Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XX
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XX.
Avarizia di Bessa e sua negligenza nel reggere il presidio romano. — Gli Isauri a difesa della porta Asinaria macchinano tradigione. Re Totila conquista Roma, ed è placato da Pelagio nel tempio di S. Pietro. Estrema indigenza dei senatori. — Bontà di Totila con Rusticiana e con le altre romane donne.
I. Bessa accumulava ricchezze vendendo mai sempre il frumento, colpa il bisogno, a più caro prezzo. Tutto occupato dell’arricchire faceva ultimo de’ suoi pensieri la difesa e la sicurezza di quelle mura. Non retti da freno i soldati vagavano oziosi, pochi ne vedevi attendere e ben anche negligentemente alla comune salvezza. Addormentavansi le scolte a beneplacito loro, e senza tema che il duce tenessele in soggezione col farne d’ogn’intorno la rivista com’è di pratica. Oltre di che mancavano cittadini cui fidare le guardie unitamente alla truppa, rimasine pochissimi entro le mura e questi rifiniti dalla fame.
II. Quattro Isauri pertanto degli scelti a custodire la porta Asinaria quando fu la volta loro di guardare quel muro durante la notte, osservati i compagni a giacersi vinti dal sonno, calano dai merli al suolo parecchie funi ed attaccativisi con ambe le mani si collano giù al di fuori; iti di poi a Totila promettongli introdurlo agevolmente in città con tutto il gottico esercito. Il re data sua fede che ne saprebbe loro buonissimo grado, e rimunererebbeli a dovizia dell’ ottimo servigio non appena conseguito l’intento, inviò con essi due Gotti ad esaminare il luogo indicatogli come idoneo al divisato scopo. Questi giunti a piè del muro ed accomandatisi alle funi tosto furono ai merli non levandosi voce di scolta o altro sospetto di tradigione. Da colassù gli Isauri mostrano ai barbari il tutto, e quanto facil ne sia l’andata in alto ed il tornare abbasso affatto liberi da perigli; esortatili da ultimo ad esporre il veduto co’ proprj occhi a Totila fannoli col mezzo delle corde stesse dismontare. A tale notizia il re de’ Gotti sebbene provasse un piacere sommo, tuttavia, sospettoso degli Isauri, non volle prestarvi molta fede. Laonde corsi pochi giorni ecco ricomparire i traditori a far istanza che non s’indugii l’impresa. Totila nell’accommiatarli spedì seco loro due altri de’ suoi perchè tornassero ad osservare meglio ogni cosa, ed attenderebbene la riferta; questi, fatto il comandamento, al tutto confermarono le prime notizie. Intrattanto molti Romani esploratori avvenutisi non lunge dalla città a dieci barbari diretti altrove, conduconli prigioni a Bessa, il quale interrogatili sulli divisamenti del re viene a sapere che avea egli speranza d’insignorirsi della città per la tradigione di alcuni Isauri, non avendovi di ciò più mistero ne’ campi loro. Bessa e Conone uditone e non prestatovi per nulla fede trascurarono prendere all’uopo un che di pensiero. Il Gotto visitato per la terza volta dagli Isauri, e vie meglio istigato alla impresa diede loro, partendo, a compagni uno de’ suoi consanguinei ed altri personaggi; questi di poi mostrandogli la certa riuscita di quell’imprendimento induconne l’animo a mandarlo ad effetto.
III. Or dunque Totila comandato che tutte le truppe chetamente si armassero, e condottele contro alla porta Asinaria ingiugne a quattro de’ suoi, chiari per coraggio e forza di ascendere su per le funi ai merli in compagnia degli Isauri, ed eran le ore notturne in cui, dormendo gli altri tutti, affidavasi la salvezza del luogo alla vigilanza di questi felloni. I barbari addivenuti così possessori del muro discendono alla porta ed a colpi di scure fattane a pezzi la spranga di legno murata da ambe le estremità entro gli stipiti per tenere commesse le imposte, e strappate le toppe in cui ravvolgendo le chiavi soleano i custodi aprire o chiudere a norma delle circostanze, apprestano libero e pronto ingresso a Totila con tutto il gottico esercito; ma il re paventando nemiche insidie tenne le schiere ivi raccolte acciocchè non isbandassero. Suscitatosi di repente, com’è il costume, tumulto nella città i romani soldati, ad eccezione di ben pochi, si danno co’ duci a precipitosa fuga per le varie uscite, ed i rimasi corrono co’ cittadini a riparare ne’ sacri templi. De’ patrizj, Basilio, Demetrio e chi di essi avea tuttavia destrieri seguirono il fuggente Bessa; Olibrio, Massimo, Oreste ed altri entrarono in franchigia nella basilica dell’apostolo Pietro. Nell’intera città non contàvi del volgo più di cinquecento individui, i quali ebbero appena il tempo di aggiugnere ai templi, essendo il resto della popolazione o passato da prima sotto nuovo cielo, o addivenuto, come esponea, vittima della fame. Totila in quella notte alle ripetute voci che Bessa ed il presidio si fuggivano in rotta, protesto riuscire giocondissima alle sue orecchie tal nuova, ma non permise inseguirli dicendo: «E qual maggior contento spereremmo del vedere il nemico in fuga?»
IV. Appariva l’alba nè aveavi più tema di insidie quando Totila portossi ad orare nella basilica dell’apostolo Pietro; i Gotti intanto non la perdonarono a chi che siasi avendo già uccisi di spada venzei soldati e sessanta cittadini. Al re loro sul limitare del tempio venne incontro Pelagio cogli Evangeli di Cristo in mano, e tutto supplichevole: «Signore, dicea, perdona a’ tuoi». Quegli con labbro composto a riso e dandogli la baia sì rispondeva: «Ora, o Pelagio, ti fai pregatore?» E l’altro: «Iddio m’ha destinato a servirti, e tu, o signore, da quinci innanzi perdona a’ tuoi servi». Totila piegatosi alle istanze di lui fece comando ai Gotti di cessare da ogni strage, e serbandosi, giusta i proprj desiderj, il buono e il meglio, permise che mettessero a sacco liberamente il resto. Allora molte furono le ricchezze tolte dalle case de’ patrizi, da quella di Bessa in ispecie, avendo questo scellerato demone accumulato pel nemico il danaro iniquamente raccolto colla vendita del frumento, come è stato per noi detto. I Romani di poi, compresivi gli stessi senatori, e soprattutto Rusticiana, consorte in altri tempi di Boezio e prole di Simmaco, la quale avea distribuito ai poveri ogni suo avere, vidersi condotti in istato di mendicare a frusto a frusto dagli stessi nemici la vita, con servile e grossolana veste indosso e picchiando d’uscio in uscio, nè arrossivano punto di cotale umiliazione. I Gotti chiedevano ostinati la morte di costei aggravandola di aver fatto atterrare, con larghi doni ai duci del romano esercito, la statua di Teuderico in vendetta della uccisione di Simmaco e Boezio, padre e consorte suoi. Ma Totila impedì che fosse in conto alcuno oltraggiata, e tanto da essa quanto da tutte le altre allontanò ogni vituperio a grande malincorpo dell’ardentissimo barbarico desiderio di oltraggiarne il pudore; mercè di che nè vergini, nè vedove riportarono offesa nei corpi loro, ed egli ebbe lode grandissima di continenza.