratori de’ Lazj al cospetto di Cosroe proferirono queste parole: «Se v’ha esempio che sudditi comunque ribelli ai proprj monarchi per legarsi con uomini all’intutto nefandi, venissero poscia da un propizio fato, avvegnachè immeritevoli, riposti sotto il primiero dominio, tale ventura di presente, o re, speriamo riprodursi tra noi. I Colchi, a riandare le antiche vicende, furono già in alleanza coi Persiani, e molti erano gli scambievoli vantaggi di questa unione, come ne fanno certa fede più e più nostre scritte memorie custodite ora ne’ tuoi regii archivj: nel trascorrere però de’ tempi, o da voi trascurati, o per qualsivoglia altro conto, mancando [p. 207 modifica]noi di più esatte notizie, strinsero lega coll’impero. Ma in oggi, o re, deponiamo altra fiata nelle tue mani e noi e tutta la nostra repubblica, acciò ne disponga di pieno tuo volere, supplicandoti unicamente che di tal modo consideri il fatto nostro: se di nulla aggravati dai Romani, e perciò con manifesta ingratitudine verso di loro, noi ricorriamo alla Persia, rigetta pure i nostri prieghi, estimando che i Colchi non saprebbero mai più esserti fedeli, perocchè dalle giustificazioni d’una rotta amicizia potremmo ognora argomentare l’esito di quella che si propone ad altrui; se per lo contrario noi, amici di parole co’ Romani ed in effetto schiavi e servi loro, non siamo punto rei d’infedeltà quantunque oppressi dagli empj trattamenti de’ nostri tiranni, accogli ora per servo chi ti fu amico, e punisci, operando cose degne di te e della tua giustizia, il dispotismo crudele; mercecchè ad essere giusti dobbiamo non solo guardarci dal commettere iniquità, ma è forza ancora prendere all’uopo la difesa di coloro che gemono sotto la sferza degli oppressori; ascolta pertanto la esposizione dei mali a noi derivati dall’abbominevole giogo romano. Prima di tutto e’ non lasciarono al nostro capo che il nome di re, spogliandolo del supremo comando e riducendolo alla misera condizione d’un servo che trema allo sguardo autorevole del suo padrone; mandarono parimente tra noi un forte esercito, non per difendere il paese dai nemici, sendo ben lunge ognuno, eccetto i Romani, dal molestarlo, ma per impossessarsi, imprigionato quasi diremmo il [p. 208 modifica]popolo, delle cose nostre, giudicando questo il più agevol mezzo di eseguire i rapimenti loro. Aggiugni poi scelleratezza di nuovo conio: dessi costringono i poveri e renitenti Lazj a comperare ogni loro superfluo ed a vendere sulla fede quanto la propria terra di buono e d’ottimo produce, apprezzandolo secondo il volere del più forte; ed in cotal guisa coi necessarj alimenti rapisconci tutto il danaro, manomettendo noi ed il nostro sotto l’onesto name di mercatura; obbediamo in fine, anzi che ad un governatore, ad un vile trafficante, il quale fa bottega di ciò che ne spetta. Bersagliati adunque da tanti giusti motivi di rivolta ne sembra avete ogni diritto per sottrarci dal giogo imperiale. Non andrà inoltre senza grande vantaggio delle tue genti l’alleanza di noi Lazj, impercciocchè unito per siffatto modo alla Persia un antichissimo regno, estenderai sommamente il tuo dominio; nulla più ostando allora che tu signoreggi il mar romano8, per dove, o re, se nei lidi nostri appronterai un navilio, questo di leggieri ti condurrà sino alla reggia bizantina, non avendovi impedimento di mezzo. Pensa da ultimo che ad un solo tuo cenno scorreranno i vicini barbari di anno in anno le imperiali frontiere, sendo la Lazica dai monti Caucasii fin qui, come già il saprai, una fortezza. Presa quindi la giustizia di scorta ed animato da’ tuoi stessi profitti accogli i voti nostri, e tanto più di buon grado in quanto che il rifiuto loro non apporterebbe [p. 209 modifica]alla Persia, crediam noi, vantaggio alcuno»; sì dicendo terminarono gli ambasciadori.

