Intorno alla Strada Ferrata dell'Italia Centrale
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INTORNO
ALLA STRADA FERRATA
DELL’ITALIA CENTRALE
NELLA SEZIONE DEGLI APPENNINI
MEMORIA E STUDJ
DI A. GIULIANI E G. CIARDI
. . . . . . a voi non gravi |
I Rappresentanti dei cinque Governi interessati alla costruzione ed attivazione della strada ferrata dell’Italia centrale concordarono in Roma che il tronco di questa gran linea compreso tra Bologna, e Toscana si dirigesse a Pistoia a Prato secondo che ne fosse riconosciuta più facile, più economica, e più sicura l’esecuzione1. Mentre con tal saggio riservo Essi confessavano le ardue difficoltà che presenta il passaggio degli Appennini, lasciavano benanche alla Toscana, ed all’Emilia latitudine bastante a sviluppare dal lato artistico, ed economico una questione per Esse vitale. Noi credemmo allora che ripetute visite locali seguite da accurati, ed imparziali studj delle difficili valli appennine, avrebbero preceduto le trattative da tenersi tra i Commissari dei cinque prenominati Governi: ma quella risoluzione ponendo a cimento gl’interessi delle due Città di Prato, e Pistoia, siccome incoraggiate dalla speranza di più prospero avvenire, si decise la prima di esse a formare, e la seconda a perfezionare sulla propria direzione quegli studj tecnici senza il soccorso dei quali male si deverrebbe dalla Eccelsa Commissione internazionale alla scelta del migliore tra i due accennati andamenti.
Fino dell’anno 1846 il benemerito Ingegnere Sig. Tommaso Cini2 conduceva a termine lo studio per una Strada Ferrata che chiamarsi doveva dell’Appennino, od anche da Pistoia a Porretta, e ne riportava nell’anno medesimo l’approvazione dal R. Consiglio degl’Ingegneri Toscani, non che dall’I.R. Governo la concessione per eseguirla:3 ma o fossero i tempi non più come prima favorevoli a questo genere d’imprese, o fosse malagevolezza d’esecuzione per difficoltà che tanto più insuperabili si mostravano, quanto più erano da vicino vedute, fatto è che nell’anno 1849 la Società anonima già costituita andò in liquidazione, e quella concessione venne ritirata4.
Fino dal Luglio dell’anno 1845 il sottoscritto Giovanni Ciardi progettava una strada ferrata tra Prato, e Bologna, ma per quanto ponesse d’impegno nel sostenere il suo progetto, non gli fu dato di veder condotto a termine uno studio accurato per questa direzione, comecchè se ne occupasse assai l’Ingegner Tommaso Bianchi, negli anni 1846, e 47, e ponesse in essere delle elaborate memorie pubblicate in quell’epoca, ed alle quali aderiva, dopo veduti i luoghi con egregio voto il chiarissimo Prof. Giuseppe Pianigiani: e quantunque altro studio sommario venisse fatto dall’Ing. B. Herschel Babbage nel Luglio del 1847. Ma come al Cini, che pure disposto aveva di mezzi larghissimi, compariva necessario completare maggiormente i suoi studj, tuttochè ottenuta avessero una superiore approvazione, così doveva pensarsi sul cadere dell’anno 1851 a formare un accurato studio delle valli del Bisenzio, e della Setta, incarico che venne disimpegnato dall’altro sottoscritto Ingegnere Dott. Antonio Giuliani.
Approssimandosi il momento nel quale l’Eccelsa Commissione internazionale pronunzierà intorno ad una scelta alla quale sono legate tante Italiane speranze, i sottoscritti dopo essersi rivolti alla imparzialità, e sapienza degli spettabili Uomini che la compongono, sentono il bisogno di fare appello con queste brevi parole alla pubblica opinione, ad essa sottoponendo il resultato dei loro studj, ed il confronto con quelli eseguiti dal Sig. Ing. Cini sulla direzione di Pistoia5. Essi credono altresì di dover protestare altamente, che non si lasciarono guidare da piccoli, e malaugurati interessi, di campanile, o di municipio, e meno anche dalla speranza di particolari vantaggi, poichè nulla hanno di comune cogli intraprenditori di quell’opera; ma lieti che fosse stata decretata la più grandiosa ed utile tra le strade ferrate Italiane, null’altro ebbero in animo se non che essa corrispondesse nel miglior modo agli interessi delle grandi province che deve porre in comunicazione. Con tale intendimento percorsero una ad una le valli sugli opposti versanti dell’Appennino, scesero lungo il corso di ogni fiume, o torrente, salirono sopra ogni giogo. Così stabilirono le convinzioni loro, non sulle carte, ma sulle località, unico libro che insegni a ben traversare i monti, e fidenti nelle cure da essi adoperate nel cercare l’andamento migliore ne espongono i pregj; dichiarando che come reputerebbero fortuna se altri sostituire potesse alla loro una via più facile, e sicura, sarebbero dolenti se adottato un diverso andamento dovesse rendersi una tarda giustizia a quello che ora propongono.
II
Il prelodato Sig. Ing. Cini indefessamente occupandosi del suo progetto di via ferrata sull’Appennino Pistoiese, anche dopo lo scioglimento della Società concessionaria, e dopo avere avuta occasione di visitare altri passi di quella montuosa catena, rendeva di pubblica ragione i resultati dei suoi studj in una Memoria intitolata = Esame dei passi che presenta l’Appennino Toscano per una Strada Ferrata di Tommaso Cini =.
In quello scritto il Sig. Cini al N° V. tratta del passo dalla valle d’Ombrone in quella di Reno, e ad onta della approvazione ottenuta dal R° Consiglio degli Ingegneri si mostra poco fidente nel progetto presentato ancorchè megliorato d’assai, e si palesa non che dubitoso propenso a preferire altra linea, ed altri modi di locomozione per superare ivi l’Appennino. Noi lodiamo il Sig. Cini del sapersi riporre da un proprio progetto, intravedendone uno migliore, e vorremmo che l’utile esempio fosse da altri seguito; intanto importa riferire le parole stesse colle quali Egli si esprime.
“Per la compilazione di un tal progetto, del quale non mi nascondevo le difficoltà, feci lunghissimi, e minuti studj sul terreno, non tanto delle due vallate principali che dovevansi riunire, quanto delle vallate secondarie che le fiancheggiavano. La disposizione però che dopo molti tentativi mi risultava la migliore era, partendosi da Pistoja a metri 69.81 sul mare6 di risalire l’Ombrone e con una media pendenza di 1/50 fino a S. Felice alto metri 125.50; di qui il problema da sciogliersi era quello di giungere a Pracchia sul fiume Reno, dall’altra parte dell’Appennino, a circa 600 metri, donde non si trovavano più difficoltà gravi, ne per pendenze, ne per curve, per andare a Bologna. Due modi vi erano di sciogliere simile problema. L’uno era di staccare arditamente da S. Felice un piano inclinato quanto occorreva fino a S. Mommè, succeduto poi da un altro con una galleria piuttosto lunga (metri 3900) da attivarsi ambedue con macchine fisse a corde, o giungere così a Pracchia percorrendo la più breve distanza possibile. L’altro mezzo era di volgersi sui contrafforti dell’Appennino alla sinistra dell’Ombrone, e traendo il miglior partito possibile dalla disposizione del terreno, alzarsi a poco per volta fino al punto da poter fare una galleria non tanto lunga, conservando sempre pendenze tali da poter percorrere tutta la strada con locomotive. Seguendo questo sistema potei svolgere la strada da S. Felice a Pracchia, sopra una lunghezza di metri 16,560 con pendenze che variavano da 1/40 a 1/807 o con curve il di cui raggio minimo era metri 350”.
Ed in appresso parlando della convenienza di preferire o la linea esercitabile con locomotive, o quella con piani inclinati da esigere le macchine fisse a corde, si esprime così:
“Non ostante non posso a meno di aggiungere, che uno studio attento dell’esercizio di vie ferrate in Inghilterra, e nel continente, mi ha mostrato che fuori di pochi casi, e per tratti assai brevi8, quando il punto da superarsi con una strada ferrata è molto elevato, e vicino, conviene piuttosto stabilire dei piani inclinati con macchine fisse, di quello che andar cercando con molta spesa dei lunghi sviluppi. La differenza è notabilissima nelle spese di costruzione; ma è poi anche più notabile in quelle d’esercizio, che generalmente sono proporzionate alla lunghezza della strada. E tale differenza essendo importante colà dove abbonda a vilissimo prezzo il carbone fossile, molto più lo sarebbe qui dove il combustibile è caro. Un’altra ragione di economia esisterebbe per costruire con macchine fisse la strada tra Pistoja, e Porretta, e sarebbe quella di poter dare ad esse il movimento coll’acque del Reno, e dell’Ombrone”.
