Introduzione. Per la prima recita dell'Autunno 1754
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INTRODUZIONE.
Per la prima recita dell’Autunno dell’anno 1754.
Flaminia ed un Servitore.
Flaminia. Date questa carta al suggeritore. Fintanto che si radunano i comici per principiar la commedia, ditegli che voglio un po’ ripassare il solito complimento. (al servitore)
Servitore. Sarà servita. (parte)
Flaminia. Ho fatto bene a venir io per la prima al teatro. Potrò provarlo con libertà. Da bravo, suggeritore, fatemelo dire voi, poichè a memoria lo so pochissimo. Non l’ho avuto che l’altro giorno. Il poeta me l’ha dato assai tardi. Oh, quest’anno il nostro poeta ci ha fatto penar davvero; fra le sue malattie e fra le disgrazie della compagniaa stiamo bene. Ma chi sa? Niente paura. Suggeritore, proviamo.
Torno ai lidi dell’Adria, e guido in porto
Nave da venti combattuta e scossa.
D’uopo abbiamo d’aita e di conforto,
Onde al primo vigor tornar si possa.
Più non vuò comparir col viso smorto;
Più non sento il timor scorrer per l’ossa.
Tutti abbiamo a morir; non mi confondo:
Chi è morto è morto, e non finisce il mondo.
Clarice.
Clarice. Serva, signora Flaminia.
Flaminia. Ben venuta la signora Clarice.
Clarice. Provate voi qualche cosa di nuovo?
Flaminia. Stava provando il prologo, o sia il complimento.
Clarice. Cara amica, potreste risparmiarlo.
Flaminia. Perchè?
Clarice. Perchè in oggi nessuno lo ascolta più.
Flaminia. No, se fosse uno di que’ soliti, antichi, fatti apposta per seccare il genere umano.
Clarice. E qualche cosa di buono?
Flaminia. Io non giudico se sia buono o cattivo. Sono cinque ottave che non mi dispiacciono.
Clarice. Potrei sentirle io?
Flaminia. Una l’ho detta. Proverò le altre, e le sentirete.
Odomi dir: quai merci a noi recate,
Perduti i marinarb, stanco il pilotoc?
Risponderò: Fra le procelle andate
Chi resse al mar, chi si è salvato a nuoto.
Poche merci da poi fur caricate,
Ma il naviglio non vien del tutto vuoto;
Se il fato le ricchezze a noi contrasta,
Vi sarà quel che lice e quel che basta.
Clarice. Fermatevi un poco, per cortesia. Vi sarà quel che lice e quel che basta? Badate bene come v’impegnate, signora Flaminia. Vi sarà quel che lice, va bene, perchè, nelle circostanze in cui siamo, si farà tutto quello che si potrà. Ma Vi sarà quel che basta, non mi par ben detto. Il pubblico mai dice basta, e vi vuol troppo a saziare l’avidità dei curiosi.
Flaminia. Noi abbiamo che fare con un pubblico assai discreto. Compatirà le nostre disgrazie; ci darà animo a ripararle, e forse forse non sarà di noi discontento. Sentite quel che devo dire all’udienza nella terza ottava. Suggeritore, a voi.
Ottavio e Florindo.
Ottavio. Signore mie, conviene sbarazzare la scena. L’ora si avanza, e ci converrà dar principio.
Flaminia. Lasciatemi terminar di provare il prologo.
Ottavio. Sollecitate, signora.
Florindo. Non vi date gran pena. I comici non sono ancora ragunati al teatro.
Ottavio. Chi manca di loro?
Florindo. Il Pantalone e il Brighella.
Ottavio. Questi due personaggi nuovi si faranno un poco aspettare.
Clarice. Voglia il cielo che rieschino.
Flaminia. Frattanto dunque terminerò di provarlo.
Bello il mondo assai più fan le vicende;
Misto il bene col mal fa il ben migliore.
Le sventure talor gli animi accende4
A meritar il contrastato onore.