IV. Di quest’orazione il re assai lieto promise ai supplicanti di proteggere i Lazj, ed interrogolli se fossevi mezzo di trapassare con forte esercito la Colchide, rammentando che molti estimavano malagevole cimento il penetrarvi fin da solo e senza impacci a motivo de’ continui dirupati e dei foltissimi boschi dai quali veniva ingombro tutto il cammino. Quelli rispondeano avervi pronto rimedio al male, tagliando gli alberi e valendosene a riempire i precipizj, e pel marciar delle truppe offrivano scorte di lor nazione. Laonde Cosroe animato da tale consiglio ragunò un poderoso esercito e si dispose alla partenza, aprendo unicamente l’animo suo a que’ Persiani cui soleva confidare i proprj segreti. Vietò eziandio agli ambasciadori di far parola dei concerti presi, ma finger in cambio si dovea ch’egli andrebbe nell’Iberia orientale per ordinarvi gli affari, avendo l’unnica gente assalite le terre del suo regno.

Note

  1. Popoli all’oriente estiva del Ponto Eussino, ed aventi a Mezzogiorno il Fasi e la Colchide, regione presso del monte Caucaso. «Questa è gente, dice Agazia, fiera ed orgogliosa di sua grande potenza, del numero dei proprj sudditi, e della gloria derivatale dal Nome degli antichi Colchi. Nè di vero mi ricorda tra tutti i popoli non sovrani ma ligj altrui, che siavene alcuno da paragonarle in potenza, in considerazione, in copia d’uomini, in ricchezze, negli agj del suolo, nei mezzi onde a facilmente procacciarsi le necessarie vittuaglie, nell’equità delle leggi in fine, e nelle gentili maniere» (lib. iii, cap. 3).
  2. Tali distintivi erano secondo |Procopio (lib. iii, degli Edif.) «una clamide di lana, non già di pecora, ma tratta dal mare, perchè tolta da crostacei, volgarmente detti pinne, sulli quali nasce. Questa veste purpurea aveva ricamata in oro la parte nella quale si suole stringere e tenere unita; e alla sommità della clamide era una fibbia d’oro, entro cui era incassata una pietra preziosa, e dalla quale pendevano tre giacinti raccomandati a tre catenelle d’oro anch’esse. Una tunica di seta, era vagamente sparsa dappertutto di chiodi d’oro, o come volgarmente si dice di piume. I calzari alti sino al ginocchio erano di carico rosso colore, ornamento a nessuno permesso fuori che all’imperatore romano».
    Agazia poi dice questi distintivi essere stati una corona d’oro ricca di pietre preziose, una veste con ricamo d’oro e discendente sino ai talloni; calzari di scarlatto; una mitra coperta d’oro e di gemme. E la clamide, avvegnachè non di scarlatto ma d’una bianca stoffa, aver tuttavia superato in magnificenza quelle solite vestirsi, apparendovi ai due lati un’aurea fascia, ed avendo un fermaglio d’oro ed altri oronmenti (lib. iii).
  3. V. lib. i, cap. 12.
  4. È forse quel desso infame Pietro Barsame, numulario di professione, ladro, spergiuro, ec. ec. (V. le Storie Segrete, cap. 23) il quale non pertanto fu di poi annoverato tra’ soldati pretoriani, ed ornato per ben due volte delle magistrature ragguardevolissime di prefetto del pretorio e di conte delle largizioni, come portano varj titoli di Novelle.
  5. Castello, presso d’Anville, il quale comunicava il suo nome alla regione, ora è detto Erzen. Ab antico l’Arzanene appellavasi Tospite in grazia della città di Tospia.
  6. O Gibbo. Nel lib. i, cap. 11, della Storia Segreta, e più ancora nelle note appostevi dal ch. traduttore, v’ha quanto basta per comprovare pienamente la malvagità di costui.
  7. Così il Nostro nel lib. iii degli Edifizj: «Nella Lazica egli (Giustiniano) avea fabbricato Pietra, città degna di essere veduta, la quale per somma imprudenza dei Lazj consegnata ai Persiani, capitato colà Cosroe con grande esercito, i Romani superiori nella guerra, parte de’ Persiani uccisa, parte fatta prigioniera, atterrarono pienamente, perchè se i barbari per avventura ritornassero, non potessero più d’essa servirsi a danno dell’imperio»
  8. Intendesi il Ponto Eussino.