In risaia/IV
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IV.
Nell’inverno, quando la Maddalena e la figliola stavano a filare nella stalla colle vicine, vi capitava qualche giovinotto, e fra gli altri vi capitava Gaudenzio, un carrettiere che faceva trasporti di calce, ghiaia e letame pei proprietari dei dintorni; e qualche volta comperava piccoli carichi di legna da ardere, e li rivendeva poi per suo conto al mercato di Novara.
Quel Gaudenzio era l’ammirazione di tutte le fanciulle del circondario.
“Sembra proprio un cittadino,” dicevano.
Ed ecco perchè la Nanna pensava e sognava gli spilloni d’argento.
Quando vedeva Gaudenzio camminare, colle mani in tasca, i gomiti indietro; respingendo una spalla poi l’altra, o piegandovi dietro la testa a misura che avanzava l’una poi l’altra gamba, la Nanna diceva tra sè:
“Ah! come cammina! Ecco; è così che debbono camminare i signori di Novara.”
Gaudenzio portava la capigliatura divisa sulla tempia sinistra, e rialzata sulla destra in un enorme ciuffo di setole, ritte come tanti pugnali che sfidassero il cielo. E proprio sulla discriminatura, posava un cappellino minuscolo, che non aveva la menoma proporzione colle dimensioni spropositate del suo capo e della zazzera. Lo schiacciava là, con un’estremità della tesa sull’orecchio sinistro, e l’altra ritta in su, in linea verticale. Era prodigioso che quel cappello stesse là sospeso tra cielo e terra. No; non c’era altri come Gaudenzio per sapersi vestire e farsi bello; la Nanna ne era profondamente convinta. E Gaudenzio poi! Si credeva affatto irresistibile. Si presentava nelle stalle dinanzi a gruppi di belle ragazze, con aria spavalda, dondolandosi sui fianchi, e sorridendo beatamente. E da tutta la persona s’indovinava la fatuità de’ suoi pensieri. “Eccomi qui, son bello eh! A voi! chi mi piglia? Mi vorreste tutte, nevvero?”
Ed ogni volta che volgeva il discorso ad una ragazza, il suo povero cervellino pensava:
“Ecco una fanciulla fortunata; ed eccone delle altre che la invidiano!”
E dire che era proprio così! Quelle donne amavano la spavalderia del Don Giovanni rusticano.
“Ah! se avessi l’argento!” sospirava La Nanna nel suo giovine cuore.
Ma, l’avesse pure avuto, Gaudenzio non era uomo da apprezzare la bellezza delicata di quella giovinetta. Il bello ideale era arabo o sanscrito per lui. Ammirava le spalle tarchiate, i fianchi sporgenti, le gambe grosse come colonne, i petti turgidi da squarciare il corsetto, le guancie infiammate.
“Che bel pezzo di donna!” esclamava quando vedeva qualcuna di quelle contadinotte massicce che scoppiano di salute. “Che petto! Che fianchi! Quella è ben piantata! Forte come un tronco! Bella donna, per bacco!”
E la Nanna, poveretta, che aveva una fede cieca nel gusto del carrettiere, desiderava quel petto spropositato, e quei fianchi volgari, guardava con rincrescimento la sua personcina snella, e sospirava umiliata, guardando le rotondità rosee ma appena lievemente ricolme del suo seno verginale.
Intanto però, il lungo riposo dell’inverno, lo stare continuamente rinchiusa al riparo dalle esalazioni malsane di quelle pianure, ed il freddo salutare che rinvigorisce l’appetito, riescirono a dare una floridezza tutta nuova alla persona della Nanna, che si vedeva, con gioia indicibile, arrotondata e colorita come non era stata mai.
Quell’anno il carnovale era lunghissimo; durò fino ai primi di marzo. L’ultima sera i giovinotti giunsero mascherati nella stalla, ed uno aveva la fisarmonica per far ballare.
Gaudenzio s’era fatto dei calzonacci alla turca colla vecchia gonnella d’una massaia, ed aveva attorcigliato intorno al capo uno scialle di lana a foggia di turbante. Aveva il volto coperto da una pezzuola. Ma lo riconobbero all’andatura, ed alla maniera meravigliosa di posare il turbante sull’orecchio.
Tutte le fanciulle gli furono intorno; ed avrebbero giurato sul Vangelo della parrocchia, che in tutta la Turchia non c’era un turco più bello di quello là.
La Nanna al vederlo ripensò con delizia che quel giorno il suo vestito da festa s’era trovato un po’ stretto all’altezza del seno, e si assicurò colla mano, che rimaneva proprio aperto un palmo sotto la pezzuola.
Lei pure si fece innanzi impettita a salutare il bel turco il quale le dimostrò la sua approvazione facendole danzare una polka, e le disse:
— Ora sì che va bene. Cominciate a mettervi un po’ di carne intorno. I vostri gomiti non pungono più, le gonnelle non vi cadono più dai fianchi.
Ma, dicendo soltanto questo per rispetto alla modestia, fissava gli occhi sulla pezzuola che le copriva l’apertura dell’abito sul petto.
— È tutta fatica de’ miei denti, rispose la Nanna con piglio indifferente. Ma quei commenti indiscreti sulla sua persona, sebbene la facessero arrossire come una fragola, scesero dolci nel suo cuore; le parvero note d’amore, e più e più volte se le ripetè nel pensiero, e ne fu inebbriata.