Di fortuna la ruota or sale, or scende;
Toglie, e poscia ridona il suo favore.
Tutto questo vuol dir che in mezzo ai guai
Noi avviliti non sarem giammai.
Argentina.
Argentina. Presto, presto, signori, facciamo suonare, e principiamo la commedia.
Flaminia. Perchè tanta fretta? Non sono ancora due ore di notte.
Argentina. Se non si fa presto, abbiamo qui la seccatura dell’anno passato.
Clarice. Che vuol dire?
Argentina. E venuto a favorirci al solito il signor Zamaria dalla Bragolad.
Ottavio. Oibò; sfuggiamo, se si può, questa noia. Principiamo.
Florindo. Ma se il Pantalone ed il Brighella non sono ancora venuti.
Ottavio. Mandiamoli a chiamare. Ehi! avvisate subito il Pantalone e il Brighella. (ad un servitore)
Dottoree colla maschera in mano.
Dottore. In tutt do per la stra, che vegnen vi pian pian; ai trema el gamb come a una sposina la prima volta che la va a marì.
Ottavio. Li compatisco se hanno qualche ribrezzo; ma l’ora è tarda.
Flaminia. Vorrei pur vedere di terminar queste ottave.
Florindo. Quante ne mancano?
Flaminia. Due sole.
Florindo. Ha tempo benissimo di provarle.
Flaminia. Animo dunque, andiamo.
Dove fondata è la speranza nostra?
Donde l’ardire al nostro cuor deriva?
Ah sì! soltanto nella bontà vostra,
Che gl’infelici del suo amor non priva.
Franco, vostra mercè, mio cuor si mostra,
L’alma di tutti noi resa è giuliva,
Giunger sperando a gloriosa meta
Gli umili attori e l’umile poeta.
Argentina. Eccolo, eccolo.
Flaminia. Chi?
Argentina. Il signor Zamaria della Bragola.
Sior Zamariaf.
Zamaria. Patroni. Sioria. (malinconico)
Ottavio. La riverisco divotamente.
Flaminia. Serva sua, signore.
Argentina. Che vuol dir, signore, che mi par melanconico?
Zamaria. Poverazzi! me fè pecca.
Ottavio. Perchè, signore?
Zamaria. Eh, st’anno sè fritti.
Ottavio. Come sarebbe a dire? Ci crede ella in rovina affatto?
Zamaria. Sì, caro vecchio, sè rovinai. Ve voggio ben, me despiase assae; ma mi son un omo che parla schietto. Per stanno no ghe vedo caso che ve podè sostentar6.
Flaminia. Signore, ella ci crede disperati affatto, e noi siamo pieni di coraggio.
Zamaria. Bon prò ve fazza; ma ve posso dir che nè mi, nè i mi amici, stanno avemo volesto tor palco.
Clarice. Per lei non ha bisogno di palco. Viene a favorirci sulla scena.
Zamaria. Ve dirò: son vegnù a trovarve, son vegnù a saludarve; ma vago via.
Clarice. Non vuol vedere la nostra prima commedia?
Zamaria. Mi no; co me recordo quel povero Pantalon, me vien da pianzer.
Florindo. Caro signore, poteva ella far a meno di venirci a rattristare. Abbiamo bastantemente compianto la perdita di un nostro amoroso compagno, pieno di merito, di grazia, di brio e di ottimi, illibati costumi7. Ora pensar dobbiamo a servire il pubblico lietamente più che si può, e per ciò fare abbiamo sostituito un Pantalone novello8, il di cui spirito, il di cui talento ci fa sperare non poco.
Zamaria. Sì? avè trovà? chi xelo?
Florindo. È un veneziano, signore.
Zamaria. Venezian proprio?
Florindo. Veneziano nato qui, e qui allevato, e in impieghi onorati nella patria sua mantenuto.
Zamaria. Xe un pezzo che el fa da Pantalon? Dove xelo stà? da dove vienlo?
