Istoria delle guerre gottiche/Libro secondo/Capo IV

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CAPO IV.

Belisario manda Procopio a Napoli e mette presidio in Tivoli ed Alba. — I Gotti sempre guardinghi dal violare i tempj degli apostoli Pietro e Paolo. La moria fa strage ne’ loro campi. Antonina e Procopio tutti solleciti in Campania dell’armata di mare. — Descrizione del Vesuvio.

I. Belisario non appena rassicurati colle sue parole i Romani, ed accommiatatili, spedì Procopio autore della presente istoria a Napoli, dove la fama divolgava un esercito mandatovi dall’imperatore, coll’ordine di caricare moltissime navi di frumento, e di raccogliere non solo tutta la truppa venuta or ora da Bizanzio, ed a stanza colà vuoi per nutricare i proprii cavalli, vuoi per altro motivo comunque, e gran copia sapea avervene disseminata per la Campania, ma di levare ancor parte di quelle guernigioni, e trasportare con essi ad Ostia (porto de’ Romani ) colla maggior prestezza le biade. Procopio adunque unitamente alla lancia Mundila ed a pochi cavalieri tra le tenebre se ne uscì di quella porta, che dall’apostolo Paolo è nomata, venendogli fatto d’ingannare il campo nemico in vicinanza della via Appia. Mundila dipoi restituitosi a Roma, narratovi che Procopio era giunto nella Campania senza incontrare uom de’ barbari, tenendosi costoro nelle ore notturne per entro i campi, destò a liete speranze tutti ed in ispecie il condottiero. Questi allora inviò gran parte [p. 157 modifica]della cavalleria ne’ vicini fortilizii, ingiugnendole che ove drappelli nemici tentassero di là tradurre vittovaglia ne’ campi adoperino contr’essi ogni lor possa, scorrazzando a tal uopo frequentemente per que’ dintorni, ed insidiandoli dappertutto acciocchè e soffra la città minor diffalta d’annona, e paiansi meglio assediati i Gotti che non i Romani. Fa partire inoltre Martino e Traiano con mille guerrieri alla volta di Tarracina, e così pure la moglie Antonina, la quale si trasferirebbe quindi protetta da qualche scorta in Napoli ad attendervi fuor di pericolo come la fortuna disporrebbe delle cose. Affida similmente ai duci Magno e Sintuo, sua lancia, da cinquecento guerrieri per guardare il castello di Tivoli distante cenquaranta stadii da Roma, avendo inviato dapprima una mano d’Eruli sotto il duce Gontari a quello degli Albani posto sulla via Appia, e cotanti stadii siccome l’altro lontano dalla città, il quale presidio ben presto fu discacciato dai Gotti.

II. Il tempio dell’apostolo Paolo a quattordici stadj dalle romane mura viene allagato dal fiume Tevere non avendovi ripari di sorta all’intorno, avvegnachè un portico, il quale vi mette dalla città, e gli edifizj vicini all’uno e all’altra difficile rendanne l’accesso. I Gotti poi hanno in cotanta venerazione questo sacro luogo dell’apostolo Paolo e quello dell’apostolo Pietro che in tutto il tempo della guerra furono ben lontani dal menomamente violarli, accordando persino ai sacerdoti di accudire alle sante funzioni solite celebrarsi in entrambi. Valeriano per ordine di Belisario condotti seco tutti gli Unni va a piantare il campo presso le rive del Tevere, [p. 158 modifica]a fine di procacciare ai cavalli più libero pascolo, e di togliere al nemico la grande libertà d’ir vagando a suo buon grado lunge da’ proprj steccati; fatto il comandamento, e collocate le truppe giusta la volontà del condottiero si restituì nella città. Disposte le antedette cose, Belisario vivea tranquillo, e sebben lontano dal provocare a battaglia, teneasi non di meno in continua guardia, e pronto a respignere la forza esterna se da qualche parte venisse fatto impeto contro le mura; somministrò eziandio frumento ai bisogni della romana plebe. Martino poi e Traiano oltrepassate colle tenebre le nemiche trincee ed arrivati a Tarracina mandarono Antonina con qualche scorta nella Campania, ed occupati i luoghi forti adiacenti cominciarono a muovere di là onde raffrenare colle improvise loro scorrerie i Gotti sbandati per que’ dintorni. Magno e Sintoe riparate in breve tempo le rovine del castello di Tivoli, nè avendo più che temere davan senza posa molestie al nemico a stanza presso del fortilizio, e con assidui e repentini scorrimenti travagliavano i conduttori della vittuaglia; ma il secondo, riportata in que’ badalucchi una ferita alla mano destra con grave offesa dei nervi non fu più atto alla guerra. Nè i Gotti sofferivano meno dagli Unni accampatisi, come scrivea, loro dappresso, chè eglino pure di già pativan fame, non avendo più il destro siccome per lo avanti di procacciarsi liberamente i bisogni della vita. Furono per giunta incolti dalla moría, la quale molti ne uccideva in ispecie ne’ campi da ultimo formati a breve spazio dalla via Appia, di guisa che i superstiti, pochi senza contraddizione, vidersi costretti a rifuggire [p. 159 modifica]negli altri accampamenti. Gli Unni colpiti anch’essi dal terribile flagello dovettero tornare in Roma: di questo tenore andavano le cose. Procopio entrato nella Campania non raccolse manco di cinquecento soldati ed approntò moltissime navi cariche di frumento; arrivatavi inoltre dopo breve tempo Antonina attese con lei al benessere del navilio.

III. Il monte Vesuvio in questa cominciò i suoi muggiti nulla mandando fuori di quanto sembrava minacciare con tale strepito da incutere grandissimo timore agli stessi paesani. Esso è lontano da Napoli stadj settanta, e vi sta di contro da settentrione; è molto scosceso, e nel mentre che le sue radici all’intorno vanno liete della grata ombria de’ boschi, la cima inspira orrore in causa de’ precipizj, e degli enormi dirupamenti. Quasi poi nel mezzo havvi un’apertura sì profonda che la diresti penetrare fino al sottoposto piano. Chi ha coraggio di guardarvi entro può vederne il fuoco, la cui fiamma talvolta aggirandosi in vortice non molesta affatto gli abitatori. Ma quando il monte romoreggia a guisa di muggito, da lì a poco gitta fuori un’ immensa quantità di cenere, la quale se incolga uom per la via senza remissione il muore; e cadendo sulle case le abbatte col suo eccessivo peso. Di più ove malauguratamente spiri vento assai forte, innalzasi cotanto da addivenire invisibile, e trasportata giusta la direzione di esso va da ultimo a calare sopra remotissime terre. Si narra che dalla sua discesa tal fiata Bizanzio intimorì a segno da instituire, bramosa di placare il Nume, solenni preci in piena osservanza anche a’ dì nostri. In altro tempo [p. 160 modifica]il suolo della libica Tripoli ne fu ingombro; ora contansi più di cent’anni, così almeno va la fama, dell’epoca in cui mandò quel primo suo muggito; ed il secondo ricorda tempi a noi più vicini. Del resto, si tiene per certo che in tutta la regione coperta dalle ceneri del Vesuvio abbiavi quindi abbondantissima ricolta di messi. L’aria sopra questo monte è purgatissima ed oltremodo salubre, mercè di che vien consigliata dai medici siccome opportuna agli ammalati di cronica tabe. E qui basti del Vesuvio.