Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XXXIX
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXXIX.
I Gotti entro le mura di Castel-Regino, Totila dà il guasto alla Sicilia. — Liberio eletto a comandante dell’armata di mare vien quindi surrogato da Artabano. Germano condottiero dell’esercito. Suoi apprestamenti. — Allegrezza dei Romani. Diogene ricusa di abbandonare Centumcelle.
I. I Gotti assalito in processo di tempo Castel-Regino furono valorosamente ribattuti dal presidio, e Torimuto, di preferenza segnalossi con azioni sol proprie d’animo generoso. Ma Totila non ignorando la carestia di vittuaglia entro le mura vi lasciò parte de’ suoi coll’ordine di guardare attentamente i passi, acciocchè il nemico privo dei bisogni della vita abbandonasse, in forza della fame, sè stesso ed il castello ai Gotti; intanto egli menò l’esercito nella Sicilia risoluto di occupare Messana. Domnentiolo, capitano de’ Romani quivi a stanza e nipote di Buze per femminile discendenza, mosse ad incontrarlo, e data battaglia rimpetto alle mura non v’andò colla peggio; ritiratosi di poi entro la città vi si tenne di piè fermo rivolgendo ogni suo pensiero a custodirla; così poterono i Gotti mettere a sacco impunemente il paese. In questo mezzo gli imperiali co’ loro duci Torimuto ed Imerio chiusi, come narrava, in Regio consumata per intero la vittuaglia s’arrendettero al nemico.
II. L’imperatore a tale annunzio ragunati molti vascelli ed empiutili di bellicosi fanti sotto gli ordini di Liberio commise loro di far vela prontamente verso l’isola e di ricuperarla in qualunque modo; se non che, ripensando tosto alla nessuna esperienza di guerra ed alla molta età di quel duce, pentitosi della fatta elezione, vi spedisce Artabano, tornatolo in sua grazia e fregiato del titolo di maestro de’ militi per la Tracia, dandogli per verità poche truppe, ma riparava al difetto loro coll’ordine di riunirvi le genti capitanate da Liberio, il quale veniva richiamato a Bizanzio. Nominò similmente condottiero dell’esercito contro Totila ed i Gotti Germano, prole d’un suo fratello, e fornivalo di copiosissimo danaro acciocchè provvedesse alla scarsezza delle ricevute forze col raccorre le floride schiere della Tracia e dell’Illirico; dopo di che passerebbe in Italia menando seco Filemuto principe degli Eruli colle milizie di lui, ed il suo genero Giovanni maestro dei soldati per l’Illirico e nato da sorella di Vitaliano.
III. Per siffatte vicende uno smisurato amor di gloria animò Germano a debellare i Gotti, bramoso di venir decantato ricuperatore al romano imperio, come diremo, non pur dell’Africa, ma anche dell’Italia. Conciossiachè gemendo la prima sotto la tirannia di Stoza, ed essendosi costui validissimamente confermato ne’ suoi dominij, egli mandato dall’imperatore a combatterlo, vinti in campo di là da ogni espettazione i faziosi, avea lui balzato dal trono, e tornato all’antica obbedienza quelle provincie; geste da me ricordate nei precedenti libri 1; ora ite colla peggio le guerre italiane volea rendersi vie più famoso col racquistare il perduto al bizantino monarca. Per agevolarsi adunque la via a questi nuovi trionfi pigliò seco innanzi tutto Matasunta di Amalasunta, prole di Teuderico, sposatala vedovo di sua donna Passara e morto re Vitige, sperando che la costei presenza impedirebbe ai Gotti, mossi da giusto rispetto alla memoria di Teuderico e di Atalarico, di farlesi contro armati. Di più versando a larga mano il danaro avuto da Augusto e gran parte del proprio facilmente ed in breve tempo arrolò molte, fuor d’ogni credere, valentissime genti. Poichè se tra’ Romani eranvi guerrieri d’alta riputazione, costoro, messi in non cale i duci ed i prefetti sotto cui militavano col grado di lance, recavanglisi e da Bizanzio e dalla Tracia e dall’Illirico, più che tutti cooperandovi in bellissima guisa Giustino e Giustiniano suoi figli e partecipi di quella guerra; similmente raccolse giusta l’imperiale comando alcuni Tracj. Molti barbari inoltre prossimani al fiume Istro eccitati dalla gloriosa fama di lui vi si unirono, avendone generosi doni; nè solo da tutte le regioni accorrevasi per seguirne i vessilli, ma infino lo stesso rege de’ Longobardi promisegli mandare tosto, avendoli già pronti, mille catafratti guerrieri.
IV. Al divolgamento di queste ed anche maggiori cose in Italia, usando la fama accrescerle tra gli uomini col suo procedere, i Gotti lasciaronsi vincere dal timore e dall’incertesza se dessersi o no a guerreggiare colla stirpe di Teuderico. I romani soldati poi o di propria elezione, o a malincorpo ai nemici stipendj mandano a Germano assicurandolo che non appena da lui superata la frontiera dell’Italia e messe a campo le truppe farebbonsi tutti suoi aiutatori. Gl’imperiali presidj antiveggendo un faustissimo avvenire tenevansi pieni di speranza in Ravenna e nelle altre poche città rimase loro, vegliandone la custodia col massimo zelo. I militi anch’eglino di Vero, i quali venuti alle mani col nemico erano stati sbaragliati, posti in fuga e dispersi, essendo allora vaganti in balia della sorte, all’udire la partenza di Germano, fatta massa all’Istria attendevanne l’arrivo ansiosi di raggiugnere le proprie bandiere. Quando poi fu il dì stabilito per l’arrendimento di Centumcelle, Totila inviò a Diogene chiedendogli che mandasse ad esecuzione gli stipulati accordi. Questi rispose non essere più in potere suo il farlo, divulgando la fama poco lontano di là Germano, eletto a supremo duce in quella guerra, coll’esercito, il perchè si restituirebbero ad ognuno gli statichi, e licenziati que’ messi tutto si dedicò alla salvezza delle mura, bramando il pronto arrivo del condottiero colle truppe. Qui terminò il verno e l’anno decimoquinto di questa guerra trasmessaci per iscritto dallo storico Procopio.
Note
- ↑ Guerre vandaliche, lib. IV.