Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XXI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XXI.
L’autore fa ritorno alla gottica guerra. Onoranze conferite a Belisario in Bizanzio. Giovanni sverna a Salona. — Narsete scelto da Giustiniano a proseguire la gottica guerra prolunga sua dimora in Filippopoli, e quindi calca la via dell’Italia.
I. Tali erano le faccende guerresche in tutte le regioni da me ricordate; le gottiche poi andavano del seguente modo. L’imperatore, come ho già esposto richiamato avendo Belisario in Bizanzio gli fu largo di onori, non volle tuttavia rimandarlo in Italia dopo la morte di Germano, ma conferitagli la capitananza delle sue guardie, o con l’intenzione di termini la prefettura del pretorio d’Oriente, se lo tenne dappresso. Il duce per dignità soprastava a chicchessia de’ Romani, dati pure intra loro di quelli ascritti al patriziato prima di lui, ed inalzati alla sedia consolare tutti prestavangli ossequio, e rispettandone il valore cedevangli, con molta imperiale soddisfazione, i proprj diritti. Giovanni poi nipote di Vitaliano da lato femminile svernava in Salona, e nello attendimento di lui i duci del romano esercito in Italia stettersi tranquilli. Ebbe fine col verno l’anno decimosesto di questa guerra, la cui storia da Procopio fu scritta.
II. Nell’anno vegnente Giovanni, allorchè avea risoluto di abbandonare Salona e di condurre a dirittura l’esercito contro a Totila ed ai Gotti, ebbe ordine di sospendere la partenza infino all’arrivo dell’eunuco Narsete, ora scelto da Giustiniano a proseguire quella guerra; nè venne mai fatto ad alcuno di conoscere chiaramente il motivo della nuova sovrana determinazione, impercettibili essendo i pensieri d’un monarca ov’egli non consenta di comunicarli; mi limiterò dunque a riferirne le divulgatesi conietture. Giustiniano Augusto fattosi accorto che tutti gli altri duci a lor malincorpo sommessi a Giovanni ben difficilmente ne comporterebbero il comando, paventava non contrarietà degli animi, spirito di parti ed invidia persuadessonli a disordinare, con un oprar lento e svogliato, la somma delle cose. Mi ricorda inoltre di avere udito, nella mia dimora in Roma, da un senatore che regnando Atalarico, prole della figlia di Teuderico, tal giorno sul far della sera dalla campagna veniva menato alla città, passando pel foro della Pace, nomato così dal tempio della Dea ivi esistente ed ab antico percosso dal fulmine, un armento di buoi. Avanti il foro trovi antica fontana sulla quale giace un bue di bronzo, lavoro, se pur non erro, dell’ateniese Fidia o di Lisippo, vedendosi ivi stesso di molte statue fatte dalle costoro mani, le iscrizioni appostevi dichiarando chi ne fosse l’autore; evvi pure la vacchetta di Mirone, datisi gli antichi Romani gran pensiero di metter Roma al possesso de’ più sublimi capolavori greci. Ora, aggiugneva il senatore, un toro castrato dell’armento avviatosi al foro salito di furia la vasca montò l’animale di bronzo. In quello poi fortunosamente di là passando alcuno di nazione tusco, ben villereccio al sembiante, e datosi a conghietturare sopra il fatto (essendo i Tusci anche oggidì molto in su le divinazioni) proferì alla fine: che un eunuco abbatterebbe il sovrano di Roma. Tutti per verità in allora si ridevano dell’indovino e de’ suoi vaticini, avvezza essendo la comune degli uomini a ricusar fede alle predizioni, meno da contrarj argomenti indottavi che dallo stimare il vaticinio del futuro un gittar parole immeritevoli d’ogni credenza e somiglianti a ridevole fandonia. In oggi nondimeno l’universale convinto dal fatto ammira il presagio, e Dio vel dica se l’imperatore fidasse a Narsete la guerra contro Totila conghietturando i destini, che minacciavano Roma, o la fortuna stessa di questo modo volgesse a’ suoi fini l’impresa. Narsete adunque ricevuto da Augusto un floridissimo esercito e copioso danaro si pose in cammino; arrivato quindi nel mezzo della Tracia fece alto in Filippopoli, rinvenendo i passi occupati da turme di Unni, i quali scorrazzando sul romano impero devastavano ed abbottinavano senza opposizione; udito poscia che altri di essi procedevano a Tessalonica ed altri a Bizanzio, levato prontamente il campo tirò verso l’Italia.