Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo XXVIII

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CAPO XXVIII

Belisario impedisce l’introduzione di vittuaglie in Ravenna. — Ambascerie dei re franchi e di Belisario a Vitige. — Granai di Ravenna incendiati. — Arrendimento de’ Gotti a stanza nelle alpi Cozzie.

I. Belisario dopo il prefato conquisto passò con tutte le truppe ad assediare Ravenna. Fattosi precedere da Magno con imponenti forze comandògli che da quella banda impedisse con trascorrimenti continui sulla riva del Po l’arrivo di annona pe’ Gotti, e Vitalio giunto con truppe dalla Dalmazia occuponne l’opposta sponda. Ora la fortuna presentò loro un caso attissimo a convincerli senza replica che di suo arbitrio reggerebbe i destini d’ambe le fazioni. I Gotti avean condotto da prima nel fiume gran copia di palischermi acquistati nella Liguria, ed empitili di grano e di altri commestibili era lor mente d’inviarli a Ravenna. [p. 257 modifica]Se non che in allora ebbevi diffalta cotanta di acque quanta voleavene a renderlo incapace di sostenere le barche. Lo avresti detto quasi attendere i Romani, i quali opportunamente sopraggiugnendo fecero del tutto bottino; e poco dopo le acque tornate a crescere giusta il consueto furono altra fiata acconce alla navigazione; del che, a nostra udita, non aveasi ne’ tempi indietro esempio alcuno. I barbari cominciavano di già a patire d’annona, impediti dall’introdurne pel seno Ionico, da per tutto il nemico dominando il mare, e da per tutto privi di libero accesso dalla parte del fiume. Della qual cosa informati i regi de’ Franchi, volonterosi di unire l’Italia ai loro possedimenti mandano ambasceria a Vitige promettendogli di strigner lega seco quando sia loro accordato di signoreggiare insiememente quel suolo; ma Belisario avvertitone spedisce anch’egli ambasciadori al re de’ Gotti, perchè si opponessero all’inchiesta de’ Germani, facendo partire a tal uopo Teodosio prefetto delta sua casa con altri distinti personaggi.

II. Gli ambasciadori de’ Germani, primi ad essere introdotti alla presenza di Vitige, pigliarono a dire: «Noi siam qui spediti dai nostri principi, contristatissimi del sentirvi assediati da Belisario e premurosissimi di farsi, per debito di confederazione, con ogni sollecitudine vostri aiutatori. Crediamo che di già cinquanta mila guerrieri, nè certamente meno, abbiano travalicato le Alpi, sul conto de’ quali, senza tema di menzogna, possiamo vantarci che al primo [p. 258 modifica]azzuffamento e’ seppelliranno tutto il romano esercito sotto le possenti azze loro. A voi pertanto si conviene tener le parti non di chi vuol imporvi giogo di schiavitù, ma di chi per benivolenza somma ai Gotti non isdegna incontrare i perigli della guerra; che se vi batterete unitamente a noi o gl’imperiali usciranno affatto d’ogni speranza di poterla con entrambi competere, o ben di leggieri verranno dalle armi nostre sconfitti. Se poi vi legherete co’ Romani neppur così reggerete alle genti de’ Franchi (non avendovi equilibrio di forze nel cimento), ed affè nostra dovrete cedere ad uomini rendutisi vostri nemicissimi sopra tutti gli altri; ed è la massima delle follie il voler pericolare ad occhi veggenti, quando lunge da ogni guerresca impresa n’è dato avere salvezza. I Romani di più sono mai sempre disleali co’ barbari, loro portando implacabile odio per natura. Del resto se vi garbeggia la proposta comanderemo concordemente a tutta l’Italia, e seguiremo quella forma di reggimento che ci parrà migliore. A te adunque, o re, ed a’ tuoi Gotti si spetta prendere il partilo più idoneo alle bisogne vostre.» Inoltratisi quindi gli ambasciatori di Belisario dicevano: «Non abbiam mestieri di molte parole a dimostrarvi essere per nuocere un vero niente alle imperiali truppe la moltitudine de’ Germani sì da costoro millantata per isbigottirvi. Da lunga esperienza voi già bene apparaste non cedere mai il valore al numero, comunque grande si voglia, de’ combattenti. Passiamo eziandio con silenzio che nessuno de’ regi al paro del nostro imperatore [p. 259 modifica]può col novero degli armati soverchiare il nemico. Di quella fede poi che tanto pomposamente costoro dicono serbare a tutte le genti mostraronne la fermezza, messi da banda i Toringii1 ed i Burgundioni, a voi medesimi già loro confederati. E qui di buon grado ci faremmo ad interrogare i Franchi qual Nume chiamando a testimonio e’ sarebbero per darvi certa malleveria delle promesse loro. Imperciocchè voi, se pur conservate rimembranza delle passate cose, avrete di certo presente l’avvenuto al fiume Po, come, vogliam dire, e’ venerino quel Dio, pel quale aveano poco prima sagramentato; spergiuri a segno che fatta con voi lega non solo ricusarono di unire le proprie armi alle vostre, ma fin ve le rivolser così svergognatamente contro. E che andiam rimestando le trascorse faccende per rendere manifesta l’empietà de’ Franchi, quando non havvi scelleraggine più enorme di quest’ambasceria? Conciossiachè eglino quasi affatto dimentichi dei giurati accordi pretendono da voi in guiderdone de’ loro futuri aiuti la comunanza di tutte le cose vostre. Ma se riusciranno a buon fine le trame orditevi, alla stretta dei conti vi accorgerete dove l’insaziabile cupidigia loro sarà per arrestarsi nelle sue pretensioni.»