“La costruzione di una galleria più lunga, anche nell’ipotesi di doverla portare al massimo a metri 3900 non dovrebbe formare un grave ostacolo, dopo che si è veduto la sollecitudine con cui sono state scavate, per non parlare di altre, quella da Manchester a Sheffield lunga metri 5229 (mig. ingl. 3.20 catene) quella de la Nerthe tra Marsilia ed Avignone lunga metri 4600, quella di Blaizy lunga metri 4150. Ciò per la sua costruzione; giacchè per l’esercizio è senza dubbio preferibile una galleria, alla strada aperta sulla cima di un monte, dove la neve, o il gelo, o la pioggia renderebbero per molti mesi dell’anno assai pericolosa, e non sempre possibile, la corsa delle locomotive”9.
Facendoci a ragionare su quanto il Sig. Cini ha esposto, diremo prima dei piani inclinati, siccome quelli ai quali il prelodato Ingegnere accordava, comecchè nol dicesse, manifestamente la preferenza. Il punto culminante sul Reno trovandosi a metri 595.20 sul mare, o metri 469.70 sopra S. Felice al piede meridionale dell’Appennino, i due piani inclinati debbono superare questa insigne perpendicolare nella sola lunghezza di Kil. 8, per lo che essi hanno in conguaglio la pendenza del 58.71 a mille, o l’1/17.
I piani inclinati esercitabili a macchine fisse sono esclusi dalle condizioni stabilite per la strada ferrata dell’Italia centrale; ma quando pure una tale esclusione non esistesse, sarebbe da osservarsi come il Sig. Ing. S. Realis nelle sue memorie Sulla costruzione delle Strade ferrate impresso a Torino, assicuri che i principali piani inclinati costruiti sulle Strade ferrate d’Inghilterra non eccedono in pendenza il 27 o 28 a mille, mentre il celebre piano inclinato di Liegi non ha che la pendenza del 33.33 a mille per la sola lunghezza di metri 1800. Egli è però vero che nella stessa Inghilterra, in Scozia, ed in America si trovano piani inclinati di acclività straordinaria, e fino anche dell’1/1010 ma quantunque tali esempj non siano da imitarsi, deve osservarsi che quei piani inclinati non giungono mai alla lunghezza di Kil. 1.610 (un mig. ingl.); talchè siamo persuasi che veruno ingegnere ardirebbe protrarre a Kil. 8, come il Sig. Cini proponeva l’ardua pendenza dell’1/17.
Esistono delle vie ordinarie principali, e frequentatissime che presentano a brevi tratti l’inclinazione del 12 ed anche del 15 per cento, ed i grandi trasporti sono costretti a trovare modo di superare quei difficili passi assoggettandosi a fatiche, non mai disgiunte da pericolo. Ma quale Ingegnere si crederebbe, per l’esistenza di quelle esagerate pendenze, autorizzato a ripeterle nel tracciamento di una nuova via, e quello che più importa per lunghezze molto maggiori? Nessuno al certo, che anzi non hanno ottenuto lode, ma biasimo, quegli che in alcune strade roteabili di moderna costruzione si permisero di usare per lunghezze notevoli il nove soltanto per cento. Inutile è dunque parlarne davvantaggio dacchè i piani inclinati a macchine fisse sono esclusi per le condizioni stabilite dall’Eccelsa Commissione internazionale; e nel progetto Cini dalla arditezza, senza esempio, della pendenza in tratti così lunghi.
Passando ora alla linea che il lodato Ingegnere proponeva per l’esercizio con locomotive, osserviamo che essendo, secondo Egli afferma, S. Felice alla elevazione di metri 125.50 sul mare, e il punto culminante a metri 603.41 la perpendicolare da superarsi è di metri 477.91 che repartita sulla lunghezza di metri 16,560, maggiore sviluppo che dice avere a grande stento ottenuto, ne resulta la pendenza conguagliata del 28.85 per mille 1/35, e non già pendenze quali l’Autore del progetto con manifesto errore di calcolo le annunzia, variare dall’1/40 all’1/80. Una semplice regola di proporzione basta a persuadere di tale errore qualunque voglia farne la prova; ed un calcolo altrettanto facile dimostra come il Sig. Cini per ottenere pendenze comprese tra l’1/40, e l’1/80, e che fossero anche conguagliatamente ridotte non all’1/60, ma all’1/50 soltanto aveva bisogno della maggior lunghezza di metri 23,895.50, lunghezza che resulta, da quanto Egli stesso espone, impossibile a trovarsi su quelle pendici. Noi che bene le conosciamo, e che sappiamo non esservi in linea retta altra distanza tra S. Felice, e Pracchia che quella di Kit. 8½ siamo ben persuasi della impossibilità di trovare ivi uno sviluppo tre volte maggiore, cioè di Kil. 24 senza affrontare difficoltà che l’arte deve a tuttocosto evitare.
Assicura poi il Sig. Cini di avere nello sviluppo della sua linea sul versante meridionale dell’Appennino, ottenuto curve il cui raggio minimo era metri 350, ma l’uno di noi che si è trovato assai volte, ed anche sui colli stessi nei quali quell’andamento si sviluppa, a tracciare sul terreno, ed a fare eseguire non poche curve, sà per prova quante, e quanto grandi siano le difficoltà che s’incontrano per ottenere raggi minori anche in pendici meno di quelle precipitose ed inflesse; per lo che non esitiamo a dire che curve tanto ampie, o vennero segnate a tavolino sulle mappe, sempre facili, e piane, o che se vennero segnate sul terreno doverono sgomentare l’Autore del progetto per le difficili, e costose sostruzioni, pei tagli prolungati, e profondissimi, pei molti ed estesi trafori che ad ottenere una spianata in quel modo disposta doveva riconoscere indispensabili. Lo stesso silenzio mantenuto da Lui sulle opere d’arte da eseguirsi nella sua linea, autorizza a credere che debbano riescire tali, quali spesso non è dato agli Ingegneri più arditi di proporre.
Giovandoci dei dati altimetrici riferiti dal Sig: Ing. Cini nella sua lodata memoria, abbiamo delineato nell’unita carta il profilo longitudinale dell’andamento da Esso proposto; e basta ad escluderlo la condizione imposta dalla prefata Commissione internazionale che stabiliva per massimo limite di pendenza 1/40 sempre però nei casi in cui venga riconosciuta inevitabile una così forte inclinazione11 Nella recente concessione che ha fatta il Piemonte per l’esecuzione degli studj della strada ferrata da Modane a Chambery per le valli dell’Arc, e dell’Isere vuole che le pendenze più forti non superino il 16, o il 19 per mille impiegandole il più raramente possibile. Tuttavia tollera le pendenze fino al 25 per mille 1/40 nei siti in cui il terreno offra grandi difficoltà, ma questi piani inclinati dal 20 al 25 per mille non potranno avere giammai una lunghezza maggiore di Kil. 5½.
Non sappiamo adunque vedere come lo sviluppo delta linea Pistojese possa sul versante meridionale dell’Appennino ridursi alle condizioni imposte dalla Eccelsa Commissione internazionale, e che trovano luminosa conferma nella suenunciata concessione del Piemonte per traversare terreni quanto i nostri scabrosi12 e per aprire una ferrovia quanto la nostra importante, sendo che per essa un giorno l’Italia sarà unita alla Francia, e alla Svizzera. Ma quando si riuscisse con lunghi giri, e risvolte, e con arditi lavori di sostruzioni, e gallerie secondarie, a raggiungere lo sviluppo occorrente, e ridurre le pendenze nel limite, ben grande peraltro, del 20 per mille 1/50, sarebbe sempre vero che da S. Felice a Pracchia non si dovrebbero contare metri 16,560 ma invece metri 23,895.50 aumentando di altrettanto la lunghezza totale da Pistoja a Bologna che diverrebbe perciò di Kil. 96. Che se poi le pendenze in così lunga acclività dovessero ridursi, come noi lo crediamo necessario, alla inclinazione conguagliata del 16 per mille, 1/52.60 la lunghezza da S. Felice a Pracchia sarebbe allora di metri 29,869 di maniera che l’aumento da farsi allo sviluppo di Kil. 16.560m, ottenuto dal Cini, sarebbe di Kil. 13.309m, e così la lunghezza totale da Pistoia a Bologna diverrebbe di Kil. 102. Ma è pur forza ripeterlo, se l’Ing. Cini educato a buoni studii, ricco di osservazioni, e distinto per l’alacrità del suo ingegno, non seppe trovare dopo molti, e repetuti tentativi che uno sviluppo di Kil. 16 per quelle rapide coste, chi potrà credere che esse permettano di estenderlo fino a Kil. 24, e più anche a quello quasi doppio di Kil. 29? Nessuno al certo, e meno di tutti noi che conosciamo palmo a palmo quelle scabrose vallate.
