Istoria delle guerre gottiche/Libro primo/Capo XVI
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Traduzione dal greco di Giuseppe Rossi (1838)
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CAPO XVI.
Truppe di Belisario nella Tuscia. Bessa padrone di Narnia, Constantino di Spoleto e Perugia: costui vittoria. Vitige mandata soldatesca nella Dalmazia parte a furia per Roma. — I Gotti assediano Salona. — Domanda fatta dal re gotto ad un sacerdote uscito di Roma, e costui risposta.
I. Belisario venuto al possesso di tutte le adiacenze di Roma sino al fiume Tevere, fortificolle. E tosto ch’ebbe acconciamente regolato ogni cosa inviò Constantino alla testa di forte schiera de’ suoi pavesai con parecchie lance, tra cui Zanter, Corsomano ed Esemano massageti, e con altri guerrieri nella Tuscia all’uopo di soggiogarla: fece similmente comando a Bessa di occupare Narnia, munitissima città della provincia. Questo duce era gotto di origine, e della schiatta di coloro che in antico abitavano la Tracia, né aveano seguito Teuderico quando egli condusse nell’Italia i Gotti; dotato d’un pronto ingegno e pieno di guerresco valore a maraviglia imperava alle truppe, e di per sè con iscaltrezza ben rara maneggiava gli affari. Egli occupò Narnia senza opposizione dei cittadini, e Constantino ebbe nello stesso modo Spoleto, Perugia ed altri luoghi, venendo spontaneamente accolto dai Tusci entro le proprie mura; e presidiato Spoleto fermò colle truppe sua dimora in Perugia, prima città de’ Tusci. Vitige informato di queste faccende spediscevi un esercito co’ duci Unila e Pissa. Quegli muove ad incontrarlo, e gli dà battaglia in un sobborgo, nel quale conflitto essendo i barbari superiori di numero mostrossi da principio dubbia la sorte, ma quindi i Romani valorosamente procacciatasi la vittoria sbaragliano il nemico, e voltolo in fuga lo incalzano uccidendone poco manco che all’esterminio; e fattine prigionieri i duci mandanli a Belisario. Vitige alla nuova di tanto sinistro non volle prolungare vie più sua dimora in Ravenna, dove si rimaneva in attesa di Marcia non per anche di ritorno colle truppe dalla Gallia. Inviò adunque Asinario e Uligisalo seguiti da poderoso esercito nella Dalmazia colla vista di ricondurla sotto il dominio de’ Gotti, e coll’ordine di battere a dirittura la via di Salona appena giugnessero le truppe de’ barbari originarii della Suabia. Diede loro inoltre molte lunghe navi acciocchè avessero mezzo di assediare da terra e da mare quella città. Fatti questi provvedimenti egli con tutto l’esercito corre alla volta di Belisario e di Roma, seco menando non meno di cencinquanta mila armati, tra fanti e cavalieri, molti de’ quali erano, uomo e cavallo, catafratti.
II. Intanto che Asinario fa leva d’un barbarico esercito presso della Suabia Uligisalo di per sè conduce i Gotti nella Liburnia, dove cimentatosi co’ Romani vicino alla città di Scardona fu vinto e costretto a riparare in Burno, città, rimanendovi poscia in aspettazione del suo collega. Constanziano risaputo l’apprestamento di Asinario, privo di quiete su i destini di Salona, chiamò a sè le truppe che guardavano tutti i castelli della regione; cinse in oltre le mura di continuo fosso, e con diligenza grande provvide il bisognevole per resistere ad un assedio. In questo mezzo Asinario raccolte immense schiere di barbari si portò nella città di Burno, ed unite le sue forze a quelle de’ Gotti comandate da Uligisalo, mossero tutti insieme alla volta di Salona, ed al loro arrivo cintala di broccato all’intorno rinserraronne le mura opponendovi dal lato del mare navi piene di truppe, acciocchè fosse compiutamente assediata da ogni sua parte. I Romani impertanto con repentino assalto costretto avendo i vascelli nemici a dar volta molti ne sommersero pieni di combattenti, e molti ne pigliarono ma vuoti. I Gotti nondimeno vollero proseguire l’assedio, che anzi con vie più austera oppugnazione rattennero mai sempre là entro i nemici: di questa guisa gli eserciti imperiale e gottico si comportarono nella Dalmazia.
Vitige informato dagli originarj provenienti da Roma che le truppe di Belisario riuscivan loro molestissime, provava grande rincrescimento dell’essersi di colà partito, nè poteva dar quiete all’animo suo, ma vampante d’ira marciava a quella volta, quando nel cammino avvenutosi ad un sacerdote uscito della città domandollo, così la fama, premurosamente se il duce imperiale vi fosse ancora di permanenza, quasi temendo non poterlo raggiugnere e vederselo in anticipazione ritirato di là. Il sacerdote lo esorta a deporre i concepiti timori, ed a tenere per fermo che Belisario non fuggiva mai, e conservava sempre le conquiste fatte colle sue armi. Vitige uditone affretta il passo bramoso di gittare lo sguardo sulle romane mura innanzi che le abbandoni il condottiero nemico.