Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XIX
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XIX.
Apprestamenti e partenza del condottiero a pro dell’assediata Roma. — Battaglia intra le due fazioni. — Temerità d’Isacco. La mercè di lui il condottiero turbatosi cessa dall’impresa; sua malattia. Morte di Isacco.
I. In tali emergenti Belisario pigliato da tema non la mancanza di vittuaglia costrignesse i Romani a qualche grave determinazione iva nell’animo suo macchinando il modo, comunque e’ fosse, di aiutarli d’ annona. E poichè vedevasi da meno di quanto era mestieri per tentare la sorte delle armi escogitò il seguente stratagemma. Uniti e strettamente legati insieme due paliscalmi de’ maggiori vi soprappose una torre di legno assai più alta di quelle erette sul ponte dai nemici, avutene in prima le misure da alcuni dei suoi infintisi disertori colla contraria fazione. Trasportò poscia nel Tevere dugento dromoni tutt’all’intorno, a foggia di muro, fortificati con tavole piene di fori per dardeggiare senza propria offesa il nemico e caricatili di frumento e di altra vittuaglia fecevi da ultimo ascendere valorosissima truppa. Fanti similmente e cavalieri dispose da quinci e da quindi alle bocche del fiume in luoghi muniti, coll’ordine che si adoperassero del miglior loro onde impedire a quelli tendenti a Porto il cammino. Ad Isacco poi quivi condotto seco affidò il castello, sua moglie ed ogni altra cosa postavi in serbo, ammonendolo di non allontanarsene dato che che siasi, vuoi pur il divulgamento della morte sua per opera di nemica mano, stesse invece ognora all’erta acciocchè arrivato qualche sinistro egli ed i suoi avessero ove riparare, non essendovi per tutto quel tratto di paese altro luogo munito in poter suo. Asceso quindi un dromone e fattosi alla testa dell’armata di mare comandò che si traessero innanzi i due gusci con sopravi la torre, alla cui cima era un paliscalmo ripieno di pece, zolfo, resina e simiglianti materie idonee ad infiammarsi prontissimamente e ad alimentare il fuoco. Sulla opposta riva del fiume poi, che da Porto mette a Roma, teneansi le pedestri schiere intente a prestare aiuto. Il dì prima Belisario avea mandato a Bessa commettendogli che la dimane e si desse con molta truppa a molestare i campi nemici, siccome eziandio per lo innanzi ebbegli spesse volte inculcato. Ma questo duce nè precedentemente, nè ora obbediva agli ordini, essendo quel solo cui rimanesse qualche poco di frumento; conciossiachè della vittuaglia in epoca anteriore mandata dalla Sicilia a Roma, e sì tanta da soddisfare ai bisogni del presidio e di tutto il popolo, aveane distribuita pochissima all’ultimo, e messa in serbo con inganno la qualità maggiore, sotto pretesto che la si dovesse alle truppe, facevane carissimo mercato coi senatori; vedea quindi a malincorpo la fine dell’assedio.
II. Belisario adunque ed il navilio procedevano durando molto disagio a navigare contro acqua, ed il nemico lunge dall’inquietarli si rimanea tranquillo ne’ suoi campi. Se non che giunti vicino al ponte abbattutisi nella schiera collocata di qua e di là dal fiume a guardia della catena di ferro tesa non guari prima per ordine di Totila dall’una all’altra ripa onde impedirli dal tragettare le acque, ed uccisine molti col saettamento e posto il di più in fuga, ritti inoltrano, strappata via la catena al ponte, ove non appena arrivati cominciò sanguinosa zuffa. I Gotti in quella opponevano dalle torri validissima resistenza, e molti usciti già degli steccati v’accorrevano, quando Belisario comandò che la torre fatta da sè costruire sopra le fuste si approssimasse a quella nemica sovrastante al fiume presso la via Portese e s’appicasse fuoco all’antedetto paliscalmo rovesciandolo prontamente sul baluardo nemico. L’ordine ebbe pronta esecuzione, ed al cadere di quello tutta l’indicata torre andò in fiamme giuntandovi insiememente la vita le sue guardie nel numero forse di dugento. Fu vittima dello incendio lo stesso lor duce Osda, valentissimo sopra ogni altro Gotto nell’arte guerresca. I Romani di poi cominciarono con animo intrepido a vie più trar d’arco in coloro che dai campi eran venuti ad aiutare i suoi, e questi impauriti dalla strage cui soggiaceano diedersi a precipitosa fuga, unicamente attendendo alla propria salvezza. Gli imperiali eran per occupare il ponte, ed apprestavansi appena rottolo, a calcare la via di Roma liberi da ogni impedimento, quando la fortuna disertolli, e la frodolente malizia di non so qual invidioso demone venne a turbarne il buon successo come prendo a narrare.
III. Mentre si adoperavano gli eserciti una voce dannosissima pe’ Romani surse in Porto, divolgandovisi che Belisario avea riportato vittoria, tolto la catena, morto la guardia, e conseguito tutto il più da me poc’anzi esposto. A simigliante nuova Isacco non potendo rattemperarsi, bramoso di partecipare a tanta gloria, ed infedele osservatore degli ordini avuti corre all’ostiense piaggia dei fiume, e levativi cento cavalieri di quelli ivi alle stanze muove a combattere il corpo dei barbari presieduto da Ruderico prodissimo guerriero, e coll’inaspettato assalimento molti ferì ed intra’ molti lo stesso duce. Laonde i rimanenti abbandonate di colta lor tende retrocedettero vuoi perchè opinassero maggiore il numero degli avversarj, vuoi per farli con inganno prigioni, siccome pur troppo avvenne. Isacco e le sue truppe entrati nel campo nemico mettonvi a ruba l’argento e tutto il di più quivi riposto. Se non che nel tornare indietro ecco i Gotti andar loro addosso, romperli con grandissima strage, e condurre seco in ischiavitù il duce unitamente ai pochi risparmiati dal ferro. I cavalieri a briglia sciolta corrono ad annunziare la triste nuova a Belisario, il quale fattene le più grandi maraviglie ommise di chiedere in proposito le opportune informazioni; di più reputando perduto Porto, la moglie e tutto il frutto di quella impresa, nè avervi più luogo munito ove riparare sè stesso all’uopo e la gente sua, instupidì, cosa di vero mai più accadutagli in prima; ritirò adunque immediatamente l’esercito colla mira di assalire quindi all’impensata i barbari, e di riprendere ad ogni costo quel forte. Così i Romani si levarono di prima di condurre a termine le cominciate operazioni. Il capitano poi avvicinatosi a Porto conobbe ed il fallo commesso da Isacco, ed il gravissimo danno apportato dal suo intempestivo perturbamento. Tale sinistro forte addoloronne l’animo, e produssegli grave malattia nel corpo, di guisa che pigliato da febbre ardente dopo assai lunghe sofferenze pervenne agli estremi della vita. Corsi due giorni Ruderico si muore, e Totila dispiacentissimo di questa perdita ordina l’uccisione d’Isacco.