Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XXIX

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CAPO XXIX.

L’Illirio messo a ferro e fuoco dagli Sclabeni. Tremuoti. Straordinaria inondazione del Nilo. — Presa d’un cetaceo nomato Porfirione. — Totila assedia il castello Rosciano.

I. Di questi tempi le armi degli Sclabeni, valicato il fiume Istro, posero crudelmente a sacco tutto l’Illirico sino ad Epidanno, ed a quanti avvenivansi, non compassionando nè sesso nè età, davan subita morte, o [p. 383 modifica]spogliati d’ogni danaro menavanli seco prigionieri. Occuparono eziandio a prima giunta moltissimi guardinghi della regione, creduti per lo innanzi più che forti, e scorrazzando tutti que’ luoghi penetravano impunemente ovunque. I duci dell’Illiria intanto raccozzato un esercito di forse quindici mila combattenti seguivanli da lunge, per maniera scorati che non ardivano affrontarli. Fu poi memorando il verno pe’ frequenti ed orribilissimi tremuoti, che nella notte senza venire a peggio scuotevano Bizanzio ed altre cittadi, spaventandone grandemente gli abitatori per la tema di rimanervi subissati. Correndo l’anno il fiume Nilo non solo inondò giusta il consueto l’Egitto, ma si diffuse largamente nelle adiacenti regioni, elevatosi ad un’ altezza non minore di cubiti diciotto1. Impertanto nella Tebaide non appena arrestatesi le acque, e tornate nei fissati tempi ad incanalare, i lavoratori commisero lor sementi alla terra, e compierono ogni altro consueto lavoro. Nelle parti inferiori per lo contrario il fiume ritrattosi lentamente nel suo letto impedì con sì molesto indugiare le sementagioni, evento a memoria d’uomini mai più osservato. Altrove l’acqua retrocedette bensì nell’alveo, ma non guari dopo nuovamente traboccata guastò tutta la man d’opera fatta in quell’intervallo. Cotanta imprevista sciagura espose gli abitatori a gravi disagi, ed apportò morte, per mancanza di pasciona, alla maggior parte degli animali.

II. A simile in quel mezzo fu ucciso un cetaceo [p. 384 modifica]nomato dai Bizantini Porfirione. Contavansi già cinquant’anni se non più che questo pesce iva molestando Bizanzio ed i prossimi lidi, per verità non di continuo ma, come dava il caso, a quando a quando. E’ sommergeva di molte navi, e lanciava a grandissima distanza, col suo violento impeto, i marini di altre non poche, nè Giustiniano Augusto potea con arte veruna riuscire, impresa urgentissima, ad ucciderlo: ora dirò come, allorchè piacque al Nume, ne venne a capo. Era tranquillissimo il mare allorchè immensa quantità di delfini accorsero alla foce del Ponto Eussino; comparsovi tosto il cetaceo, tutti, ove ebbero il destro, posersi in fuga, moltissimi riparando alle bocche del Sangaro2; nè il mostro pago di averne addentati parecchi e di colta trangugiati, arrischiò inseguirne altri, sospintovi da fame o dall’amor di vittoria, nel che fare lasciossi imprudentemente dalla sua foga dare in terra, dove rinvenuta melma altissima, cercò del suo meglio sottrarsene; di tali conati impertanto non valsero che a vie più affondarlo. Gli abitatori tutti maravigliosi all’udirne accorronvi di botto, ed a colpi di scure dopo lungo penare spentolo, traggonne con grosso cordame a terra il cadavero della circonferenza non minore di cubiti dieci, e della lunghezza di trenta. Messo quindi in pezzi e divisi questi tra gli uccisori, altri di essi mangiaronli subito, e altri li posero in salamoia. I cittadini poi di Bizanzio sentito il tremuoto e l’occorso rispetto al Nilo ed al cetaceo non indugiarono a profferire vaticinj, ognuno giusta la [p. 385 modifica]sua opinione: costumando i mortali presi da sinistri investigare e predire falsamente il futuro, e co’ vani loro pronostici godonsi alleviare i presenti mali. Io poi, nulla curando che altri studii in siffatti argomenti, so a non dubitarne che in allora il Nilo colla sua prolungata alluvione recò innumerabili danni, la morte del cetaceo in cambio fu termine di gravissime sciagure. V’ha chi vorrebbe non il porfirione da noi rammentato, ma nuovo individuo della medesima specie fosse a que’ dì rimaso morto. Rannodiamo ora il filo della narrazione.

III. Totila dopo le ricordate imprese avvertito che gli imperiali di presidio nel castello Rusciano bisognosi di vittuaglia verrebbero di leggieri ad un arrendimento coll’interdir loro ogni esterno aiuto d’annona, posevi il suo campo in molta vicinanza, cominciando così a premerli strettamente. L’uscire del verno compiè l’anno decimoterzo di questa guerra che Procopio scrivea.


Note

  1. Cousin: quinze coudées.
  2. Ora Sakaria, fiume della Bitinia.