Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XV
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XV.
Parte del Sannio arrendesi a Belisario: Benevento perchè detto ab antico Malevento: Diomede, suo edificatore, trasportòvvi i maravigliosi denti del Cinghiale Caledonio, e vi diede il Palladio troiano ad Enea; descrizione della immagine di esso Palladio. — Il seno Ionico, la Magna Grecia ed altre parti dell’Italia.
I. A questi avvenimenti anche Pitza, gottico di origine, partitosi dal Sannio pose nelle mani di Belisario sè stesso, i suoi dimoranti colà seco lui, e metà della parte marittima di quella regione, sino al fiume1 da cui è attraversata; dei Gotti nondimeno abitatori oltra il fiume nessuno volle seguirlo, nè sottomettersi a Giustiniano; l’imperiale duce pertanto rimandatolo con pochi soldati fidògli la custodia di quel tratto di paese. Ma qui prima d’ora eransi di proprio volere dati a Belisario, non avendovi tra di loro gottico presidio, i Calabresi e gli Apuli, tanto quelli a dimora lungo il mare, quanto gli altri entro terra, nel novero delle cui città avvene una dai Romani ab antico detta Malevento, ed in oggi Benevento, per evitare l’esecrazione impressa in quel suo primo nome, la origine del quale vuol essere qui riferita. La voce latina Ventus dinota l’aura spirante; nella Dalmazia poi situata di contro a questa città sull’opposto continente infuria un malo e fortissimo vento, allo imperversare del quale non vedi più uomo per istrada, tutti riparando nelle case; ed investe con tale e tanta foga da portare in aria cavaliere e cavallo, e raggiratovelo gran pezza l’uccide gittandolo abbasso ovunque attaglia al destino. Or dalle sue molestie non va privo affatto Benevento giacendo, come scrivea, di contro alla Dalmazia ed in luogo elevato. Questa città fu opera di Diomede, figlio di Tideo e discacciato da Argo dopo l’eccidio di Troia, il quale vi lasciò in ricordanza i denti del Cinghiale Caledonio, toccati in premio della caccia a Meleagro suo zio; e vi si conservano tuttavia all’età nostra, maraviglia a vedersi, essendone la circonferenza non minore di tre palmi. Si racconta inoltre che pur quivi Diomede venisse a colloquio con Enea di Anchise, e dessegli per comandamento dell’oracolo il simulacro di Pallade, che rapito avea in compagnia d’Ulisse allora quando ammendue entrarono esploratori in Troia, prima che se ne impadronissero i Greci. Ora è fama ch’egli infermatosi e consultato l’oracolo intorno al suo malore avessene risposta che disperasse della guarigione fino a tanto che non consegnerebbe ad uomo troiano quella statua, la quale ove sia al presente i Romani attestano di non sapere, nè altro posson mostrarne che il ritratto su d’una pietra intagliato, ed esistente pur ora nel tempio della Fortuna, rimpetto al simulacro di bronzo della Dea, che sta a cielo scoperto nel lato orientale del tempio. È quell’immagine lapidea ti s’appresenta con abito guerriero e con la sua lancia in resta come atteggiata di combattere. Ha veste talare, nè assomigliane il volto alle greche statue di Minerva, in cambio vi scorgi tutti i lineamenti di quelle formate dagli antichi Egizj. Se poi vogliamo prestar fede ai Bizantini Constantino Augusto sotterrò il Palladio nel foro, cui diede il suo nome. E di ciò basti.
II. Belisario non altrimenti conquistò tutta la Italia che di qua dal golfo Ionico dilungasi fino a Roma e al Sannio, avendo avuto Constanziano il resto oltre il golfo sino alla Liburnia. Or piacemi di qui esporre le situazioni di coloro che abitano l’Italia. Il mare Adriatico diffondendosi in un lungo recesso del continente formavi il seno Ionico, ma non a simile degli altri luoghi ove lo scorrimento marittimo termina con un istmo. Così il seno detto Criseo col finire al Lecheo, laddove è la città di Corinto, vi produce un istmo largo al più stadj quaranta. E l’altro seno che riceve l’Ellesponto, e Melas (nero)2 ha nome, riduce il Chersoneso in un istmo non maggiore della prefata misura. Dalla città di Ravenna, ultimo limite del seno Ionico, al mare Tirreno v’ha celeremente camminando il viaggio di otto giornate, sendo che il mare internatovisi nel suo procedere vada spaziando mai sempre alla destra. Di qua da questo seno è la città Idro, oggi chiamata volgarmente Drio; alla sua destra vedi i Calabri, gli Apuli ed i Sanniti; a questi succedono i Picentini, aventi a confine Ravenna. Alla sinistra oltre la rimanente Calabria i Bruzj coi Lucani v’hanno stanza, e dopo essi abitano i Campani, fino alla città di Taracena3. Di qua procedendo entri nell’agro romano. Questi popoli occupano i liti di ambedue i mari, e tutta la regione mediterranea intra essi è appunto quella che i nostri antenati nomavano Magna Grecia. Nei Bruzj hannovi i Locrii, gli Epizefirii, i Crotoniati e i Turii. Di là dal golfo primi stanziano i Greci detti Epiroti arrivando alla marittima città d’Epidanno. Quindi succede la Prebale regione, cui tien dietro la nomata Dalmazia e le altre terre unitamente a lei comprese nei limiti dell’occidentale imperio, la vicina Liburnia, vo’ dire, l’Istria, e da ultimo il tener dei Veneti che ha termine colla città di Ravenna. Tali sono gli abitatori vicino al mare sopra de’ quali i Siscii ed i Suabi, non quelli signoreggiati dai Franchi ma altri ben diversi, occupano le interne parti del suolo. Passati costoro vengono i Carnii ed i Norici, alla cui destra menan lor vita i Daci ed i Pannonii, ove tra le altre città voglionsi annoverare Singidone e Sirmio, confinanti col fiume Istro: al principio di questa guerra i Gotti a dimora oltre il seno Ionico aveano ligie tutte le mentovate nazioni. Di là da Ravenna percorrendo la sinistra del fiume Po appresentansi i Liguri e dalla costoro banda aquilonare gli Albani in ottimo paese detto Languvilla. All’occaso vai ad incontrare i Galli, e poscia gl’Ispani. Il Po colla sua destra bagna l’Emilia e la Tuscia sino alle frontiere di Roma. Così stanno le cose in ordine ai popoli antedetti.