Florindo. Dirò, signore: in accademie ha recitato più volte; ma con comici non è mai stato.
Zamaria. Ho inteso; schiavo, siori. (in atto di partire)
Ottavio. Non è persuaso forse che abbia a riuscire?
Zamaria. Gnente; una maledetta. Accademico dilettante: come voleu che el sappia i vostri lazzi, i vostri soggetti, le vostre commedie? Poverazzi! sè ruvinai.
Ottavio. Se non saprà fare per ora le commedie che noi chiamiamo dell’arte, basterà ch’egli riesca in quelle che si dicono di carattere, le quali in oggi hanno dell’altre maggior incontro.
Zamaria. Saralo mo bon?
Ottavio. Si spera.
Zamaria. Colla maschera, o senza maschera?
Ottavio. In una maniera, e nell’altra.
Zamaria. Bona mutriag?
Ottavio. Lo vederà.
Zamaria. Bona oseh)?
Ottavio. Lo sentirà.
Zamaria. Saveu che m’avè messo in curiosità! Da galantomo, che stago qua stassera.
Clarice. L’ho detto che il signor Zamaria ci favorirà.
Argentina. Chi sa che domani non prenda palco anche lui.
Zamaria. Se me piaserè, perchè no? E de Brighella come aveu repiegà?
Flaminia. Nella stessa maniera come si è fatto del Pantalone.
Zamaria. Un altro accademico?
Flaminia. Per l’appunto.
Zamaria. No so cossa dir; el cielo ve la manda bona. Me despiase anca de quel povero Brighella che xe morto. Diseme, cari siori, chi farà da Osmanoi in te la Sposa Persiana?
Dottore. Malament ho fatt mi, e son stà compatì.
Zamaria. Sì ben, me recordo che sè stà in do altri teatri in sto paese, e no m’avè despiasso.
Dottore. Effett della so buntà e effett della clemenza dei signori Veneziani, che m’han suffert, compatì, e m’han dà coragg de far quel poch ch’ho possù.
Zamaria. St’altro Brighella che ave tolto9, nol xe bon da far altre parte?
Ottavio. Anzi; ha presenza, ha voce, ha spirito; vedrà che sarà contenta.
Zamaria. Oimei! (respirando) me fè cresser el cuor. Co l’è cussì, averemo meggiorà donca.
Florindo. Noi non abbiamo ardir di dir questo; ma abbiamo buona speranza, e la nostra speranza è fondata sui capitali che nei due soggetti si riconoscono. Può tradirli, è vero, da prima l’apprensione, la confusione, il timore; ma col tempo ardirei promettere che si faranno.
Zamaria. Vu disè ben, caro amigo. Ma saveu el pubblico come che el xe? Ste rason no i le vol ascoltar. Co no i piase subito, no i dise miga i se farà; i dise che i xe cattivi.
Ottavio. Tutti non parleranno nella stessa maniera.
Argentina. Il signor Zamaria ci difenderà.
Zamaria. Se savessi quante baruffe che ho fatto per vualtri! Ma st’anno ghe n’ho sentìo tante, che me giera cascà i brazzi, e no ghe ne voleva più sentir a parlar.
Flaminia. Via, signore, ci dia animo e ci continui la sua protezione.
Zamaria. Per i do personaggi me de bone speranze, ma de sto vostro poeta cossa me diseu? Cossa diavolo xe sta? Xe vero che l’ha fatto una commedia sola?
Flaminia. Ma! pur troppo è la verità.
Florindo. È stato quasi cinque mesi ammalato.
Zamaria. Sì ben; anzi i aveva dito che el giera morto. Poverazzo! me despiaseva. Mi per altro no credo che l’abbia fatto una commedia sola. El dirà cussì per politica, e pò, tutto in t’un tempo, el darà fogo a una batteria de cannoni.
Ottavio. Noi non abbiamo sinora che una sola commedia.
Zamaria. Ma come fareu a tirar avanti?
Ottavio. Quello che non si è fatto, speriamo che si farà.