Raggiunta dalla linea Pistojese la valle del Reno in uno dei suoi più elevati tronchi, essa discende lungo quel fiume attraverso alle strette gole che le dirupate pendici ond’è fiancheggiato formano quasi continuamente fino al ponte della Venturina presso Porretta. Da Pracchia al confine presso Porretta la lunghezza è di Kil. 10, e desumendo dagli studii del Sig. Ing. Pohlmayer l’altezza sul mare di quel punto in metri 412, ne consegue che la perpendicolare da discendersi discendersi è di metri 101.41 il perchè il Sig. Cini avrebbe in quel tronco la non mite pendenza del 19.14 per mille in conguaglio. Ne il forte declive e il solo, e neppure il maggiore inconveniente cui soggiacerebbe la via ferrala tra le gole di quella valle aspra, e silvestra. Chi la conosce localmente, ed ha avuto occasione di tagliare vie roteabili in valli a quella molto prossime, e di configurazione presso che uguale, sà che per ottenervi una via ferrata convien fare una serie di trafori formanti nel loro complesso un terzo circa della lunghezza totale di quel tronco, sà che vi si richiederebbero non indifferenti sostruzioni, e sà che i torrentelli tributarii del Reno darebbero non lieve imbarazzo per oltrepassargli, e il più delle volte converrebbe sostenerli sopra la via con ponti-canali; sà che la strada sarebbe bene spesso ingombra, e guasta dai grossi massi che l’azione dei geli distacca dalla superficie delle superiori dirupate pendici; e sà infine che non godendo quasi mai nelle rigide stagioni il beneficio del sole, sarebbe la via coperta per molti mesi da nevi gelate, e dominata dalle nebbie, e dalle bufere: ecco come si presenta la valle del Reno in quell’elevato tronco: i luoghi son là per attestare ai più increduli che noi non esageriamo, basta visitargli, e non altro.
Dal confine di stato presso Porretta a Bologna convenghiamo di buon animo che la strada può condursi con più mite declive: ma quivi si manifesta l’instabilità del suolo derivante dagli ammassi d’argilla che compongono le pendici a destra, e a sinistra del fiume. Sono quei mattaioni grandemente alterati, e rigonfiabili per l’azione delle acque che gli pongono facilmente in muovimento per estensioni grandissime, sommovendogli a grandi profondità. Il celebre Prof. Venturoli pel suo rapporto sulla strada da Bologna a Porretta descrive maestrevolmente le difficoltà che la natura di quel terreno presenta a stabilirvi una semplice strada rotabile; ed il fatto ha pur troppo confermato luminosamente quelle dotte osservazioni, dacchè la provincia Bolognese non è mai riescita ad ottenere una stabile via, quantunque vi abbia erogato somme grandissime, ed abbia tentato or l’una, or l’altra sponda, traslocando la strada dalla destra alla sinistra del fiume, come tra il Sela, e Riola, e come pure voleva farsi altrove, dacchè le pendici da ambe le parti del Reno, e a piè del colle, e a mezza costa sono ugualmente intrattabili, e franose.
Ne si creda che il problema di formare ivi una via ferrata sarebbe sciolto completamente facendo precedere l’arginazione del fiume: questo temperamento precipuamente consigliato dal Prof. Venturoli è al certo tra i migliori che ad onta dell’eccessivo suo costo, possa proporsi. Gli argini infatti che robustissimi, ed in opera muraria esser dovrebbero, proteggendo il piede del monte dagli insulti del fiume darebbero modo di arrestarsi alle frane che da quegli dipendono; ma queste comechè numerose sono le meno estese ed imponenti. Là dove s’infiltrano nel monte le acque superiori, e ritenute dall’argilla ond’è formato, ringonfiano sì fattamente da acquistar forza di sommuoverlo, l’arginazione a piè del colle nulla gioverebbe ad arrestare quegli scoscendimenti, che disgraziatamente sono i più ragguardevoli, ed estesi. Non sfuggiva un tal fatto al preclaro Ingegner Venturoli che citando ad esempio il viadotto di Luggiola anticamente costrutto, il diceva migliore, e forse unico rimedio a tanta ruina: una serie di arcate interposte tra il fiume ed il monte proteggendo la strada dalle fiumane, e permettendo un facile scarico alle melme che precipitano dal colle, è mezzo adattate nol neghiamo, ed ottenere una via stabile tanto quanto possa essere concesso dalla natura del suolo. Ma chi non si spaventerà pel costo di viadotti così prolungati, e le cui fondazioni saranno dispendiosissime, e sempre incerte? Noi ameremmo che venisse risposto a questa domanda, veduti i luoghi, non poeticamente, ma col freddo, ed imperziale sguardo dell’Uomo d’Arte, come già gli vide il Prof. Veturoli; e come più tardi dovè vederli, portandovi le più serie considerazioni, l’illustre Ingegner Guasti, in unione al primo dei sottoscritti. Questi avendo avuto allora ripetuta occasione di studiare quei terreni, e di conferire coi meritissimi Ingegneri della provincia Bolognese ed in special modo con l’Ing. in capo Bernardi di onorata ricordanza, potrebbe addurre esempj quasi incredibili della forza che quei terreni dispiegano muovendosi, e degli effetti che producono, anche in quei minori scoscendimenti che il viandante non si sofferma nemmeno ad osservare. Ma ciò ne trarrebbe troppo in lungo, e altronde i meritissimi Componenti la Illustre Commissione internazionale non mancheranno a se stessi nella disamina di una questione, che i sinistri ripetutisi anco di recente sulla linea da Genova ed Alessandria presso Arquata in consimile terreno, mostrano quanto sia grave.
III
La linea da Prato a Bologna per Montepiano nelle valli di Bisenzio, e Setta fu preliminarmente studiata, come dicemmo, dall’Ing. Sig. Tommaso Bianchi che ideava traversare l’Appennino a cielo aperto. Ciò lo costringeva ad abbandonare il corso del Bisenzio poco sopra Prato presso S. Lucia, e quindi a mantenersi costantemente elevato nelle pendici a destra del fiume, circostanza che lo obbligava a degli arditi, e difficili lavori nelle superiori convalli della Trogola, del Bacuccio, del Fiumicello, ed altri. Il chiarissimo Ingegnere Prof. Giuseppe Pianigiani visitando quelle località poneva ogni studio nell’abbassare quella linea, intento che avrebbe raggiunto, se gli fosse stato consentilo di ammettere, sotto la vetta dell’Appennino una galleria bastantemente prolungata. Nel concetto peraltro del Sig. Bianchi la strada era esercitabile con locomotive tenendosi le pendenze nel limite del 15 a mille. Da altra parte il Sig. Ing. Babbaga tenevasi sul Bisenzio fino a Mercatale, e proseguiva poi per la Fiumenta fino oltre il villaggio di S. Quirico con lunghezza di Kil. 23.½: quivi trovandosi sotto l’Appennino staccava, come il Sig. Cini, due piani inclinati, e raggiungeva Montepiano mediante una galleria di metri 2,500. I piani inclinati riuscivano lunghi Kil. 6 ed avevano la pendenza dell’1/15.
Questi studii preliminarj mentre ci furono di grande soccorso nel formare una completa livellazione di quella linea stradale, non poterono farci divergere dai criterii tecnici che in quanto a quella noi ci eravamo formati. Favoriti dalla naturale disposizione della valle del Bisenzio che prima si prolunga per Kil. 21 fino a Mercatale sulla direzione di tramontana, e quindi piega verso ponente mantenendosi di moderate pendenze per altri Kil. 11 circa, 13 ritenemmo che si potesse tracciare la strada quasi sempre lungo il fiume con pendenze assai miti, e delle quali daremo a suo tempo discarico: ritenemmo pure che a minorare la lunghezza della strada da tracciarsi sulla mezza costa per elevarsi dal Bisenzio presso Luicciana al punto culminante, si dovesse ammettere una galleria lunga Kil. 4 riducendo così l’altezza di esso a soli metri 623 sul mare. La lunghezza della galleria non ci faceva ostacolo, perchè riesce in un terreno formato dall’Arenaria-macigno disposto a strati quasi verticali, e che vengono investiti presso che a squadra dall’asse stradale. Il medesimo Sig. Cini adduce le ragioni per le quali una galleria della lunghezza di 4 Kil. non può formare ostacolo, citandosi da Esso quella della Nerthe, ed altre, alle quali potrebbe aggiungersi quella di St. Quintin lunga 5 Kil. mentre l’Ing. Maus non esitava come accennammo in nota a proporne, sotto il Cenisio, una di Kil. 12 14.
