Istoria della città di Benevento dalla sua origine fino al 1894/Parte I/Capitolo IV

Capitolo IV

I Sanniti invadono la Campania

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CAPITOLO IV.


Quell’incantevole regione, che gli antichi appellarono la Campania Felice, fu per un lungo volgere di tempo il confine della confederazione sannita. Ma un suolo tanto prediletto dalla natura, ove fioriscono nel corso dell’anno due primavere (L. Anneo Floro, denique bis floribus vernat) e che fu il sospiro di svariati popoli e di molti conquistatori, un suolo di cui, poetando, scriveva il Niccolini:

«  . . . . . . Oh chi vi nacque,
Sotto qual cielo non sentì l’esiglio?»

non poteva non attirare la cupidigia dei confinanti Sanniti. E infatti verso il 330 di Roma uno stuolo di Sanniti Caudini si versava, avido di conquista, sulla contrada che or si dimanda Terra di Lavoro, e che allora si tenea per gli Etruschi.

Costoro da lunga pezza, ammolliti dall’ozio, erano di assai degenerati da quei loro maggiori, che, vittoriosi degli Umbri, entrarono innanzi a tutti i popoli dell’antichità in potenza e virtù militare. Essi Etruschi traevano una metà del lor tempo assisi a lauti banchetti, anteponendo ad ogni altra cosa gli ornamenti del lusso; e le loro donne erano assai poco ritenute nei costumi, e si piaceano solo di adornarsi, e cianciare di vesti, di profumi e di collane. Soleano anche in quel tempo gli Etruschi deliziarsi di scenici ludi e di quelle mute rappresentazioni che ai nostri tempi si dissero pantomime. E furono anche i primi a istituire i giochi gladiatorii, i quali primamente limitaronsi a pugne incruente, e forse riuscivano giovevoli come esercizio di scherma e di ginnastica; ma in processo di tempo degenerarono in brutali duelli e disumana carneficina, di cui presero atroce diletto i romani, allorchè si fecero a conculcare i più sacri dritti dei popoli debellati.

[p. 37 modifica]Non è perciò a stupire se gli Etruschi i quali, in tanto tralignare di costumi, aveano messa in non cale la disciplina militare, non seppero contendere la conquista della Campania a una mano di audaci Sanniti. Costoro, resi più ardimentosi dal fausto successo delle loro armi, proposero agli Etruschi di convivere insieme nella Campania come un medesimo popolo. E questi, che erano vogliosi di stabilire qualche accordo coi loro temuti vicini, annuirono di buon grado alla proposta, e li accolsero nelle loro terre come coloni e compagni. Allora si vide, strano spettacolo, due popoli cotanto diversi di costumi, deposto ogni odio, far dimora e convivere insieme sulle medesime terre, che poc’anzi erano state bagnate del loro sangue.

Per tal modo i Sanniti, senza niente ritrarre delle usanze degli Etruschi, e senza punto mescolarsi con un popolo già per metà debellato, presero a convivere con essi nel modo che i Franchi molti secoli dopo viveano con gli Italiani, allorchè Carlo Magno superate le Chiuse, pose fine al regno de’ longobardi in Italia.

«Dividon i servi, dividon gli armenti,
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha.»

(Manzoni).

Intanto gli Etruschi signoreggiavano nella città di Capua, metropoli della Campania Felice, città da essi edificata, e alla quale diedero il nome di Volturno (Attellis); ed aveano avuto cura di non accogliervi in copia i coloni Sanniti. Ma questi, oltremodo cupidi di rendersi esclusivi signori della opulenta e voluttuosa Volturno, la quale era forse la prima città d’Italia, ordirono una esecranda congiura, per trucidare in una sola notte tutti gli Etruschi che dimoravano in Volturno. E per mettere in atto il loro inumano disegno, senza che nulla ne trapelassero gli Etruschi, si avvalsero di un fiero giuramento emesso con un rito atroce, che trovasi minutamente descritto nelle istorie del Niebhur.

[p. 38 modifica]I Sanniti quindi attesero la occasione propizia per mandare ad effetto il loro iniquo divisamento. Infatti non andò molto che gli Etruschi celebrarono in Volturno una solenne festa che fu protratta sino a tarda ora, dopo di che inebriati, secondo la loro usanza, di spiritosi liquori s’immersero in un profondo sonno. Allora i Sanniti, che spiavano vigili un tal momento, introdussero nella città i compagni sparsi nei boschi e nei campi d’intorno, e tutti col ferro nudo in pugno si recarono nei diversi punti della città, e penetrati per forza nelle case degli Etruschi, li trucidarono spietatamente, senza che un solo avesse potuto sottrarsi a quella nefanda strage. Un tal fatto acquistò nell’antica storia d’Italia quella trista celebrità che nelle storie moderne la famosa notte di San Bartolomeo. E in tal modo coll’infamata perdita di Volturno ebbe termine nel 333 di Roma la signoria degli Etruschi nella Campania.