Zamaria. Orsù, bisognerà che me provveda de palco.
Clarice. Bravo, signor Zamaria. Lo prenda questa sera, e vada co’ suoi amici a dar coraggio ai personaggi novelli.
Zamaria. Che commedia feu stassera?
Ottavio. Si farà la Madre amorosaj.
Zamaria. Ah sì, quella commedia nova che l’anno passa ave abudo tardi, e no l’ave podestà far. L’aveu fatta in altri lioghi?
Ottavio. L’abbiamo fatta.
Zamaria. E come xela riussia?
Ottavio. Non è commedia che possa far grande strepito; per altro fu compatita.
Florindo. No, amico, dite pure liberamente che la commedia è leggiera, semplicissima e breve; fondata sopra una virtuosa passione, ma poco ridicola, e senza quei caratteri forti, giocosi, che in oggi sogliono far brillar le commedie. E bene prevenirlo questo signore, acciò che egli lo dica agli altri; e sappiasi che noi medesimi non ci aduliamo e che sappiamo dire la verità11.
Zamaria. Diseme, caro vu, xela in versi?
Florindo. Non signore. E in prosa.
Zamaria. Mal.
Florindo. Perchè mal?
Zamaria. Mal, caro vecchio, mal. Adesso co le commedie no xe in versi, no le piase più. Cossa diseu vu? (ad Ottavio)
Ottavio. Io dico, signore, che le commedie in versi sono piacevoli, sono vezzose; ma sarebbe peccato che si perdesse il bel dialogo naturale della nostra prosa. Il solletico del verso e della rima ha incantato il mondo; ma quest’incanto forse non durerà lungamente.
Zamaria. Se adesso tutti scrive in verso. Mi credo che i metta in versi anca la lista della lavandera. El xe pur sta elo, el vostro poeta, che i ha, se pol dir, inventai, che i ha messi in credito. Ghe xeli fursi vegnui in odio, dopo che el li ha visti dai altri imitai?12 Gh’alo rabbia, perchè a farghene nol xe solo?
Florindo. Anzi si consola a veder seguitate le sue scoperte. Ma vorrebbe dar gusto a tutti, se potesse.
Zamaria. Col vol dar gusto, che el scriva in versi.
Florindo. Glielo diremo. Per noi li impariamo13 più facilmente.
Zamaria. Perchè sta sera far sta commedia in prosa? e, per quel che sento, poco bona da gnente? Se volevi far credito, bisognava dar fogo al pezzo, metter man a qualcossa de grando.
Florindo. Nelle contingenze in cui siamo, non è poco poter riparar così. Non potevano esporsi in cose maggiori i due personaggi novelli.
Zamaria. Mo dove xeli sti do personaggi? se porli veder?
Ottavio. Eccoli là, signore. Or ora li vedrà recitare.
Zamaria. No se poderave darghe una lumadina avanti che i andasse in scena? Son curioso de vederli e de sentirli a parlar.
Ottavio. Non vede, signore? Hanno già la maschera al viso. Siamo per principiare. Che vuol vedere? che vuol sentire da loro?
Zamaria. Qualcossa; almanco che possa dir ai mi amici, i ho visti, ho parla con lori.
Flaminia. Soddisfatelo il signor Gian Maria; fateli venire avanti.
Ottavio. Favorisca, signor Brighella. Venga qui da noi.
Brighella.
Brighella. Cossa me comanda el mio carissimo sior Ottavio?
Ottavio. Questo signore, dilettantissimo di commedia, affezionato assai al nostro teatro, desidera vedervi, conoscervi...
Zamaria. Sior sì, e consolarme con ella.