Altronde un traforo in quelle elevate località assicura l’esercizio della strada nelle jemali stagioni quando per le nevi, e le bufere si renderebbe estremamente difficile; e finalmente portandosi a minore elevazione si risparmia una considerevole lunghezza sugli opposti versanti dell’Appennino, vantaggio rilevantissimo in pendici che esigono dispendiosi lavori, per condurvi la spianata nelle condizioni che per le vie ferrate si esigono.
Stabilite queste massime generali ottenemmo lo sviluppo di strada la cui altimetria viene riportata nell’annessa tavola, e che modificata a seconda delle circostanze con gli ulteriori studj soliti farsi prima di dar cominciamento ai lavori, crediamo assicurare a questa linea la superiorità sopra quante altre vennero poste finora in discussione. Infatti per la lunghezza di Kil. 22.253 da Prato al di sopra di Mercatale, raggiungendo l’elevazione di metri 280.78 sul mare, o metri 214.78 sopra la stazione della Strada ferrata Maria Antonia a Prato, la pendenza conguagliata è del 9.65 per mille, o l’1/104 non oltrepassando mai come massimo limite il 12 per mille. Dal di sopra di Mercatale al punto culminante dopo Montepiano la linea giovandosi della ripiegatura del fiume verso ponente fino a Luicciana, e della vallicella della Carigiola ha uno sviluppo di Kil. 26.657 raggiungendo il punto culminante a Rio secco dopo il confine di stato, al di là di Montepiano. La sua maggiore elevazione è, come sopra abbiamo accennato, di metri 623.71 sul mare, o metri 342.93 dal punto precedente poco superiore a Mercatale, e così ha in questo tratto la pendenza conguagliata del 13 a mille o l’1/77 non oltrepassando mai, come maggior limite il 15 a mille cioè l’1/66. Nell’insieme la lunghezza totale dell’acclività da Prato al punto culminante dopo Rio Fobbio confine di stato, è Kil. 48.910; il dislivello totale dalla Stazione di Prato a questo punto metri 557.71; e la pendenza conguagliata di tutta la salita della parte meridionale dell’Appennino dell’11.54 per mille, non superando mai, come dicemmo, il 15 a mille anche nei più ardui tronchi.
Oltrepassata la galleria principale della lunghezza di Kil. 4 scende la nostra traccia per breve tratto col torrente Setta, che abbandona per ripiegarsi mediante una galleria di 1 Kil. nell’ampio cratere del torrente Bresimone, passando poco al di sotto del notevole Castello di Castiglioni, tenendo quella facile, ed aperta pendice fino all’incontro dell’alveo del torrente, che traversa nelle vicinanze di S. Damiano per porsi sulla sua sinistra sponda, ed accompagnarne sempre, e da vicino il corso, finchè ritornata nella spaziosa valle della Setta, si sprolunga sugli aperti terreni situati a sinistra del fiume, e per questi raggiunge il Reno alla Madonna del Sasso, da dove traversato il fiume principale si protende sopra facile, e stabile suolo a Bologna.
Dall’egresso della galleria di Montepiano, alla Madonna del Sasso avendosi una perpendicolare di metri 498, e una lunghezza di Kil. 39 ne risulta una pendenza in conguaglio di tutta la discesa dalla parte settentrionale dell’Appennino del 12.80 per mille, o l’1/80. La lunghezza totale di questa linea da Prato a Bologna, facilmente esercitabile con locomotive è di Kil. 102. Ne qui sarà inutile il dire che questa verrebbe ridotta a soli Kil. 83.50 quando al di sopra di Mercatale volessero adottarsi due piani inclinati a macchine fisse da porsi in movimento con le acque della Setta, e della Fiumenta. Questi piani inclinati sarebbero della complessiva lunghezza di Kil. 7.531 colla pendenza del 46.57 a mille, o l’1/22 ardita sì ma sempre più mite di quella proposta per la linea Pistojese, che come è stato notato ha l’1/17.
Ed è anche da avvertirsi che senza ricorrere ai piani inclinati proposti dai Sigg. Cini, e Babbage basterebbe profittare per tratti di 4 a 5 Kil. di lunghezza della facoltà concessa dalla Eccelsa Commissione di adottare pendenze dell’1/40 per minorare la lunghezza, e per eliminare le maggiori difficoltà che come è naturale s’incontrano nel salire dal Bisenzio presso Luicciana al punto culminante dopo Rio Fobbio, e nello scendere da questo al Pian-di-Setta. Se ciò non facemmo nei nostri studj fu perchè non conoscevamo allora il limite di pendenze concesso, e perchè calcolavamo che dimostrata la possibilità di condurre la via con miti inclinazioni, ognuno sarebbe stato persuaso che si risparmierebbe lunghezza, e spesa, esagerandole.
È frattanto manifesto che la minor lunghezza della linea Pistojese non da altro dipende che dallo ammettere per Kil. 16.560 la pendenza del 28.85 per mille 1/35 (Vedi n. II pag. 8) e con lunghezza uguale alla nostra Kil. 102 da Pistoja a Bologna si avrebbe nullameno su quella direzione la pendenza del 16 a mille 1/6250 per salire l’Appennino, mentre l’inclinazione della nostra strada nel tratto corrispondente è soltanto dell’11.54 per mille. Or dunque se volesse ridursi al 16 per mille l’acclività della via in val di Bisenzio essa diverrebbe più breve di Kil. 14, e se potesse ridursi la linea della Val-d’Ombrone alla minor pendenza dell’11.54 per mille converrebbe prolungarla d’altrettanto. Insistiamo sul raffronto di queste cifre, comecchè possa riuscire arido, ed anche increscevole a qualche lettore, per dedurne la ineluttabile conseguenza che a parità d’inclinazione la nostra via offrirebbe il ragguardevole risparmio di Kil. 14 di lunghezza; e che a parità di lunghezza essa offrirebbe l’attenuamento del 4.46 per mille nella pendenza. Quegli che conoscono alcun poco le condizioni di costruzione, e d’esercizio delle vie ferrate comprenderanno tutta l’importanza di poter conseguire o l’uno, o l’altro di tali vantaggi; ma non sarà inutile dire che l’accorciamento di Kil. 14 porta oltre al risparmio di mezz’ora di cammino quello di un capitale di quattro milioni almeno di lire nella costruzione della via; mentre il menomare la pendenza del 4.46 per mille permette aumentare ogni treno di quattro a cinque vagoni carichi di viaggiatori, o di merci. Queste conseguenze tragghiamo dalle cifre altimetriche, ed esse bastano a confutare la speciosa dialettica di quegli che non vergognano discorrere sul serio di così grave questione, senza mai avere esplorata dall’imo al sommo l’una, e l’altra valle, e senza essersi giammai procurati dati altimetrici, se non con altro, con un Barometro almeno.
Il terreno sul quale deve formarsi la strada è solidissimo sopra tutto il versante meridionale dell’Appennino, ed anche sulla opposta pendice fino presso Castiglioni. A questo punto si trovano nuovamente gli ammassi argillosi, ma meno alterati e sommossi di quelli della Valle del Reno, in special modo sulla sinistra della Setta. Evvi dunque nei caratteri generali del terreno analogia con la linea Pistojese; ma non dubitiamo assicurare, che tanto sull’uno, quanto sull’altro versante dell’Appennino si riscontra nelle nostre valli una stabilità maggiore. Non ignoriamo essersi detto, e dirsi tuttora dai sostenitori della linea per Ombrone, e Reno, che quanto quell’andamento è inferiore al nostro sul fianco meridionale dell’Appennino, altrettanto è preferibile a settentrione, dacchè il primo entra nella maggior valle, quella del Reno, il secondo in una valle secondaria, quella cioè della Setta: così dissimulandole cuoprono le gravi difficoltà con un principio vero sempre, se bene applicato, assurdo se invocato male a proposito. La valle principale è, nessuno lo nega, necessariamente più ampia, e meno pendente confrontata tronco a tronco con quelle dei suoi influenti: ma ben altrimenti sarebbe quando si volesse confrontare il tronco superiore dell’una, cogli inferiori delle altre. Così la Setta dalla sua confluenza col Reno alla Madonna del Sasso fino alla foce del Bresimone a Pian-di-Setta, sarà alquanto più declive del Reno tra la Madonna stessa del Sasso, e il Ponte di Riola, ma corrisponderà al corso di questo tra Riola, e il Ponte della Venturina sopra Porretta; che anzi una Via ferrata si conduce molto meglio per quest’ultima della Setta, che non per la superiore del Reno. Dalla foce di Bresimone fino alla galleria di Montepiano, come dal Ponte della Venturina alla galleria di Pracchia, le due linee affrontano i più difficili, ed elevati tratti dei due fiumi, e qui convenghiamo di buon grado che sarebbe più facile risalire il Reno che non la Setta, se il Bresimone non presentasse modo di risalirne l’ultimo e poco declive tronco, sviluppando poi la via nell’ampio bacino che gli si dischiude tra Castiglione, e S. Damiano. Le tondeggianti, e facili pendici che dividono Bresimone da Setta permettono di ritornare su questa con largo giro, evitando i balzi sovraincombenti alle cadute tra le quali discendere raggiungendone il corso presso la galleria principale prima di Rio Fobbio. La nostra via scende così non per uno, ma per due corsi d’acqua, profittando dell’ampiezza del bacino che opportunamente le dischiude il secondo per togliersi dalle strettezze del primo. Al contrario la linea Pistojese da Pracchia al Ponte della Venturina è costretta a discendere per Kil. 10 lungo il corso del Reno che ivi non incontra influente alcuno d’importanza, e perciò anche nessun cratere alquanto esteso, pel quale possa svilupparsi la via attenuando la grave pendenza del 19.14 per mille, ed evitando alcuno del molti balzi che ivi s’incontrano. Non è adunque buon consiglio il fermarsi ad esaminare un solo corso d’acqua, ma convien guardare la disposizione generale del monte, e il modo di riunirsi dei diversi bacini, e questa disposizione della quale rende conto l’unita mappa planimetrica, siccome è favorevolissima alla nostra linea sul versante meridionale, così anche a settentrione offre facilità maggiori che non lungo quel primo solitario tronco del Reno.
