Ippolito/Primo stasimo
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coro
Strofe I
Amore, Amor, che stilli da le pàlpebre
il desiderio, e in cuore un piacer languido
infondi a quelli sopra cui precipiti,
deh, mai su me non voler tu con impeto
immoderato irrompere.
Poiché tanto non pènetra
del fuoco il dardo, o quel che gli astri vibrano,
quanto quello di Cípride,
cui di sua mano lancia
Amor, di Giove figlio.
Antistrofe I
Invano, invano, dell’Alfèo sui margini
e d’Apolline presso ai templi pítici
stragi di buoi l’ellèna gente accumula,
se Amore poi, che despota è degli uomini,
che d’Afrodite è germine,
che le chiavi del talamo
genïale possiede, non si venera,
che, se nei cuor’ s’insinua,
manda in rovina gli uomini,
e mille danni provoca.
Strofe II
La puledra non dòmita1
ancor dal giogo, d’Ecalía nei talami,
di sposo anche inesperta, ancora vergine,
dalla casa rapí, sovresso il pelago,
Nàiade fuggitiva, errante Mènade,
fra la strage, l’incendio,
fra nozze di sterminio,
la Dea Cipria; e d’Alcmèna
la diede al figlio: ahimè, nozze di pena!
Antistrofe II
Voi, di Tebe santissime
mura, potete dir, voi, scaturigini
di Dirce, quanto il poter sia di Cípride.
Di Bromio essa la madre2, a cui la folgore
cinta di fiamme fu nuzïal talamo,
sopiva nel sanguíneo
destino. Essa, terribile,
dovunque sia, s’aggira,
e, come ape volando, alita l’ira.
Note
- ↑ [p. 302 modifica]La puledra non domita è Iole, figlia di Eurito, re d’Ecalia, della quale s’era innamorato Ercole, che per averla incendiò e distrusse la città, portando seco l’amata fanciulla.
- ↑ [p. 302 modifica]Di Bromio... la madre è Semele, che, secondo la nota leggenda, restò incenerita quando, in seguito alle sue preghiere, Giove le si mostrò tra lampi e fulmini in tutto il fulgore della sua divinità.