Brighella. Lodo infinitamente la massima de sto signor, che se voi consolar con mi avanti che abbia principia a recitar, perchè dopo sarà difficile che el se consola. Son un povero principiante, signor; uno che s’ha determinà a far per mestier un esercizio fatto fina al dì d’ancuo per diletto; ma dal diletto al mestier gh’è quella differenza che passa in un duellista tra el passetto e la spada: col passetto in man anca un scolaro poi far el bravo; ma colla punta nuda anca un maestro qualche volta ha timor. Cussì un comico dilettante intraprende tutto con facilità; ma col se trova a fronte de professori, el trema, el suda, nol sa in che mondo che el sia. I me dirà, per esempio, perchè donca, sior dilettante, seu vegnù a azzardarve tra professori? Perchè seu vegnù in sta città, in sto teatro, in sti tempi cussì difficili a rischiar el vostro decoro, la vostra reputazion? Ah, no so cossa dir. Se fa delle risoluzion sul momento, e pò se ghe pensa co no gh’è tempo più de pensar. Le parole impegna, le bone grazie le obbliga, l’occasion stimola, el genio spenze, la tentazion strassina, e quando che se xe in ballo, s’ha da ballar. Ballemo, donca, ballemo: no a son d’applausi e de evviva, che mai arriverò a meritarli; ma voggia el cielo che no me tocca a ballar a son de fischi e de urlade. In sta città venerabile, in sto teatro famoso, da sto popolo pien d’amor e de carità, no vôi aspettarme un’armonia cussì tetra che me avvilissa, e che me fazza in mezzo al ballo precipitar; ma me vôi lusingar che, toccade le corde amorose del cuor benignissimo de quelli che me saverà compatir, se senta a resonar per mia gloria, per mio conforto: poverazzo, compatimolo; el se farà. Co sta bona speranza me dago animo, me dago coraggio; vago a parecchiarme alla recita. La prego anca ella, e prego tutti de proteggerme, de tollerarme e de tegnirme in grado de so umilissimo servitor. (parte)
Zamaria. (Guarda dietro a Brighella, e non parla.)
Ottavio. Che ne dice, signore? n’è contento?
Zamaria. Voleu che ve la diga? Nol me despiase. Bona fegura, bona ose, bona chiaccola; el se farà. Sì ben, el se farà. De questo no me descontento. Ma feme sto servizio, lasse che senta anca Pantalon.
Ottavio. Volentieri. Venga, signor Pantalone. Una persona la vuol vedere.
Pantalone.
Pantalone. Chi elo questo che me voi véder? Se nol xe orbo, adessadesso el me vederà.
Ottavio. Eccolo qui. Il signor Zamaria della Bragola.
Pantalone. Sior Zamaria lo cognosso, el me cognosse; se cognossemo. Com’ela, compare? Se gh’ho el babiok coverto, me doveressi calumarl alla ose.
Zamaria. Aspettè mo... seu fursi?...
Pantalone. Son mi, senz’altro.
Zamaria. Eh via! (maravigliandosi)
Pantalone. Che cade! (secondando le sue maraviglie)
Zamaria. Vu sè?
Pantalone. Mi son.
Zamaria. Mo perchè qua?
Pantalone. Mo perchè no de là?
Zamaria. Che novità? che mutazion xe questa, compare?
Pantalone. No savè quel che dise el Tasso?
«Che nel mondo mutabile e leggiero
«Costanza è spesso il variar pensiero.
Zamaria. M’oggio da consolar, o m’oggio da condoler?