Con ciò non intendiamo dire che il nostro andamento sia privo di ogni difficoltà, e chi potrebbe lusingarsi di evitarle tutte sugli Appennini? Anzi noi consideriamo il tronco dalla galleria di Montepiano a Pian-di-Setta per Kil. 18 come il più difficile di tutta la nostra linea, ma diciamo bene che tali difficoltà sono minori di quelle che s’incontrano da Pracchia al confine di Stato per Kil. 10. E diciamo di più che le difficoltà del nostro andamento possono essere attenuate al seguito di accurati, e ripetuti studii locali, perchè il largo svolgersi delle pendici tra Setta, e Bresimone permette tentare più di una traccia, e perchè potrebbe anche abbassarsi il punto culminante prolungando alquanto il traforo; mentre lungo il Reno l’angustia dei luoghi è tale che non sapremmo vedere mezzo alcuno di minorare le insigni difficoltà che presenta.
IV
Interesserebbe ora confrontare per sommi capi le opere d’arte che per queste due linee si richiedono. Eraci noto che lo sviluppo studiato dal Sig. Ing. Cini per salire da S. Felice a Pracchia richiedeva oltre alla principal galleria altri trafori di notevole lunghezza, e viadotti, e sostruzioni ragguardevoli; ma siccome vedemmo che la lunghezza di quello sviluppo deve essere portata da Kil. 16 ½ a Kil. 24 almeno, così non è possibile immaginare quali esser possano le opere d’arte che a ciò si richiederebbero; ma non possiamo errare dicendo, che esse esser debbono di una importanza, e di un costo straordinariamente grande, dacchè il Sig. Ing. Cini non solito invero a peccare di timidezza non seppe mai risolversi a proporle, quantunque conoscesse il bisogno di migliorare il suo andamento, e ne studiasse continuamente i modi.
Parlando ora dell’opere d’arte che occorrono sulla linea nostra diremo che nel primo tratto, cioè da Prato a Mercatale nessuna opera di riguardo s’incontra, poichè tenendosi la strada sempre nel basso della valle i due ponti occorrenti al di sotto della Briglia per passare, e ripassare il fiume possono essere eliminati, o variando opportunamente con gli studj definitivi le curve, o deviando di poco il fiume. In ogni modo peraltro la costruzione dei predetti due ponti non sarebbe dispendiosa essendo scoperte le roccie sulle quali occorre fondargli. Ne in questo tronco avendo il Bisenzio influenti di qualche importanza, occorrono mai ponti di luce maggiore ai metri 20. A superare le poche difficoltà che s’incontrano tra S. Lucia e la Briglia, presso Usella, ai Ponti di Colle, e prima della Dogana vecchia, in quei corti passaggi insomma nei quali il colle sembra troncato alla base dal fiume; ed ove le case e la via provinciale pongono in qualche angustia, bastano dei tagli alquanto profondi, o brevissimi trafori, od anche il deviare la strada provinciale, od il restringere opportunamente l’alveo del fiume. La costruzione più grande di questo tronco è il ponte sul Bisenzio prima di Mercatale che riesce di qualche elevazione sul fondo del Fiume; gli studii definitivi mostreranno ove convenga collocare quest’opera attenendosi al più stretto della valle onde minorare le costruzioni accessorie che dovranno farle seguito.
Osserveremo però che in tutto questo tronco abbondano i materiali da costruzione, le pietre da taglio, il calcareo riducibile a martello per i rivestimenti, la rena di ottima qualità, e la calce forte, e quasi idraulica della quale le fornaci ultime si trovano a Colle sulla nuova linea non molto lontane da Mercatale.
Nel secondo tronco da Mercatale al confine di stato dopo Montepiano occorre presso S. Quirico un ponte con accompagnamento murario per traversare la Fiumenta, e la vallicella in mezzo alla quale scorre, ma di elevazione ordinaria; e quindi un traforo di metri 800 per sottopassare la collina di Poggiole: quindi presso la confluenza della Carigiola nel Bisenzio un viadotto non molto esteso, ma assai elevato, essendo la sua maggiore altezza di metri 45.70. Con tale opera si raggiunge la destra del Bisenzio per la quale si risale fino al di sopra di Luicciana al fosso di Castello. Quivi si oltrepassa nuovamente il fiume Bisenzio traforando poi il colle di Luicciana che divide il fosso stesso dal Fiumicello, con un tunnel di metri 650.
Nella valle della Carigiola ove s’incontrano profonde solcature si rendono necessarj per traversarle alquanti viadotti, e tagli per porre la strada nelle condizioni dall’arte volute; ma la stabilità di quelle pendici, la regolare, e vantaggiosa stratificazione dei macigni che le compongono, infine i grandi blocchi resultanti dai tagli, offriranno modo ad uno esperto costruttore di traversare quelle solcature con lavori al tempo stesso solidi, e non troppo costosi. Al di sopra del Peraldaccio occorre un piccolo traforo per ottenere una curva di metri 400 di raggio per ripiegarsi sulla Carigiola volgendosi a Cavarzano. Sotto questo villaggio, tra quello cioè, e Gagnaia deve aprirsi altra galleria di metri 700 per portarsi sul poggio di Cavarzano, girato il quale la traccia va a porsi sulla bella pendice di Luciana, per la quale giunge al fosso dei Legnacci all’ingresso della galleria principale.
È questa senza dubbio l’opera più grandiosa che s’incontra in tutta la linea: ma se, come abbiamo detto, gallerie di oltre i 4 Kil. non hanno formato ostacolo anche in strade ferrate di minore importanza, niuno ostacolo può presentare in questa linea, ed in località ove la struttura del monte offre una regolarissima stratificazione dell’arenaria-macigno compatta, e di color sereno disposta a strati quasi verticali da intersecarsi a squadra con l’asse della linea stradale. Questa singolare stratificazione, oltre a render l’opera di una solidità, e sicurezza straordinaria, dispensa in gran parte dal rivestimento murario, notabilmente minorandone la spesa di costruzione, mentre la poca elevazione del terreno sovraincombente dopo Montepiano dando facilità di praticarvi frequenti, e poco profondi pezzi rende meno difficile, e più sollecita l’escavazione.
Le opere d’arte nel terreno Pontificio dal confine fino alta Madonna del Sasso, riescono immensamente minori non avendosi tra le costruzioni di qualche importanza che la galleria di un Kil. presso Castiglioni, e il ponte sul Reno alla Madonna del Sasso, quando gli studj definitivi non facciano entrare in questa categoria anche il passo del Rio di Vizzano, trovandosi poi di piccolissima importanza tutti gl’influenti della parte sinistra del Bresimone, e della Setta. Che se lungo questa s’incontrerà qualche instabilità di suolo, dovrà vincersi, noi neghiamo, coi mezzi stessi accennati per la Val-di-Reno, ma che fortunatamente rade volte, e a brevi tratti occorrerà impiegarli.
