Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/356

346 GUERRE GOTTICHE

nona. E poichè vedevasi da meno di quanto era mestieri per tentare la sorte delle armi escogitò il seguente stratagemma. Uniti e strettamente legati insieme due paliscalmi de’ maggiori vi soprappose una torre di legno assai più alta di quelle erette sul ponte dai nemici, avutene in prima le misure da alcuni dei suoi infintisi disertori colla contraria fazione. Trasportò poscia nel Tevere dugento dromoni tutt’all’intorno, a foggia di muro, fortificati con tavole piene di fori per dardeggiare senza propria offesa il nemico e caricatili di frumento e di altra vittuaglia fecevi da ultimo ascendere valorosissima truppa. Fanti similmente e cavalieri dispose da quinci e da quindi alle bocche del fiume in luoghi muniti, coll’ordine che si adoperassero del miglior loro onde impedire a quelli tendenti a Porto il cammino. Ad Isacco poi quivi condotto seco affidò il castello, sua moglie ed ogni altra cosa postavi in serbo, ammonendolo di non allontanarsene dato che che siasi, vuoi pur il divulgamento della morte sua per opera di nemica mano, stesse invece ognora all’erta acciocchè arrivato qualche sinistro egli ed i suoi avessero ove riparare, non essendovi per tutto quel tratto di paese altro luogo munito in poter suo. Asceso quindi un dromone e fattosi alla testa dell’armata di mare comandò che si traessero innanzi i due gusci con sopravi la torre, alla cui cima era un paliscalmo ripieno di pece, zolfo, resina e simiglianti materie idonee ad infiammarsi prontissimamente e ad alimentare il fuoco. Sulla opposta riva del fiume poi, che da Porto mette a Roma, teneansi le pedestri