Istoria delle guerre persiane/Libro primo/Capo XVIII
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1833)
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CAPO XVIII.
I. Cavado allegratosi ai consigli del Saraceno levò un esercito di quindici mila guerrieri, e datane la capitananza ad Azarete persiano, duce espertissimo nelle cose belliche, volle che Alamandaro servisse loro di scorta nel viaggio. Eglino adunque valicato l’Eufrate presso dell’Assiria, e traversata una regione affatto deserta, comparvero improvvisi nella Comagene, primo esempio che le truppe del re entrassero per di qua nelle nostre terre.
II. A tale comparsa repentina e di estremo spavento Belisario, indeciso dapprincipio, risolvè farsi incontro al nemico, e presidiati i forti, per tema non Cavado ponesse piede con altro esercito nella Mesopotamia senza difesa, partì alla testa di venti mila uomini, computando tra loro per lo meno due mila Isauri1. Duci della cavalleria erano que’ dessi che pugnarono sotto Dara contro il mirrane, dei fanti Pietro, guardia di Giustiniano, e degli Isauri Longino e Stefanacio; accorsevi inoltre Areta co’ Saraceni suoi: giunti a Calcide, città2, e risaputo starsi il nemico ad un intervallo non maggiore di novanta stadj, piantarono il campo. Se non che Azarete ed Alamandaro, attendati vicin di Cabbala, alla nuova della costoro venuta retrocedettero, timorosi del pericolo, in cambio d’inoltrare, appoggiando all’Eufrate la sinistra loro. L’esercito romano però seguivane le tracce, ed ogni notte ristoravasi laddove in quella antecedente erano state le nemiche tende, così disponendo il condottiero a bello studio per non essere costretto ad accettar battaglia col sollecitare l’andata de’ suoi, ben contento che i Persiani ritirassersi senza prendervi egli parte alcuna. Tutti, capi e soldati, il contradiavano di nascosto, ma nessuno ardiva mostrare aperto risentimento.
III. I Persiani dopo molti giorni di cammino fecero alto sopra le rive dell’Eufrate, rimpetto alla città di Callinico3, per quindi abbandonare il fiume, ritirandosi dalle terre imperiali, e procedere in paese deserto e spoglio di abitatori; ma Belisario, pernottato nella città di Sura4, aggiunseli nel punto medesimo in che s’apprestavano frettolosamente alla partenza. Ricorreva in quel dì la vigilia di Pasqua, prima di tutte le solennità cristiane, ed a cui era uopo far precedere un’astinenza totale di cibo comunque e bevanda non solo nell’intiero corso della giornata, ma anche in molta parte della notte.
IV. Il duce romano vedendo le sue truppe impazientissime di combattere le adunò, col parere dello stesso Ermogene di fresco arrivatovi, per distorle dal proposito loro, e disse:
V. «Da qual furore, o valorosi Romani, da quali sofferenze indotti volete ora correre intempestivamente sì pericoloso aringo? Perchè voi soli negherete essere la prima di tutte le vittorie il non riportare nocumento alcuno dai nemici? come a noi di presente vien concesso dalla fortuna e dal timore destatosi in essi pel nostro arrivo. Non sarà quindi meglio rimaner soddisfatti di questo bene, e punto non curar chi fugge? Que’ Persiani che ebbri di speranza movevanci contro rimasero già delusi, e li vedete dare le spalle; nè se li costringessimo a far mostra nuovamente dei loro volti otterremmo di più ancorchè vincitori nella lotta, riducendosi il trionfo nostro a discacciare truppe di per sè postesi in piena ritirata. Se però nostra è la sconfitta, chi ne torrà via la taccia di avere trascurato i proprj vantaggi e ceduto la vittoria al nemico? Aggiugnete inoltre che le imperiali terre andranno in balia del vincitore: nè Dio presta già il suo braccio potente a favor di coloro che male accorti e caparbi gittaronsi ne’ pericoli, ma bensì a cui fu necessità l’incontrarli. Di più, riducendo i barbari alla disperazione li stimolereste a divenir coraggiosi, ed affrontandoci e’ rinverrebbero noi tutti spossati dalle marce, dall’astinenza, ed in aspettativa ancora di qualche parte delle nostre genti».