V
Ne ci limitammo alle sole valli delle quali abbiamo parlato fin qui, dacchè un diligente studio sopra ottime mappe topografiche, e più una attenta ispezione dei luoghi ci persuase che una direzione diversa in parte da quella suenunciata potevasi vantaggiosamente tentare. La stretta base del monte interposto fra il corso del Bisenzio, e quello della grande Limentra ne accertava della possibilità di passare dall’uno all’altra con un traforo non troppo prolungato, ed il lungo cammino della Limentra prima di Lentula, e l’ampiezza del suo letto, e i ciottoli che seco trae, ne indicavano aver essa ormai acquistato un declive tale da potersi facilmente discendere con una via ferrata. Non ci nascondevamo però che giunti a Riola sul fiume Reno avremmo dovuto affrontare le insigni difficoltà di quella Valle per Kil. 26 prima di giungere alla Madonna del Sasso; ma quantunque l’instabilità di quel terreno, non da noi veduto di volo, ma attentamente studiato, come sopra dicemmo ci inspirasse le più gravi apprensioni, dovevamo pure riflettere che gl’Ingegneri Cini, e Pohlmeyer non avevano esitato a proporvi una via ferrata. Può credersi è vero, che costretti come Essi erano di dirigersi a Pistoja, ne altra scelta avendo che quella di traversare così difficili luoghi sembrassero coraggiosi, mentre in realtà non fossero che stretti da dura necessità, ed ostentassero in quella posizione una fiducia che forse non avevano in cuore. Ma potrebbe anche essere che altri di noi più versato, ed esperto in arte conoscesse mezzi meno incerti, e dispendiosi per superare quelle difficoltà che noi sgomentano; e ciò pur fosse, che allora il problema di superare l’Appennino Toscano sarebbe così felicemente risoluto colla linea di Limentra da poter dire con verità scomparsa adatto la fatale barriera che divide il bel paese.
Ben volentieri adunque ammettiamo come ipotesi che il tronco del Reno compreso tra Riola, e la Madonna del Sasso (Kil. 26) non sgomenti per situarvi una via ferrata, poichè in tale ipotesi l’ultimo tronco della Grande Limentra segna naturalmente il modo di giungere al piede dell’Appennino di Gavigno presso Lentula, e questo traforato di condursi per Val-di-Bisenzio a Prato con sì facile modo che avrebbe per noi stessi dell’incredibile, se non ce ne facessero certi le esatte livellazioni, i cui resultati somministrano il profilo longitudinale che vedesi delineato nella annessa tavola. Quest’andamento muovendo dalla Stazione di Prato, si confonde con quello già descritto di Montepiano fino allo sbocco della Carigiola nel Bisenzio al di sopra di Mercatale e S. Quirico. Quivi tenendosi con minore acclività della linea di Montepiano, oltrepassa con più facile modo le inflessioni del terreno lungo la Carigiola, e raggiunge sopra Peraldaccio il piede dell’Appennino di Gavigno al mulino Piacenti senza mai usare pendenze superiori al 12 per mille. La lunghezza totale della salita si riduce così a Kil. 43, e la pendenza all’11.36 per mille stando sempre lungo il corso dei fiumi, e dispiegandosi con curve di un raggio non mai minore; ma ordinariamente maggiore di metri 400.
Il superare la subita inclinazione degli Appennini sul lato di mezzogiorno è stato sempre lo scoglio nel quale doverono urtare quanti hanno immaginato vie ferrate attraverso di quella montuosa catena, ma con questo andamento una tal difficoltà scomparisce meglio che non la elevazione del colle di Siena, superata dal benemerito Ingegnere Pianigiani con tanta lode, che la via da Esso condotta comparisce ai viandanti, ed è veramente mirabile.
Quanto al principale traforo, basta il già detto a dimostrare che la lunghezza di Kil. 4 non può sgomentare dopo le opere congeneri eseguite con esito fortunato. Il monte di Gavigno che noi sottopassiamo tra la foce del Tabernacolo, quella del Cattarello sulla base di soli Kil. 4 si eleva sul mulino Piacenti metri 480: può argomentarsi da ciò quanto grande ne sia l’inclinazione trasversale crescente sempre verso la sommità. Il sostenersi di quelle pendici sopra una inclinazione tanto forte, e quasi incredibile, mostra che solidissimo debbe essere il nucleo del monte, e che si continua nel suo interno la stratificazione quasi orizzontale di arenaria, e di schisto argilloso che si discopre sulle spolpate coste dei due opposti versanti. È l’arenaria non troppo serena, a grana grossa, ed assai facile al taglio; il galestro, o schisto argilloso di natura assai consistente per quella specie di roccie: sì l’uno che l’altra sono a strati, di una potenza ordinariamente non minore di un metro. Queste condizioni del terreno grandemente favoriscono l’escavazione di quel traforo per il quale pochi muramenti occorreranno non dovendosi temere per la di lui stabilità. Vogliamo però notare come la ripidità delle pendici, e l’altezza loro tolga il mezzo di aprire utilmente più di due pozzi, ne il lavoro potrà dividersi così che in soli tre tronchi; ma è bensì vero che oggi si attribuisce a questa circostanza minor valore che in addietro, non giovando i pozzi assai profondi che all’escavazione della piccola Galleria.
Pervenuti in Val-di-Limentra sulla destra, ed a piano del fiume si persiste su quella sponda fino dopo Lentula tanto da acquistare altezza bastante da portarsi sulla sinistra mediante un ponte: allora la traccia della via si distende per quella Valle di mite declive, e priva di tortuosità, ritornando sulla destra sponda prima di Riola, ove poi dovrà oltrepassare il Reno. La lunghezza della discesa da Lentula a Riola è di Kil. 19 e la pendenza conguagliata del 12.33 per mille.
Circa Kil. 4 al di sotto di Lentula cessa il terreno della Arenaria macigno, e ricompariscono gli ammassi argillosi, o mattajoni, essendo questo un carattere quasi generale della falda settentrionale dell’Appennino: egli è perciò che nella residua lunghezza di Kil. 15. c. s’incontrano alcune frane, non frequenti per altro, e molto meno estese di quelle della Val-di-Reno. Se dunque non avessero formato ostacolo i grandi sovvertimenti del suolo tra la Madonna del Sasso, e Riola, non sappiamo vedere perchè dovessero sgomentare le poche, e ristrette frane della Limentra, tanto più che le condizioni della valle ci sembrano permettere di arrestarle con men costosi lavori. E daltronde se da Riola si volesse proseguire verso Pistoja converrebbe incontrare fino al Ponte della Venturina sopra Porretta per Kil. 15 un terreno tanto instabile, che la via ordinaria a ruote non vi si è potuta stabilire neppure traslocandola con dispendio grandissimo dalla destra del fiume ove era prima costrutta alla sinistra di quello. Arroge che in quel tronco non mancherebbero strettezze e torrenti che richiederebbero opere d’arte ragguardevoli.
Vinta l’instabilità del suolo, la linea della Limentra offre un compenso ai superati pericoli colla facilità dello sviluppo e delle pendenze sugli opposti versanti dell’Appennino: col solo 12.33 a mille risale da Riola a Lentula per placida, e bella valle. A Lentula passa l’Appennino lasciandosi assai al di sopra dell’ingresso del Tunnel le viti che giungono fino al villaggio di Fossato. Esce sulla Carigiola in campi coltivati con viti, e nei quali vegeta rigoglioso il dolce fico; scende poi per Val di-Bisenzio a Prato nella facile, e bella maniera da noi esposta. Ma colla linea Pistojese, vinta l’instabilità del suolo dalla Madonna del Sasso al Ponte della Venturina (Kil. 41) non so ne avrebbe in compenso ne facilità di sviluppo, ne mitezza di pendenze, perché da questo Ponte a Pracchia si avrebbe per Kil. 10 la pendenza del 19.14 per mille traversando una valle aspra, e selvaggia, e quivi giunti a grande stento non si sa vedere come possa scendersi a Pistoja senza usare precipitose inclinazioni.
Concluderemo adunque con un dilemma, la cui verità è resa ormai manifesta. O la stabilità del suolo in Val-di-Reno è da evitarsi ad ogni costo, come a noi sembra prudente consiglio, ed allora è forza andare per la Setta. O la instabilità del suolo può vincersi fino a Riola, ed allora conviene andare per la Grande Limentra dacché gli studj fatti per quella superando le nostre medesime aspettative presentano tali facilità, e vantaggi che temeremmo non fossero creduti se non ci sentissimo in grado di garantirli per veri. La lunghezza totale della linea da Prato a Bologna per Limentra riesce di Kil. 102.750, e questa pure potrebbe minorarsi notevolmente risparmiando non lievi spese, introducendovi a brevi tratti pendenze del 20 per mille. Essa però si presterebbe come le altre ai piani inclinati esercitabili con macchine fisse poste in movimento dalle acque della Limentra, e della Carigiola, ed anzi non vi sarebbe motivo con questi di usare pendenze superiori al 20 per mille 1/33.