Di poi i Sanniti, mutato il nome di Volturno in quello di Capua, volsero l’animo alla conquista di Cuma. Questa antichissima città italo-greca era stata edificata da una banda di Calcidesi a cavaliere d’un colle tra Linterno all’Ovest, e Miseno all’Est. Essa possedeva un porto nel mar Tirreno, e in quei tempi era non solo doviziosissima, ma assai potente in mare e in terra. Il magnifico e rinomato tempio di Apollo sorgeva eminente nella sommità del colle. Da questo tempio per oscuro penetrale si scendeva nell’orribile antro della Sibilla, tutto scavato nel monte, e composto di moltissime camere e grotte; nella maggior parte delle quali era eretto un piccolo tempietto, dove stava il tripode della Sibilla, la quale, per rendere gli oracoli, lavavasi prima in tre vasi di marmo collocati nel mezzo del tempio, e presa poi una stola traeva nel tempietto, dove dal tripode tutta convulsa e sudante profetava intorno alle umane sorti. Le sue fatidiche risposte erano o scritte sulle foglie, o date a voce nella bocca di una grotta, che comunicava col tempietto; ed allora queste uscivano rimbombando per moltissime spaziose porte dell’antro, le quali Virgilio, scrivendo da poeta, anzichè da storico, dice essere state cento.

[p. 39 modifica]Ai Sanniti era molto a cuore l’acquisto di Cuma, e dopo diversi inutili tentativi, cogliendo il destro finalmente che la città ebbe a trovarsi in un certo tempo sprovveduta del fiore dei suoi cittadini, piombarono su di essa, ed, espugnatala, passarono a fil di spada, come è fama, tutti gli abitanti. Per tal modo i Sanniti si resero signori di tutta la Campania. Indi aggredirono i Volsci, e tentarono da più lati di estendere le loro conquiste; ma li tenne probabilmente la fama del valor militare dei Romani. E allora concepirono il disegno di allearsi con questi, nella lusinga che, congiunte le loro forze, avrebbero di leggieri debellati tutti gli altri popoli confinanti, ed essi soli signoreggiata l’Italia.

La prima alleanza che i Sanniti contrassero coi Romani, e che in seguito fu più volte rinnovata, si riporta all’anno 401, durante il consolato di M. Fabio Ambusto e di F. Quinzio, nel quale anno i Sanniti mandarono legati ai Romani a chiedere la loro amicizia. E questi secondarono assai volentieri i loro desiderii, e li fecero partecipi di tutti i dritti che, secondo le loro costituzioni, solevano concedere agli alleati. I Romani si giovarono assai d’una tale alleanza, poichè studiarono accuratamente le leggi e le usanze dei Sanniti, nonchè i loro ordini militari, per emendare, come fecero, i difetti delle loro istituzioni, e mercè i loro validi aiuti riuscirono vittoriosi nell’aspre guerre durate contro i Latini e altri popoli contermini, i quali si dimostravano gelosi della crescente potenza di Roma. E certamente senza l’amicizia dei Sanniti, i Romani non avrebbero potuto estendere il loro territorio, poichè i Sanniti nel tempo della prima alleanza coi Romani, soprastavano di gran lunga ad essi per dovizie e potenza militare, e anche per ampiezza di domini, dopo che si resero signori di Capua, Cuma e Nola, che dominarono l’intera Campania e quasi tutta la Daunia, e che tolsero ai Volsci quel gran tratto di terra che si estende sino a Casino e quasi a Sora. Di più, col prolungarsi l’alleanza, ai soli Romani era dato, per la diversa condizione locale dei due popoli, impromettersi dei grandi vantaggi, potendo essi acquistare ancora di assai dominii nell’Etruria [p. 40 modifica]e nella Gallia; mentre per lo contrario non appena i Sanniti avrebbero occupato le poche terre degli Ausoni, degli Aurunci, e dei Sedicini sarebbe stato ad essi preclusa la via ad ulteriori conquiste. Ma i Sanniti, per una inesplicabile cecità, non posero mente a questo, e però assai tardi si avvidero che, agevolando ai Romani la vittoria su tutti i popoli confinanti, e acconsentendo che dilatassero il loro impero su tanta parte della penisola li avrebbero resi più vogliosi di occupare l’intera Italia, a cui aspiravano da lunga pezza.

Ma più dell’ambizione Romana nocque ai Sanniti il tralignare dei costumi e la loro divisione, poichè i Sanniti che occuparono Capua, Guma e Nola si fecero chiamare semplicemente Campani, e sconoscendo la confederazione generale costituirono una repubblica separata.

E in tal guisa si adempie una lacuna che si scorge in quasi tutti gli storici che accennarono all’origine della prima guerra Sannita. Infatti gli antichi scrittori di Roma affermano che i Romani intimarono guerra ai Sanniti per impedire che gli stessi occupassero Capua, e lo stesso Tito Livio ritiene che i Sanniti quasi un secolo prima avessero occupata Capua e Cuma, trucidandone gli abitatori. Una tale contraddizione non può essere risoluta senza ammettere che i Sanniti, i quali signoreggiavano Capua e Cuma, avessero disconosciuta in appresso la federazione generale, sottraendosi a qualsiasi dipendenza (Grimaldi, Annali; Giustiniani, dizionario; Galanti, Saggio sugli antichi popoli del regno di Napoli; Atto Vannucci, storia antica d’Italia).

Ma da che i Sanniti di Capua, separati dalla confederazione, tolsero il nome di Campani, scapitarono sempre più nella stima dei popoli confinanti, non serbando più misura nella mollezza dei costumi, in cui avanzarono di gran lunga gli stessi degenerati Etruschi. Laonde si antivedeva comunemente una novella invasione nella Campania da parte dei Sanniti della confederazione, i quali, subentrando ai corrotti Campani nella signoria di quella invidiata regione, avrebbero potuto ripetere con più ragione il detto dei primi