Istoria delle guerre gottiche/Libro quarto/Capo X

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CAPO X.

I Persiani possessori di Tzibilo castello dell’Apsilia incontranvi morte per isceleraggine del comandante loro. — Anatozado offende il genitore Cosroe, infermiccio di sua natura e caldo favoreggiatore del medico Tribuno, ottimo personaggio; l’insolente figlio soggiace a grave gastigo.

I. Nell’Apsilia, da lunghissimo tempo ligia de’ Lazj, havvi un assai forte castello chiamato dalle genti Tzibilo. Ora Terdete uom ragguardevole de’ Lazj e venerando appo i suoi mercè l’onoranza di maestro, come suol qui dirsi, dopo serii alterchi col re Gubaze promise occultamente a Cosroe di consegnargli la rocca, e per tenere patto viaggiò nella regione. Quindi approssimatosi con qualche numero di Persiani al castello, ed aggiuntene le mura corteggiato da soli Lazj, gli si aprono le porte, ben lontano il presidio dal non si fidare d’un suo maestro, sul conto del quale non era mai caduta ombra di sospetto. Giunta in pari tempo la schiera de’ Persiani egli ve la introduce destando con ciò nel re loro la speranza di conquistare oltre il forte l’intera provncia. Di poi dal persiano esercito vennero per modo assediati i Romani ed i Lazj entro Petra, che non fu [p. 467 modifica]loro possibile di soccorrere altrove. Ora il comandante del presidio avea donna apsilia, ed avvenentissima della persona; il duce persiano di colta invaghitosene alla follia cercò innanzi tutto di ottenerne l’amicizia careggiandola, ma fallitogli il suo intendimento ebbe ricorso ad inopinate violenze. Per cotanto ardire furibondo il marito in tra le notturne tenebre ucciselo con tutti gli altri Persiani accolti nel castello, rendendo così, direi quasi, compito il supplizio debito alla incontinenza. Tornato egli di questo modo a comandare la guernigione gli Apsilii ribellarono dai Colchi colpandoli di non averne ricevuto soccorso quando pativan molestia dai Persiani. Ma Giovanni di Tomaso, del quale presto ripiglieremo a parlare, speditovi da Gubaze con mille Romani, sommiseli senza ricorrere alle armi, valendosi vo’ dire in lor vece di blandizie, e ridusseli all’antica obbedienza. Tali cose fu mio proposito di riferire intorno agli Apsilii, ed al castello Tzibilo.

II. Per volontà poi del fato quasi contemporaneamente la stessa prole di Cosroe soggiacque ai paterni rigori. Il primogenito di lui Anatozado nomato, che in lingua persiana suona donatore dell’immortalità, offeso avealo, passando con silenzio molte altre colpe di scioperatissima vita, col nefando attentato di partecipare del reale talamo, ed il genitore informatone da principio sbandeggiollo. In Vazaine, fertilissima regione della Persia, giace Lapato, città lontana da Ctesifonte il viaggio di sette giornate, e quivi ebbe il reo comandamento di purgare suoi falli. Cosroe intrattanto sì grave ammalò che la fama ivane gia divulgando la morte; [p. 468 modifica]essendo per giunta infermiccio di natura chiamava da tutte le cittadi medici alla corte, e di questo numero fu Tribuno originario della Palestina, molto erudito ed a nessuno secondo nell’arte del sanare; eran ad uno suoi commendevolissimi pregi la moderazione, la profonda pietà verso il Nume ed una piacevolezza somma di carattere. Il monarca in altri tempi risanato coll’opera di lui gli fu largo, al partir dalla Persia, di moiti e splendidissimi doni, ed al convenirsi di questa prima tregua impetrò da Giustiniano Augusto di valersene per un anno. Trascorso il fissato periodo in famigliare amicizia, come scrivea, sollecitollo a chiedere quanto e’ sapesse bramare, e quegli per ogni ricompensa in cambio di danaro addimandò la gratuita restituzione di alcuni prigionieri. A tale priego il monarca mandò liberi non solo que’ nobili Romani presi in guerra nominatamente dal medico indicati, ma eziandio aggiunsene di molti portandone il numero a tre mila, azione che procacciò a Tribuno somma gloria presso tutte le genti: di ciò basti.

III. Anatozado sciente della malattia del genitore usurpandosi i regali diritti cominciò a macchinare novità, e quantanque poscia il sapesse guerito, pure istigò i cittadini alla ribellione, e pieno di giovenile ardore dato di piglio alle armi mossegli contro un’accanita guerra. Cosroe, uditone, spedì a combatterlo truppe sotto gli ordini di Fabrizio, il quale vintolo in campo ed impossessatosene, lo condusse non guari dopo alla corte. Il monarca allora in punizione fecegli offendere gli occhi per modo ch’e’ non avessene a perdere la [p. 469 modifica]vista, ma si vivesse mai sempre colle palpebre e sotto e sopra turpissimamente difformate. Chiusine pertanto gli occhi furongli trapassati i nepitelli dall’infuori con roventissimo ago di ferro onde privarli della naturale bellezza; solo mirando il paterno gastigo a farlo uscire d’ogni speranza del regnare, avendovi legge in Persia che ne rimove chiunque vada soggetto ad imperfezioni della persona, come scrivea negli antecedenti libri.