Giunti finalmente al termine dei nostri studj tecnici abbiamo avuto la sodisfazione di vedere che ci eravamo in generale attenuti al consiglio del più grande ingegno che l’Europa vanti in materia di Strade ferrate di approfittare cioè ove sia possibile dei corsi delle acque, e poiché a questo la disposizione generale delle Valli ci invitava, noi ci siamo studiati di secondare con l’arte le naturali condizioni; persuasi oramai dai fatti studj che nessuna altra località può come queste presentarle tali quali si richiedono al buono andamento di una strada ferrata.
VI
Ora di quanta importanza sia per riescire per l’Italia, e per l’Europa la linea che abbiamo studiata, e come sia necessario che riesca la migliore di quant’altre mai possano aprirsene attraverso la catena degli Appennini, lo mostrano, e il numero dello comunicazioni che apre, e la somma dei commercj ai quali si presta. Per questa principalissima arteria unita alle linee Piemontesi da una, e a quelle dell’Impero da altra parte, si apre l’Italia alla Europa, e prolungata alla volta di Roma, e Napoli fino all’estrema punta del Bel Paese a Otranto, o Brindisi schiude alle ricchezze dell’Asia, e dell’Indie per tutta Italia il cammino d’Europa. Ma nel lungo giro della Penisola nostra, niuna, o piccola difficoltà incontra il passaggio della via ferrata, tranne quella dell’Appennino interposto tra la Toscana, e le Legazioni Pontificie. Sta dunque nel modo di effettuare quel passaggio la buona, cattiva riescita di tutta la linea, poiché se fosse pericoloso, o difficile, certo è che i viaggiatori, e le merci d’oltremare diretti oltre le Alpi preferirebbero prender terra a Venezia, o a Genova, anziché a Brindisi, o Napoli, ad onta che il tempo, non lontano, fosse giunto nel quale questa gran linea venisse fino a quegli estremi punti protratta.
L’Italia che vede aprirsi alle macchine locomotive l’istmo di Suez può con tutto il fondamento sperare di essere un’altra volta emporio del commercio d’Oriente, ma perchè ciò avvenga è necessario che le strade destinate ad un traffico si vasto sieno il più possibile sgombre dalle difficoltà che potrebbero in qualsivoglia modo incepparlo. Ora è sull’Appennino che esse s’ incontrano, e colà gli Uomini d’Arte non da cieco egoismo guidati, ma dal sentimento del pubblico bene devono studiare di diminuirle, senza riguardo a voti di municipio, od a particolari interessi; ne a preconcetti con meschino pensiero acquistati. Abbiamo ben presente che la Storia registrerà i nomi loro, per commetterne ai posteri il severo ed imparziale giudizio.
Importa poi ai Governi impegnati nella garanzia del frutto dei capitali da erogarsi in questa grande opera che non solo su quella si eserciti il commercio d’oltremare, ma ben anche ogni altro che con diverso mezzo si compie ora fra l’uno Stato, e l’altro; e qui facendo in prima solenne protesta che siamo ben lontani dal pensiero di promuovere con le nostre parole gare fra l’una, e l’altra parte d’Italia, mostreremo quanto importi alla conservazione di un equo reparto degli attuali interessi, e più alla conservazione del porto di Livorno questa via, ora che la sua vicina, ed intraprendente Genova va ad insignorirsi del commercio del mediterraneo. E Livorno che i Medici fondavano per compensare Firenze dei sofferti danni; Livorno che è pure adesso prediletta cura dell’Augusto Principe, che intende con larghissimi provvedimenti ad ampliarne, e renderne securo il non felice porto 15 come potrebbe corrispondere alle sagge vedute di Chi gli diede vita, e di Chi gli ha procurato, e gli procura nuovo incremento, senza facili vie ferrate traversanti l’Appennino?
Sono scorsi più di due secoli dacché un malaugurato consiglio insinuato al Pontefice Clemente VIII fece perdere a Bologna il ricco commercio che faceva con la Germania, e col Levante, e per il quale era denominata la grassa per la speranza di trasportarlo a Ferrara; ma fallito l’intento per l’una, e perduta per sempre quella sorgente di ricchezza per l’altra, gli convenne aggirarsi in più piccola sfera rivolgendosi al mediterraneo, e particolarmente al porto di Livorno. Questo commercio che è pur sempre di grande importanza interessa ai Governi non che mantenerlo il favorirlo ed aumentarlo colla facilità della comunicazione, acciò possa tutto esercitarsi con minor dispendio, e con maggior prontezza sulla strada ferrata. Su questa come sovra ogni altra via ferrata i prezzi dei trasporti sono stabiliti in ragione della più o meno grande facilità d’esercizio, e le spese di esso aumentano in ragione delle pendenze, delle curve di raggio ristretto, delle nevi, dei geli, delle nebbie, e delle bufere che rendono difficile la corsa delle locomotive, delle terre, e dei massi che possono cadere sulla superficie della via, infine dei cedimenti del terreno sul quale è formata, così quanto più esse saranno forti, le tariffe saranno tanto più elevate, la probabilità di attirarvi le mercanzie minore, e maggiore per conseguenza l’annuo sacrifizio al quale anderanno sottoposti i Governi. Inoltre da Reggio di Modena, ove si diparte il tronco diretto all’oltre-Pò si misura una distanza presso che eguale a Genova, e a Livorno; ora se maggior facilità di transito offrisse la strada per Genova, sarebbe perduto per Livorno il vistoso commercio di quelle ricche Provincie, o la strada ferrata dell’Italia centrale anderebbe deserta, aumentandosi proporzionalmente il danno dei Governi interessati, e più particolarmente del Toscano, e del Pontificio. Ne questo, savio com’è, vorrebbe avventurare la sua linea in terreni per lungo tratto pericolosi, e mal fermi, poichè allora con la perdita certa degli interessi garantiti sopra un capitale difficilmente calcolabile, vedrebbe aumentare a dismisura le spese di mantenimento, alle quali nemmeno nei primordii potrebbe sopperire la Società concessionaria. Così la fortuna pubblica sarebbe non che menomata, dilapidata per quell’opera stessa dalla quale a buon dritto deve sperare incremento.
E d’ogni altro più grande sarebbe il danno della Toscana se questa linea si allontanasse sensibilmente da Firenze, perchè al danno del principale suo porto che è insieme la seconda città dello Stato, aggiungerebbesi quello della Capitale. Ora che fra le tante concessioni di vie ferrate in Toscana, la più savia e da poco emanata, quella cioè della Strada da Firenze ad Arezzo lungo la valle dell’Arno non può essere sfuggito al Governo che decretava la strada per Roma secondo la sua naturale direzione, che sovr’essa poggiava la somma degli interessi commerciali di tutta Italia. La via da Firenze a Roma per Arezzo non altro è che la continuazione della Centrale Italiana, il perchè questa deve a quella avvicinarsi quanto più si possa, ed in modo che la Capitale nostra sia centro delle Strade ferrate Toscane, e si trovi collocata nella gran rete italiana in quella vantaggiosa posizione che si addica a Lei che fu signora un giorno del maggior traffico d’Europa. Deve perciò con ogni mezzo procurarsi che presso le mura di Firenze congiunta la strada ferrata Leopolda alla Maria Antonia, e questa alla Aretina, avvenga ivi la divisione dei convogli diretti dall’Italia superiore al mediterraneo, e all’Italia inferiore, e viceversa. Questo utile, e necessario intento può raggiungersi conducendo in un punto vicino a Firenze la strada dell’Italia centrale, ne questo può essere altri che Prato siccome il più prossimo fra i due punti menzionati nel concordato che dette vita a questa grande opera: e come la stessa natura sembra aver voluto favorire la convenienza di accostarsi a Firenze, così non può essere impunemente alzata una bandiera contr’Essa, e disconoscerne i doni. Che se la strada fosse diretta a Pistoja, oltre le difficoltà d’esercizio per le forti pendenze, e per gli altri inconvenienti che abbiamo enumerati vi sarebbe il danno di tutta Toscana, e di tutto il centro della Penisola, perchè giunti senza verun risparmio di tempo, e di spese a Pistoja, non si vorrebbe certamente tornare a Firenze per andare a Livorno, ma si farebbe ogni sforzo per unire Pistoja alla Strada ferrata Leopolda a Empoli, o si vorrebbe almeno la congiunzione della ferrata Lucchese colla Leopolda a Pisa. Ma quando ciò si fosse ottenuto un altro, e non piccolo inceppamento graverebbe l’esercizio di questa gran linea, quello cioè di avere un solo binario da Pisa a Bologna ossia per la lunghezza di Kil. 164, e facile è immaginare quali i ritardi, e gli inconvenienti che accaderebbero in un tratto così lungo, e come impossibile sarebbe la frequenza delle partenze, e dei ritorni. Al contrario conducendosi a Prato può fino a Firenze raddoppiarsi la ruotaia sulla Maria Antonia la cui spianata, e le opere d’arte vennero, quasi prevedendo il suo miglior destino, predisposte a riceverla, e congiunta a Firenze colla Leopolda proseguirebbe per Livorno con strada sempre a doppio binario di guide.
