Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo XXV

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CAPO XXV.

Re Teudeberto con truppa in Italia. Costoro armi, e travalicamento del Po a Ticino, città. Riti presso di loro, giusta Procopio, dell’antica superstizione. Scacciano Gotti e Romani dai rispettivi campi. Molti di essi rimangon vittime della dissenteria. — Lettera di Belisario a Teudeberto. Ritorno de’ Franchi alle case loro.

I. I Franchi intrattanto, all’adire le gottiche e le romane forze affievolite dalla presente guerra, levatisi in isperanza di potere a tutto bell’agio conquistare gran parte dell’Italia, mal comportavano lo starsene oziosi a rimirare che altri si disputassero tanto lungamente la signoria d’una regione vicinissima alla loro, senza intromettervisi eglino stessi colle proprie armi. Smenticati adunque i giuramenti co’ quali testè promesso aveano pace a’ Romani ed a’ Gotti (è dessa la più misleale di tutte le genti) ed affardellato all’istante in numero quasi di cento mila guerrieri prendon la via d’Italia sotto il condottiero Teudeberto. Pochi cavalieri, e questi soli armati di lancia seguivano il re; gli altri tutti eran fanti privi di arco e d’asta, ma avente ciascheduno spada, scudo e ferrea scure ben grossa, da ambe le estremità acutissima, ed accomandata a corto manico di legno. Dato il segno della pugna, al primo scontro e’ lanciano quest’arma per mettere in pezzi gli scudi nemici ed ucciderne le persone. Ora i Franchi superate le Alpi a confine del proprio suolo e dell’Italia procedettero nella Liguria. I Gotti offesi dalla costoro [p. 244 modifica]caparbieria, avendoli più e più volte eccitati con promesse di molte terre e di gran danaro a strigner lega seco in conformità alla data parola, nè essendo mai riusciti a tenerli in fede, udito l’arrivo di Teudeberto con forte esercito giubilaronne levandosi in grandissime speranze, e fin credendo che potrebbero da quinci in poi soggiogare l’oste nemica senza bisogno di combattimenti. I Germani guardaronsi dal molestare onninamente i Gotti durante lor dimora su quel de’ Liguri per non averli contrarj nel valicare il Po. Arrivati quindi a Ticino città, dove gli antichi Romani gittarono un ponte sul fiume, le guardie ivi a stanza mercè la lunga amicizia con essi lasciaronli passare liberamente. I Franchi in iscambio addivenuti padroni del ponte trucidarono e donne e prole de’ Gotti, quante eranvene all’intorno, gittandone i cadaveri nell’acqua siccome primizia di guerra. Imperciocchè eglino sebbene cristiani conservano tuttavia molti riti dell’antica superstizione, valendosi pe’ loro augurj di umane vittime e di altri empj sagrificii. I Gotti alla vista di sì orribile massacro ripararono colmi di terrore nella città; ed i Germani trapassato il fiume dannosi a raggiugnerne il campo, dove i militi da principio vedendoli procedere a piccoli drappelli stavansi lieti rimirandone la venuta, persuasi che vi capitassero colla buona intenzione di partecipare seco ai pericoli di quella guerra. Ma avuto principio dai Germani arrivativi in gran numero la zuffa, e lanciate le scuri a farne macello, e’ volti gli omeri se ne fuggirono, ed a carriera attraversando gli stessi campi romani batton la via di [p. 245 modifica]Ravenna. Gli imperiali, veduta la costoro fuga, si pensano che Belisario procedendo a soccorrerli abbia assalito il campo nemico, e vintolo siane rimaso padrone. Or bene, fermi in questo divisamento danno di piglio alle armi, e mentre frettolosi calcan la via per unirsi a lui s’avvengono impensatamente all’esercito de’ Franchi, e v’appiccano a malincorpo battaglia. In questa toccata una compiuta sconfitta, e perduta ogni speranza di retrocedere ne’ proprii campi avviaronsi tutti nella Tuscia e da quivi, posto giù il timore, informarono minutamente con lettera Belisario delle traversie sofferte. I Franchi vinti e dispersi gli uni e gli altri, come scrivea, e rendutisi padroni de’ vuoti campi ebbero per allora copia di vittuaglia, ma consumatala in brevissimo tempo a motivo del grande lor numero, più non traevano da quel suolo fatto spoglio di abitatori che carne di bue ed acqua del Po. Or questa largamente bevuta ridusseli inetti, affievolendone gli stomachi, a digerire la carne; il perchè molti di loro assaliti da soccorrenza e dissenteria non risanavano per diffalta d’altro cibo, e tanta ne fu la mortalità da agguagliare, stando alle notizie, un terzo dell’esercito, il quale dopo sì grave perdita, vedutosi impotente di proseguire il corso delle sue conquiste, dovè mal suo grado far alto.

II. Belisario udendo la venuta de’ Franchi e la sconfitta e la fuga di Martino e di Giovanni turbossi e paventò vuoi per tutto il suo esercito, vuoi, ed anche di più, per gli assedianti Fiesole, sapendoli assai meno lontani dai barbari. Laonde subito e di tal fatta scrisse [p. 246 modifica]a Teudeberto: «È mio intendimento, o egregio Teudeberto, che la menzogna mal si convenga ad animo virtuoso, ed in ispecie signore di moltissime genti, nè tollerarsi nella stessa infima plebe in spregio de’ patti colla violazione d’un giuro autenticato per iscritto. Nè puoi tu ignorarti reo di sì enorme colpa, il quale promessoci da prima unire le tue armi alle nostra contro de’ Gotti, ora non t’accontenti dichiararti per nessuna delle due fazioni, ma con la massima sconsigliatezza tale ne vieni contra noi armato. Non voler commettere, chiarissimo re, sì indegna turpitudine verso cotanto imperatore, potendo costui renderti la pariglia in rilevantissime cose, e vendicarsi a dovizia della tua superchieria. Abbi dunque per lo migliore di vivere con sicurezza negli antichi tuoi possedimenti, che non porne a ripentaglio parte, ed a fè mia di ben molta importanza, tentando usurpare l’altrui.» Teudeberto letto il foglio più non sapendo che si fare, e ripreso da’ Germani dell’aver lasciato perire cotanti individui senza causa o pretesto in deserta regione, levò il campo, e retrocedette prestamente nel suo regno.