Pantalone. Per adesso gnente. Aspettè da qua un per de ore, e pò me la saverè contar. Se piaso, compare, ho fatto zornadam; se despiaso, gnanca per questo no me vôi desperar. Chi elo quel temerario che a primo intron se possa lusingar de far buso?o Se fussimo fora de Venezia, anca anca vorria sperar; ma qua in ste lagune ho da suar la mia parte avanti de esser, no digo lodà, ma compatio. Non ostante, ve torno a dir, no me perdo. Sarà quel che piaserà al cielo. Son venezian, e i Veneziani tanto amorosi, tanto indulgenti coi forestieri, no i sarà manco facili con un patrioto. Son cognossù in sto paese; se sa che unicamente per un trasporto de genio, de inclinazion, me son risolto de montar su ste tole, de metterme sta maschera al viso, de esporme al pubblico in sto carattere de Pantalon. Se i amici, se el popolo, se l’universal me darà coraggio, non averò occasion de pentirme della mia ressoluzion, e el pubblico no sarà descontento de mi. Ma ghe vol tempo, patron, ghe vol tempo. Sto personaggio de Pantalon xe più difficile de quello che ve podè immaginar. Bisogna qualche volta far da padre severo con un fio discolo, disubbidiente, correggerlo, ammonirlo, manazzarlo se occorre con parole de autorità, con ose grave, con forza, con spirito e con calor. E pò all’incontro, quando capita l’occasion, far l’amor colle donne, far el vecchietto grazioso, dir delle barzellette, buttar lepido, manieroso, bizzarro, e ballar anca una furlanetta se occorre. Bisogna pò anca esser boni da cavarse la maschera, se fa bisogno. Far un poco da cortesan, un tantinetto da bulo, sticcarla in tutto; una carta per ziogo, e procurar, co se pol, d’aver el tratto dai altri, e ziogar sempre trionfo. Cognosso el bisogno; so in che impegno che son, ma no so come che la sarà. Farò el pussibile per far ben. Me butterò in brazzo dei mi amorosissimi patrioti. Ghe domanderò perdon dell’ardir, i pregherò de usarme carità per incoraggirme, de aver pazienza per meggio sperimentarme, assicurandoli che se la bontà dell’udienza va del pari col zelo che ho concepido per ben servir, in poco farò salti mortali, deventerò un altro, non averò più ne rossor, nè paura, ne suggizion. Coll’assistenza, colla protezion dei mi amici combatterò con tutti, sfiderò tutto el mondo.
«Per entrar in battaglia ho za provviste
«Catapulte, monton, gatti e baliste14. (parte)
Zamaria. Bravo, bravo! Per diana de dia, bravo!
Ottavio. Che cosa ne dite?
Zamaria. Bravo. Vago da basso; vago a trovar i mi amici. Doman togo palco. Bravo; bravi; per diana de dia, bravi.
Flaminia. Ci sappia poi dire l’opinione degli altri.
Zamaria. Dopo la commedia, son qua da vu. Bravi.
Ottavio. Ci raccomandiamo a lei.
Zamaria. Bravo.
Florindo. Dica bene di noi.
Zamaria. Bravi.
Clarice. Anche di me, signore.
Zamaria. Brava.
Argentina. E di me?
Zamaria. Bravi. (parte)
Ottavio. E ben fatto che questo chiacchierone sia persuaso.
Flaminia. Voglia il cielo che dica sempre così.
Ottavio. Presto presto a principiar la commedia.
Flaminia. Dico l’ultima ottava, e vengo subito ancora io.
Oh come spesso al folgorar d’un lampo
La tetra nube disparir si vede;
Oh come spesso a inaridito campo
Larga provvida pioggia il ciel concede.
Ecco aperto nell’Adria il nostro scampo,
Se l’usata pietade a noi concede:
Questa mancar non può; siam dunque in porto;
Sia Venezia per noi speme e conforto.
Fine dell’Introduzione.
- Note dell’autore
- ↑ Intende lagnarsi per la morte di due personaggi, il Pantalone ed il Brighella1, tutti due di merito particolare, mancati pochi mesi prima, uno in Genova, l’altro in Milano2.
- ↑ Allude ai due personaggi perduti.
- ↑ Allude al poeta, che fu in quell'anno da lunga malattia oppresso3.
- ↑ Vedi l’Introduzione nel primo Tomo.5.
- ↑ Osservisi che qui il Dottore parla il suo linguaggio bolognese.
- ↑ Parla veneziano.
- ↑ Scherzosamente parlando, se ha faccia tosta, se è uomo franco.
- ↑ Voce
- ↑ Parte che soleva fare Brighella, ora morto.
- ↑ La prima stampata nel Tomo secondo10.