E se anche un ultimo riflesso potesse avvalorare le nostre opinioni quello sarebbe di equità e giustizia nella distribuzione delle ricchezze che le vie di comunicazione apportano alle Città alle quali sono dirette. Alla città di Pistoja fanno capo due ottime strade che oltre Appennino conducono: non una per quella direzione si stacca dalla città di Prato: ma Pistoja è ricca per signorili fortune; Prato solo del commercio che in essa mantiene la vita; ond’è che una doppia ragione milita a favore di quest’ultima per essere direttamente unita all’alta Italia con la nuova strada che và ad aprirsi. È vero che fra le tante questioni che saranno poste in campo per la scelta della linea da seguirsi questa non sarà che l’ultima; pure anch’essa avrà un peso sopra giusta bilancia, che valuti quanto si debbe lo sviluppo manifatturiero, e sappia argomentare da quanto finora hanno con solerte intraprendenza operato i Pratesi, quello che favoriti da migliori comunicazioni, saranno per fare in quel giorno, non lontano forse, in che lo smercio delle manifatture nostre sarà oltre gli Appennini maggiormente favorito. Intanto la natura segna avventurosamente una via che riunisce alle pianure Lombarde, il centro delle manifatture, la Capitale, e il Porto Toscano, e voglia il cielo che niuno ardisca guastare unione sì bella!
E la stessa parte Pontificia delle valli del Bresimone, e Setta ricca di tutti i doni che natura comparte alle più favorite montagne, li vede inutili perire perchè priva di Strade che alla Capitale del suo Governo, ed alla propinqua Toscana l’uniscano. E se alla provincia Bolognese apparterrà la parte maggiore degli oneri ai quali per questa linea dovrà sobbarcarsi lo Stato, ragione, e giustizia, vogliono che sia per quella parte diretta dalla quale può sperarne un compenso maggiore. In quelle valli, e nelle nostre abbondano ottimi legnami da costruzione, pietre da taglio, marmi, e tutto il materiale che può rendere meno dispendiosa la costruzione, e il successivo mantenimento della strada. Ne manca la ricchezza di popolazione perchè in una zona di circa Kil. 3 dall’una, e l’altra parte di quei corsi d’acque vi si contano ogni Kil. quad. 131 abitanti sobrj, laboriosi, ed onesti; si gode ottima esposizione, e la generalità della linea è, quanto possa sperarsi sui monti, immune dalle nevi, e dalle bufere: si consegue mitezza di pendenze, spaziosità di terreni, cumulo tale insomma di vantaggi sulle nostre direzioni, quale la sola natura riunire poteva per favorire il tracciamento di una Strada ferrata attraverso gli Appennini.
Amore della cosa pubblica ci impegnava a dettare queste pagine: alla Eccelsa Commissione internazionale spetta il decidere così ardua questione: al pubblico imparziale il giudicarci.
Prato li 18 Settembre 1852.
ANTONIO GIULIANI
GIOVANNI CIARDI
Note
- ↑ Concordato stipulato in Roma il 1 Maggio 1851.
- ↑ Noi deplorammo quant’altri la perdita di questo egregio, e solerte Ingegnere; e se nel corso di questo scritto dovremo esternare opinioni diverse da quelle ch’Egli propugnava, ci affrettiamo a dichiarare che ciò non diminuisce punto la stima grandissima che a lui sempre professammo, e professiamo.
- ↑ Motuproprio del dì 9 Dicembre 1846.
- ↑ Decreto de’ 27 Dicembre 1849.
- ↑ Non abbiamo elementi per istituire confronti con altro andamento immaginato attraverso alle pendici Pistojesi dal Sig. Ing. Baldacci, ma non sappiamo vedere come possa evitare gli inconvenienti di un lungo sviluppo da cercarsi fuori di direzione ripiegandosi per coste grandemente inclinate, inconvenienti che dovremo notare parlando del Progetto Cini. Non crediamo poi doverci occupare di linee tracciate per valli diverse da quelle stabilite nella Notificazione dell’Eccelsa Commissione internazionale de’ 21 Novembre 1851; ma diremo soltanto che quando dovesse cercarsi a ponente della via dell’Italia centrale un altro varco alle locomotive sugli appennini lo offrirebbe assai facile, e bello il Val-di-Magra, e non già il Val-di-Serchio: Ciò forse il primo dei sottoscritti dimostrerà in altra circostanza.
- ↑ Ottenemmo dalla gentilezza degli Ingegneri della Via ferrata Maria Antonia l’altezza sul mare di quelle Stazioni, e la Pistojese si troverebbe più depressa di quanto dice il Sig. Cini. Ciò sussistendo si comprende come la già forte pendenza del 20 per mille adottata dal lodato Ingegnere pel primo tronco della sua via, dovrebbe rendersi anche maggiore, e come ne deriverebbe qualche imbarazzo nel girare attorno le mura di Pistoja ove il dislivello è pronunziatissimo, rendendosi anche difficile il porre in muovimento i treni, che incontrerebbero quasi subito una acclività tanto forte.
- ↑ Quantunque un tal resultato non sia vero come vedremo in appresso, pure convien credere che l’Autore avesse apportato il suo progetto un ultimo perfezionamento; poichè nella concessione ottenuta dal Governo Toscano nel 1846 si rileva, che le pendenze da Pistoja al confine presso Porretta variavano dall’1/37, 1/40, 1/49 come sta scritto nella Notificazione della R. Consulta, e della Direzione d’acque e strade de’ 22 Dicembre 1846 firmata Alessandro Manetti.
- ↑ A questo punto il Sig. Cini pone una nota per far sapere che sulla strada da Clarence a Hartlepool si hanno delle pendenze di 1/39, 1/35, e fino 1/32, e su quella di Birmingham a Cheltenham, la salita di Lickei ha l’inclinazione di 1/37 ⅔: ma tace delle lunghezze per le quali così insigni pendenze sono state introdotte.
- ↑ Noi convenghiamo col Sig. Cini intorno alla convenienza di estendere la lunghezza della galleria sotto la vetta degli Appennini, per evitare i gravi inconvenienti che Egli saviamente enumera, ma ci sorprende come non accenni punto le gravi difficoltà che s’incontrerebbero per sostenere alla voluta elevazione, e quasi in rettifilo il lungo piano inclinato da S. Felice all’ingresso della galleria; eppure noi crediamo che ad ottenerlo sarebbesi richiesto uno sforzo non punto comune dell’Arte.
- ↑ Piani inclinati di Scozia, Inghilterra e America
PAESE STRADE FERRATE PENDENZA LUNGHEZZA DI UN TRATTO Dundee & Newtyle 1/10 Metri 1073 Scozia idem 1/13 “ 1073 idem 1/26 “ 1609 Inghilterra Whitby e Pickering 1/13 “ 1609 America Alleghany a Filadelfia 1/14 6 “ 1207 Wales Taaf-Vale 1/20 “ 805 - ↑ Notificazione della Eccelsa Commissione internazionale de’ 21 Novembre 1851.
- ↑ Nel precedente tronco da Susa a Modane l’Ingegnere Maus si credè autorizzato delle difficoltà locali a proporre sotto il Cenisio un traforo lungo Kil. 12, e rese di pubblica ragione quel suo ardito, e bellissimo progetto, al quale aderirono i più celebri Ingegneri.
- ↑ In una carta idrografica della Toscana l’origine del Bisenzio è posta a Mercatale, convertendolo in fosso Trogola nel suo ripiegarsi a ponente fin sopra a Luicciana. Importa rettificare un errore così manifesto, e che noi vogliamo credere derivato da inavvertenza, anziché da assoluta ignoranza della disposizione di quei corsi d’acqua.
- ↑
PRINCIPALI GALLERIE ESCAVATE FIN QUI
Manchester a Sheffield metri 5529 St. Quentin “ 5000 Nerthe “ 4600 Blazy “ 4150 Pouilly “ 3300 - ↑ Vuolsi sapere da alcuno che i lavori proposti dall’Ingegnere Sig. Poirel, e che Egli stesso è incaricato dirigere, ascendono a non pochi milioni di lire.