VI. L’esercito alle ammonizioni del comandante cangiò le segrete querele in altissime grida contro di lui, accusandolo di pusillanimità e di fellonia nel rintuzzare il valore e la fermezza de’ suoi guerrieri; nè la sola truppa ma ben anche taluni degli stessi duci, per vana ostentazione di coraggio, scagliavangli sì crudeli rimbrotti.
VII. Belisario pertanto sbigottito dalla costoro alterigia e sconsigliatezza mutò linguaggio, e dissimulando animarli al combattimento soggiungeva che sebbene avesse ognora fidato sul coraggio loro, trovandoli adesso meglio disposti che mai sentiva nascere in sè vie più grande ardore di venire a giornata. Schierò quindi l’esercito ponendo la fanteria al corno sinistro, dalla banda del fiume, Areta co’ Saraceni al destro, ove il terreno declinava alquanto, ed egli colla cavalleria si portò ad occupare il centro.
VIII. Azarete, veduta l’ordinanza romana confortò li suoi dicendo: «Nessuno può dubitare che voi, sendo Persiani, anteponiate l’onore alla vita; aggiugnerò eziandio, volendo il contrario Io tentereste indarno. Chi ha cuore di fuggire il pericolo per menar vita infame, è capace non meno, propendendovi la volontà, di preferire cosa più gradita ad altra più onesta. Ma l’uomo ridotto all’inevitabile estremità di morire o nel fervor della pugna con gloria, o dopo la sconfitta con ignominia, sarebbe al certo dissennato se a questo anzi che a quello piegasse. Stando così la bisogna mi lusingo vedere nell’imminente conflitto voi tutti meno solleciti del romano valore, che del regale giudizio cui darà poscia argomento la vostra condotta». Dopo la breve concione il duce mise in campo le truppe ordinando alla sua destra i Persiani, ed i Saraceni alla sinistra.
IX. In un medesimo punto i due eserciti vennero alle mani, e si guerreggiò ostinatamente da ambe le parti, nè mancarono pur ora valorosi atleti che, inoltrando nel vano di mezzo alle truppe, mostrassero di sè opere stupende. Le frecce riuscirono assai micidiali ai barbari, meno ai Romani, avvegnachè quelli non la cedano a chicchessia nel tirar d’arco, ed in tale conflitto avventassero copia maggiore di saettame; eranne però i colpi in guisa deboli che al percuotere gli elmi, le corazze o gli scudi avevano già perduto ogni vigore. Meno frequenti per lo contrario succedevansi gli strali de’ Romani, ma lanciati con gagliardia maggiore spesso recavano, percuotendo, mortali ferite. Trascorsi nel combattere due terzi del giorno ed incerta ancora essendo la vittoria, i più coraggiosi de’ Persiani gittaronsi a furia sul corno destro nemico, dove i Saraceni agli ordini di Areta subito piegarono con vergogna grandissima e con qualche sospetto di tradimento; nè più vi volle per mettere in iscompiglio tutto l’esercito. Le reali truppe allora animate dal prospero evento assalgono la cavalleria di Belisario, la quale rifinita dalla stanchezza delle marce, dalle fatiche della battaglia e dall’astinenza dovè rinunziare ad ogni più lunga difesa; e mentre gli uni riparavano sulle vicine isole del fiume, gli altri con istraordinarissime azioni coronavansi di nuovi allori sul campo, Ascanio tra questi di sua mano uccise il fiore della gioventù persiana, nè cessò dalla strage che fatto a brani dal costoro ferro, imprimendo alta stima del valor suo nell’animo stesso de’ nemici. Morì egli con ottocento de’ più illustri guerrieri, e pur morirono gl’Isauri co’ duci loro, tutto che non cimentassersi nella pugna; gente era questa, Licaonii il più, tolta dalle faccende rusticane per ingrossare l’esercito, e la nessuna esperienza sua rendevala incapace di ogni bellico movimento; e pur dessa è quella che poco stante agognava sì forte la battaglia, ed accusava il condottiero di codardia.
