Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo XXIV
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXIV.
Lettera de’ Gotti in Aussimo a Vitige chiedendogli soccorso. Vana promessa del re. — Cipriano e Giustino assediano Fiesole. Uraia in marcia al Ticino; ma, valicato il Po, non osa cimentarsi co’ Romani.
I. Col procedere del tempo i Gotti venuti a penuriare d’assai la giornaliera vittuaglia deliberarono sul come esporre a Vitige le angustie loro, non avendovi chi ardisse incaricarsi della malagevole andata a lui, tutti, più che certi dell’assidua romana vigilanza intorno a quelle mura, e convennero nella seguente frode. Scelta una notte priva di luna ed approntati i messi colla lettera da consegnarsi al re, il presidio tutto, inoltratesi ben le tenebre, inalzò da varie parti altissime grida, a tale che sarebbonsi creduti andare a rumore e confusione vedendo sè stessi grandemente alle strette col nemico, e la città all’imprevista caduta nelle costui mani. Gl’imperiali, non potendo nullamente conghietturare la cagione di sì grave trambusto, rimaneansi fermi per ordine di Belisario nelle proprie trincee, dall’un lato paventando non il presidio uscito delle mura procedesse a combatterli, dall’altro non fossero per essere attaccati dall’esercito a stanza in Ravenna, ed ora capitato in soccorso di quella sua gente. In tra queste dubbiezze divisavano meglio rimanersi sani e salvi in luogo sicuro che non gittarsi per quelle tenebre in manifesti perigli. Così i barbari senza il menomo sospetto degli imperiali spediscono a Ravenna lor messi, i quali non veduti da occhio nemico giungono dopo il terzo giorno al cospetto di Vitige e gli presentano la qui riportata lettera. «Nel collocarci, re, di presidio in Aussimo udimmo a dirti che ponevi nelle nostre mani le chiavi di Ravenna e del tuo regno; ci ordinasti pertanto di mettere a pruova tutto il nostro coraggio onde impedire che un dominio gottico addivenisse conquista romana. Ci promettesti inoltre che abbisognando noi di soccorso ti saresti qui recato con tutte le truppe, e con tanta prontezza, da essere te stesso il primo ad annunziarci tale venuta. Noi in verità abbiamo fatto di tutto per essere custodj fedeli del tuo regno combattendo colla fame e con Belisario, ma sino ad ora ci troviamo delusi nell’aspettativa d’un qualche soccorso. Guarda per tanto che i Romani pigliato Aussimo, ove tu quanto v’ha di rinchiuso in queste mura trascuri, non abbiano spalancato l’adito, impossessatisi delle chiavi, alla conquista de’ tuoi possedimenti.» Così la scritta, e Vitige appena lettala fa retrocedere gli inviati colla promessa di condurvi in persona tutto l’esercito; se non che poscia, lungamente pensatovi sopra, nulla imprende per tema non venissegli serrata la via e da Giovanni postoglisi dalle spalle e da grandi schiere di bellicosissimi guerrieri, che opinava attorniare il condottier romano. Ma innanzi tutto davagli forte pensiero la fame non sapendo come fornire l’esercito di annona, nel mentre che i Romani, padroni del mare e del castello di Ancona e riusciti a depositare in questo tutte le bisogne loro, avutele dalla Sicilia e dalla Calabria, di leggieri ed a tempo e luogo faceanle tradurre nel campo; nè paventava meno che i Gotti guerreggianti nell’agro Piceno stessersi molto alle strette in proposito di vittuaglia. I messi adunque inviatigli restituitisi liberi da ogni molestia in Aussimo, vi riferiscono le promesse di Vitige, destando con ciò vane speranze negli animi di quella guernigione. Belisario intanto all’udire dai fuggitivi l’occorso inculcò più rigorosa vigilanza per togliere ogni mezzo a simiglianti frodi. Così quelle faccende.
II. Cipriano e Giustino assedianti Fiesole non potevano espugnarne le mura, nè tampoco appressarvisi, la rocca essendo tutt’all’intorno di malagevole accesso; miravansi altresì esposti a continui assalimenti de’ barbari, i quali preferivano il morir combattendo ai disagi prodotti da mancamento d’annona. Da principio dubbia fu la sorte delle armi, ed or per gli uni ora per gli altri la vittoria, ma poscia i Romani, addivenuti superiori e da per tutto sequestrato il nemico entro le mura, stavansi bene all’erta acciocchè uom non ne uscisse. Il presidio non di meno privo di vittuaglia e ridotto alle massime augustie spedisce occultissimamente altra fiata a Vitige chiedendogli pronto soccorso e dichiarandosi incapace di più lunga resistenza. A questo annunzio il re comanda al duce Uraia di marciare colle milizie della Liguria sull’agro ticinese, nella persuasione che di tal modo procaccerebbesi egli stesso la opportunità di farsi con tutte le gottiche truppe e senza indugj a soccorrere gli assediati. Quegli obbediente agli ordini avuti conduce l’affidatogli esercito a Pavia; quindi valicato il fiume Po s’avvicina al campo romano, ed al solo intervallo di sessanta stadj piantavi il suo. Nessuno diè principio al combattere, sembrando agli imperiali a bastanza l’impedire che il nemico aggiugnesse gli assediati, e mal sentivano gli altri di quivi cimentarsi, pensando che perduta la battaglia avrebbero posto affatto a soqquadro le cose de’ Gotti, rimanendo nella impossibilità di soccorrere, unitamente alle truppe di Vitige, quelle mura. Di tali considerazioni rattenevano ambo le parti entro a’ proprj valli.