Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1878 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu sonetti Incantesimo Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

Inverno Inide e il satiro
Questo testo fa parte della raccolta XIV. Da 'Iside'
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XXIII

INCANTESIMO

Magnis parva sonant: resonant et maxuma parvis:
mensque animusque favent et di portenta loquuutur.


La maga entro la rena
girò, cantando, l’orma :
con frasca di vermena
m’ha tócco in sull’occipite
5ed io mi veggio appena in questa forma.
Si picciolo mi fei
per arte della maga,
che in veritá potrei
nuotar sopra diáfane
10ale di scarabei per l’aura vaga.
O fili d’erba, io provo
un’allegria superba
d’essere altrui si novo,
si strano a me. Deh! fatemi,
15fatemi un po’ di covo, o fili d’erba.

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Minuscola formica
o ruchetta d’argento
sará mia dolce amica
nell’odoroso e picciolo
20nido che il sol nutrica e sfiora il vento.
E della curva luna
al freddo raggio, quando
nella selvetta bruna
le mille frasche armoniche
25si vanno ad una ad una addormentando;
e dentro gli arboscelli
si smorza la confusa
canzon de’ filinguelli,
e sotto i muschi e l’eriche
30l’anima dei ruscelli in sonno è chiusa;
noi, cinta in bianca vesta,
la piccioletta fata
vedrem dalla foresta
venir nei verdi ombracoli,
35di bianchi fior la testa incoronata.
E dormirem congiunti
sotto l’erbetta molle;
mentre alla luna i punti
toglie l’attento astrologo,
40e danzano i defunti in cima al colle.
I magi d’Asia han detto
che, quanto il corpo è meno,
piú vasto è l’intelletto,
e il mondo degli spiriti
45gli raggia piú perfetto e piú sereno.

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Infatti, io sento Tonde
cantar di lá dal mare,
odo stormir le fronde
di lá dal bosco; e un transito
50d’anime vagabonde il ciel mi pare
Da un calamo di veccia
qua un satirin germoglia,
da un pruno, a mo’ di freccia,
lá sbalza un’amadriade:
55è in parto ogni corteccia ed ogni foglia.
Lampane graziose
giran la verde stanza;
e, strani amanti e spose,
i gnomi e le mandragore
60coi gigli e con le rose escono in danza.
Del mondo ameno o tetro
coni’è che ai sensi tardi
mi piove il raggio e il metro?
e né cornetta acustica
65mi soccorre né vetro orecchi e sguardi?
Com’è che le mie colpe
non anco alTolmo e al pino
latra la iniqua volpe?
né il truculento mártoro
70mi succhiella le polpe a mattutino?
Sono un granel di pepe
non visto: ecco il mistero.
L’erba sul crin mi repe,
ed è minor che lucciola
75nell’ombra d’una siepe il mio pensiero.

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O fata bianca, come
un nevicato ramo,
dagli occhi e dalle chiome
piú bruni della tenebra,
80e dal soave nome in ch’io ti chiamo;
o Azzarelina, in pegno
dell’amor mio, ricevi
questo morente ingegno,
tu che puoi far continovi
85nel tuo magico regno i miei di brevi.
L’erbetta, ov’io m’ascondo,
so ch’è incantata anch’ella;
né vampa o furibondo
refolo o gel mortifica
90lo smeraldo giocondo in ch’è si bella.
So che, d’amor rapita,
in un perpetuo ballo
mi puoi mutar la vita
o su fra gli astri, o in nitide
95case di margherita e di corallo.
Sien acque, o stelle, o venti,
dove abitar degg’io,
per primo don m’assenti
il bacio tuo; per ultimo,
100dei rissosi viventi il pieno oblio.
Ascolta, Azzarelina:
la scienza è dolore,
la speranza è ruina,
la gloria è roseo nugolo,
105la bellezza è divina ombra d’un fiore.

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Cosí la vita è un forte
licor ch’ebbri ci rende,
un sonno alto è la morte;
e il mondo un gran fantasima
110che danza con la Sorte e il fine attende.
Vieni ed amiam. L’aurora
non spunta ancor; gli steli
ancor son curvi; ancora
il focherei di Venere
115malinconico infiora i glauchi cieli.
Vieni ed amiam. Chi vive,
naturalmente guada
alle tenarie rive:
ma chi è prigion nel circolo,
120che la tua man descrive, a ciò non bada.