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LIBRO QUARTO 467

loro possibile di soccorrere altrove. Ora il comandante del presidio avea donna apsilia, ed avvenentissima della persona; il duce persiano di colta invaghitosene alla follia cercò innanzi tutto di ottenerne l’amicizia careggiandola, ma fallitogli il suo intendimento ebbe ricorso ad inopinate violenze. Per cotanto ardire furibondo il marito in tra le notturne tenebre ucciselo con tutti gli altri Persiani accolti nel castello, rendendo così, direi quasi, compito il supplizio debito alla incontinenza. Tornato egli di questo modo a comandare la guernigione gli Apsilii ribellarono dai Colchi colpandoli di non averne ricevuto soccorso quando pativan molestia dai Persiani. Ma Giovanni di Tomaso, del quale presto ripiglieremo a parlare, speditovi da Gubaze con mille Romani, sommiseli senza ricorrere alle armi, valendosi vo’ dire in lor vece di blandizie, e ridusseli all’antica obbedienza. Tali cose fu mio proposito di riferire intorno agli Apsilii, ed al castello Tzibilo.

II. Per volontà poi del fato quasi contemporaneamente la stessa prole di Cosroe soggiacque ai paterni rigori. Il primogenito di lui Anatozado nomato, che in lingua persiana suona donatore dell’immortalità, offeso avealo, passando con silenzio molte altre colpe di scioperatissima vita, col nefando attentato di partecipare del reale talamo, ed il genitore informatone da principio sbandeggiollo. In Vazaine, fertilissima regione della Persia, giace Lapato, città lontana da Ctesifonte il viaggio di sette giornate, e quivi ebbe il reo comandamento di purgare suoi falli. Cosroe intrattanto sì grave ammalò che la fama ivane gia divulgando la morte; es-