X. Il duce romano sinchè vide Ascanio nel cimento proseguì pur egli a combattere, ma quello morto, e morta con lui una parte delle sue truppe e l’altra volta in fuga, desistette e andò a soccorrere un corpo di fanteria, che retto da Pietro opponeva ancora ostinata difesa; giuntovi smontò a piede e dette comando alla sua scorta di fare altrettanto. I Persiani allora più non curandosi de’ fuggitivi abbandonaronli per opprimere con tutte le truppe loro Belisario, il quale subito voltò gli omeri al fiume, unico mezzo in poter suo che guarentivalo dall’essere circondato. Qui pure si guerreggiò pertinacissimamente, ma con assai dispari armi, dovendo un pugno di fanti reggere all’impeto di tutti i cavalieri persiani, ed impertanto non valsero questi a romperne la ordinanza o a metterli in fuga, perocchè avevano gl’imperiali rinserrato al tutto lor file, e tenendo congiunti gli scudi recavan danno maggiore di quello ne riportassero. Il nemico di galoppo mossevi più fiate contro per isbaragliarli; ma sempre indarno, impennandosi i cavalli inferociti dallo strepito delle armi, e rendendo coll’ostinazion loro i cavalieri impotenti di combattere. Terminato il giorno in questo agone venne la notte a separare i due eserciti, de’ quali il persiano raggiunse le proprie tende, e Belisario col mezzo d’un vascello, trovato a sorte presso la riva del fiume, passò nell’isola, dov’erano campate le altre romane truppe dopo la sconfitta. Entro il dì venturo poi esse arrivarono nella città di Callinico sopra navilio mercantile inviato colà espressamente. Azarete fatto spogliare i morti, tra’ quali osservò il numero de’suoi non inferiore a quello de’ Romani, ricondusse in Persia l’esercito, ed arrivatovi, quantunque si presentasse alla reggia vittorioso, fu colpito dallo sdegno di Cavado, e vo a riferirne il motivo.
XI. Al cominciar d’una guerra è usanza tra’ Persiani che tutto l’esercito col suo condottiero sfili innanzi al re seduto in trono, ed ogni individuo gitti, passando, una freccia in grandi cofani all’uopo quivi disposti, i quali fatta la rassegna suggellansi coll’impronta reale per venire nuovamente dischiusi al tornar delle truppe, dovendo allora ogni soldato coll’antedetto metodo riprenderne una; dopo di che gli ufficiali cui spetta contano le rimanenti per ridirne il numero al monarca, acciò e’ conosca la quantità degli uomini perduti in guerra: sin qui la consuetudine persiana. Quando Azarete adunque, ricondotto l’esercito in patria, comparve innanzi al re, questi domandògli qual nemica città avesse conquistato, memore tuttavia essendo che il duce partendosi con Alamandaro gli prometteva di espugnare Antiochia: l’altro rispose che avea non debellato cittadi, ma bensì vinta una battaglia. Cavado allora ordinò che si rivedessero gli strali, ed ogni guerriero chinòssi a ricogliere il suo; rimasane però grande copia entro i cofani, ed appalesatosi così il caro prezzo della vittoria, lo privò del grado, nè più onorollo di sua confidenza.
Note
- ↑ Era il costoro paese adiacente alla Pisidia, e notissimo per le violenze e rapine commesse da’ suoi abitatori contro i popoli vicini. Servilio guerreggiolli, sconfisseli, e riportonne il soprannome d’Isaurico.
- ↑ Kinnefrin in Siriaco, ed ora pochissimo conosciuta non rimanendovi che le sue vestigia, dette il vecchio Aleppo.
- ↑ Niceforio era il nome postogli da Alessandro, suo primo fondatore. Seleuco Callinico poscia (iv nella successione dei re di Siria) fortificato avendo lo stesso luogo, od altro adiacente, il chiamò Callinico (Cron. Aless.). Ammiano Marcellino inoltre descrivendo il viaggio di Giuliano da Carra a Davana commendane la fortezza e la situazione con queste parole: Postridie ad Callinicum (ventum est), munimentum robustum commercandi opimitate gratissimum (lib. xxiii, cap. 6).
- ↑ In questa città, che sussiste ancora e porta lo stesso nome, avevano i Giudei una scuola emula di quella di Nebardea.