Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo XIII
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XIII.
Mermeroe duce persiano tardi calca la via di Petra. Conduce truppe ed elefanti ad Archeopoli. Sordida avarizia di Bessa. Soverchia condiscendenza di Giustiniano verso i prefetti. — Scanda e Sarapani castelli della Lazica. — I paesani atterrano Rodopoli. Fuga degli imperiali quivi a campo.
I. Mermeroe intanto paventando non il diuturno ritardo apportasse danno a Petra ed al presidio rinchiusovi, erasi posto in marcia coll’esercito, favorito dalla stagione dell’anno succeduta al verno. Lungo il cammino fatto consapevole della espugnazione di lei s’arrestò, non ignorando essere quella, di là dal Fasi, la sola città abitata dai Lazj. Quindi nel suo tornare indietro occupate le gole che mettono dall’Iberia nella Colchide, valicò il fiume, quivi guadoso, e pervenuto al Reon lo guazzò del pari non prestandosi alla navigazione. Passato dunque alla destra del Fasi marciò coll’esercito ad Archeopoli vastissima città e capitale della Lazica. Erano i suoi militi quasi tutti cavalieri ed avean seco otto elefanti, acciocchè i pedestri salitone il dorso avventassero, come da torre, dardi contro il sottoposto nemico. Ammireremo qui la mai stanca industria persiana, cui venne fatto di appianare una via, intra l’Iberia e la Colchide, laddove in prima il suolo era tutto coperto di scogli, precipizj e foltissimi boschi, tale per dirla breve da sembrare folle ardimento il cimentarsi a trascorrerlo da solo ed agilissimo della persona. Ora per essa procedettero col miglior agio le truppe in arcione, ed avrebbonla eziandio potuta trascorrere con seco un numero comunque di elefanti: seguivanli di più i confederati Unni Sabiri in un corpo di dodici mila individui. Se non che il duce, temendo non la moltitudine dei barbari, sempre indocile ai comandi, scompigliasse con grave danno l’ordinanza persiana, divisò trattenerne sole quattro migliaia rimandando in patria, guiderdonato generosamente il resto. L’esercito de’ Romani componevasi di dodici mila combattenti, ma non tutti a campo nel medesimo luogo, un tre mila coi duci Odonaco e Baba, personaggi chiarissimi in guerra, difendendo Archeopoli, e gli altri essendosi steccati di qua dalle bocche del Fasi per accorrere prontamente dovunque il nemico scorrazzasse. Capitanavansi costoro da Benilo e da Uligago, ed avean seco il persameno Varaze giunto di fresco dall’Italia e duce di ottocento Tzani. Ora Bessa non appena espugnata Petra deposto ogni pensiero guerresco aggiravasi nel Ponto e nell’Armenia solo intento a raccogliere i tributi delle imperiali provincie; riducendo in questo modo, colpa la sordida sua avarizia, nuovamente a mal partito le romane faccende. Imperciocchè se dopo quella conquista ei si fosse immediatamente diretto ai confini de’ Lazj e degli Iberi ed occupato a munirne le strette, indarno, a parer mio, l’esercito dei Persiani tentato avrebbe di penetrare in quella regione. Egli in cambio mettendola onninamente in obblio la consegnò quasi di sua mano al nemico, e colla ferma certezza di venirne forte rimproverato; ma Giustiniano Augusto di soverchia indulgenza nel punire i falli de’ prefetti rendeali non curanti all’aperta de’ proprj doveri con danno sommo delle cose pubbliche.
II. Al confine dell’Iberia i Lazj aveano due castella, Scanda e Sarapani, situati nelle alpestri ed al tutto pietrose gole dei monti, quindi malagevolissimo erane l’accesso. Or questi in altri tempi venivano presidiati con molta fatica da’ paesani, per la sterilità del suolo inetto a produrre un che da vivere, costretti essendo a portarvi sugli omeri i bisogni loro. Quindi al cominciare della presente guerra l’imperatore aveavi mandato romano presidio, il quale di poi al vedersi privo di vittuaglia erasene partito, non assuefatto al nutrimento di panico giusta la consuetudine dei Colchi, nè attalentava ai Lazj, mal tollerando il lungo viaggio, di tradurvi qualche aiuto di annona. Caduti adunque in mano de’ Persiani, questi rappattumatisi coll’imperatore ne fecero la restituzione ai Romani, ricevendone altri due, Bolo e Farangio, come diffusamente scrivea nei precedenti libri. Piacque in seguito ai Lazj di atterrarli, perchè non fossero di nuovo espugnati dalle reali truppe; il duce Mermeroe impertanto rifabbriconne il detto Scanda, e postavi guernigione procedè oltre coll’esercito.
III. Rodopoli, città in pianura e prima ad incontrarsi nel passare dall’Iberia nella Colchide, potendo assai di leggieri essere avvicinata e presa, fu dai Lazj, temendo la venuta de’ Persiani, agguagliata negli ultimi tempi al suolo. Mermeroe fattone consapevole mosse direttamente contro Archeopoli; se non che tra via dagli esploratori assicurato essere il nemico a campo alle bocche del Fasi deliberò battere quella via, giudicando prudente consiglio di fugare in prima costoro, e procedere quindi al divisato assedio, per tema non sopravvenendogli da tergo ne patissero danno le sue truppe. Accostatosi alle mura di Archeopoli salulonne, beffardo, la guernigione, e le annunziò boriosamente il suo ben sollecito ritorno, dopo abboccatosi coi Romani steccati al Fasi. La risposta fu: ne vada pure con Dio ovunque brama; lo assicurano del resto che riscontrandosi con que’ loro commilitoni mai più atterrebbe la promessa. I Romani duci uditone l’arrivo intimorirono estimandosi men forti di quanto voleavi per venire a battaglia, e montati i paliliscalmi là pronti valicarono il fiume, portando seco tutta l’annona di che erano le fuste capaci e gittando il resto nell’acqua onde altri non lo saccheggiasse. Arrivatovi poco dopo Mermeroe colle truppe e vedutene le trincee affatto vuote lo comportò di mal animo, rattristandosene e rimanendo sopra pensiero; messa di poi a fuoco e fiamma ogni cosa, ribboccante di sdegno fecesi indietro battendo la via d’Archeopoli.