- ↑ Bobbio significa volto, burlescamente.
- ↑ Calumar conoscere, in linguaggio furbesco.
- ↑ Ho fatto una buona giornata, cioè un buon negozio.
- ↑ A prima vista.
- ↑ Far incontro.
- Note dell’editore
- ↑ Francesco Rubini e Giuseppe Angelerl: vedasi vol. X, pp. 11 e 19.
- ↑ Vedasi anche, oltre i Mémoires, P. II, ch. 22, la pref. alla Castalda, vol. VII, pp. 111-112.
- ↑ Vedasi specialmente la pref. alla Donna volubile, nel vol. VI. della presente edizione, e la dedica della Donna vendicativa, nel vol. IX.
- ↑ Così il testo.
- ↑ Alludesi al primo tomo del Nuovo Teatro Comico di C. G., ed. Pitteri di Venezia. Vedasi vol. X della presente edizione, p. 14.
- ↑ Così dicevasi comunemente per Venezia, a cagione della perdita dei due personaggi suddetti, e delle poche cose che scritte aveva il poeta.
- ↑ Elogio ben dovuto alla memoria di Francesco Rubini, il quale quantunque di nascita Mantovano, e non del tutto in possesso della lingua veneziana, ha saputo tanto piacere in virtù del suo talento e della sua buona grazia.
- ↑ Pietro Rosa, già fattore presso una famiglia patrizia veneziana, come ricorda Fr. Bartoli nelle Notizie istoriche de’ Comici Italiani ecc.
- ↑ Antonio Martelli bolognese, già sarto: v. Fr. Bartoli cit. e L. Rasi, I comici italiani, vol. II, Firenze, 1905.
- ↑ Intendesi dell’ed. Pitteri di Venezia. Vedi il presente volume, subito dopo di questa Introduzione.
- ↑ Quest’ultimo periodo si dovrebbe chiudere fra parentesi.
- ↑ Alludesi principalmente all’abate Chiari.
- ↑ Nel testo: gl’impariamo.
- ↑ Un verso del Tasso, detto per allegoria.
NOTA STORICA
Ricongiungesi intimamente questa Introduzione all’altra che leggesi in principio del vol. X (Nota stor., p. 23): la stessa invenzione, la scena stessa, gli stessi personaggi. Anche qui ci si affaccia subito alla memoria il modello di Molière (E. Maddalena, Scene e figure molieresche imitate dal G.: Sior Zamaria dela Bragola: estr. dalla Rivista teatrale ital., Napoli, 1905 e ristampato in Gazzetta di Venezia, 28 nov. 1905). - Se nell’anno precedente aveva dovuto il Goldoni presentare al pubblico veneziano la sua nuova compagnia, dopo il distacco da quella di Girolamo Medebach (già da noi conosciuta nel Teatro comico), non gli mancava questa volta materia a parlare di sè e dei suoi interpreti, dopo la falsa voce che si era sparsa a Venezia della sua morte, e la morte pur troppo avvenuta del Rubini e dell’Angeleri. Le poche scene, scritte, come pare, a Venezia dall’autore convalescente, o appena rinfrancato, avanti la recita, sono ravvivate ancora dalla macchietta di sior Zamaria, più curioso qui che maldicente. Il nuovo Pantalone offre modo al commediografo di accennare al carattere della vecchia maschera veneziana. Si noti poi lo spunto contro l’abuso invalso dei versi martelliani.
Dai Notatorj inediti del Gradenigo, che sono al Museo Civico di Venezia, si sa che i tre teatri di commedia si apersero nel 1754, la sera dei 7 ottobre.
G. O.
L’Introduzione in prosa alle recite dell’Autunno dell’Anno 1754 fu stampata in testa al t. III del Nuovo Teatro Comico dell’avv. C. G. (Venezia, F. Pitteri, 1757), e uscì nel principio del 1758. - Le note a piè di pagina segnate con lettera alfabetica appartengono al commediografo, quelle con cifra al compilatore della presente edizione.