III. Non altrimenti parlamentarono gli ambasciadori mandati da Belisario; Vitige poscia tenuta lunga conferenza cogli ottimati suoi preferì amicarsi l’imperatore ed accommiatare i Franchi senza conchiudervi [p. 260 modifica]nulla. Da quest’epoca e Romani e Gotti spedironsi a vicenda frequenti ambascerie per istabilire la pace, Belisario continuando intanto a guardare strettamente che non pervenisse loro vittuaglia, ed ordinando a Vitalio di passare nella veneta regione per occuparvi molti di que’ luoghi. Egli poi fatto valicare il Po ad Ildigere munì dalle due ripe il fiume coll’intendimento che gli assediati avviliti dall’ognor più crescente mancanza d’annona piegassero alle condizioni da lui proposte. Avvertito inoltre che nei pubblici granai di Ravenna esisteva gran copia di frumento sedusse con danaro tale de’ cittadini a mandarli in fiamme, appiccatovi di ascoso fuoco, insiem con tutte le biade; e vuolsi che di tanto fosse complice la stessa moglie del re, Matasunta. Ma sebbene altri attribuiscano ad occulta frode quel subito incendio, havvi pur cui piace accagionarne la caduta d’un fulmine; il fatto si è che ambo i sospetti riducevano i Gotti e Vitige in angustie maggiori, più non potendo fidarsi in loro medesimi o, che è peggio ancora, credendo lo stesso Nume accorso a debellarli. Giusta il detto passarono quivi le cose.

IV. Nelle Alpi a confine tra’ Galli ed i Liguri, nomate Cozzie, hannovi presso dei Romani molte castella abitate dai Gotti, uomini forti e numerosi, colla prole e colle donne loro e munite di guernigioni. Belisario udendo ch’e’ pensavano arrendersi vi mandò uno de’ suoi, per nume Tommaso, con altri pochi all’uopo di riceverli a patti confermati da giuramento. Costoro pervenuti alle Alpi, Sisigi comandante i presidii a guardia di quel tratto di paese accolseli in uno de’ mentovati [p. 261 modifica]guardinghi, e non pago di acconsentire alla sua dedizione fu eziandio agli altri di stimolo perchè si dessero ai Romani. In cotal mezzo Uraia marciava frettolosamente al soccorso di Ravenna con quattro mila guerrieri raccozzati nella Liguria e nelle alpigiane castella. Quelli udita la ribellione di Sisigi, tementi del proprio sangue rimaso alle case loro, vollero di subito farsi indietro, dond’è che il duce tornato alle Alpi Cozzie con tutto l’esercito vi assediò Sisigi e Tommaso. Stimolati dal pericolo de’ suoi Giovanni, figlio di una sorella di Vitaliano, e Martino, a stanza presso del Po, immantinenti partonsi con tutta la soldatesca per aiutarli; ed assalite alla sfuggita alcune delle rocche alpine e superatele al primo attacco ne menan seco prigioni gli abitatori, tra cui aveanvi in molta copia donne e prole degli stipendiati da Uraia, i quali tolti da que’ presidii trovavansi allora seco lui a campo. Questi adunque al primo annunzio che le genti loro giaceansi in ischiavitù ribellati a Giovanni fecero desistere il barbaro da ogni cimento colà, e dal pensiero di sovvenire ai pericolanti in Ravenna; rendutene così vane tutte le imprese l’obbligarono di restituirsi con poca truppa nella Liguria, ov’e’ si tenne. Belisario poi liberamente di giorno in giorno riduceva a più triste condizione Vitige e gli ottimati de’ Gotti rinchiusi entro quelle mura.

Note

  1. Popoli dell’Alta Sassonia, in Allemagna.