In risaia/III
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III.
Il tempo passò. La Nanna venne su grande, e si fece bella. Non aveva una robustezza esuberante; ma era sana e forte assai, per una fanciulla cresciuta in quelle pianure contornate da risaie, sepolte nei vapori malsani delle praterie.
Era magrina ma aggraziata; alta, con un visetto tondo, due occhi grigi larghi larghi, una boccuccia stretta; ed il labbro superiore troppo corto lasciava sempre scoperti i denti incisivi.
Aveva i capelli di quel biondo opaco, gialliccio, senza riflessi, che è generale nelle contadine, le quali bagnano il capo coll’acqua nel pettinarsi, e stanno esposte al sole. Ma erano folti, lunghi, e quando, la sera del sabato, la mamma glieli scioglieva per pettinarli, le facevano uno splendido mantello che le ricadeva fin sotto le ginocchia. E sebbene, a pettinatura compiuta, fossero stretti sulla nuca in due trecce serrate come corde, non si poteva a meno di notare che formavano un grosso volume, e che, disposti altrimenti ed altrimenti curati, sarebbero stati meravigliosi.
La carnagione era come i capelli. Avrebbe potuto essere bellissima. Era di natura bianca, liscia, fine; ma il sole e l’aria l’avevano abbrunita un pochino, di un bruno lieve e dorato.
Ad onta di questi nèi, però, la Nanna era bella, e certo non figurava male accanto alle altre fanciulle, perchè nessuna era più bianca e meglio bionda di lei. Le contadine dal volto fresco di latte e di rosa, e dalle chiome d’oro, sono roba da Arcadia.
Una sera d’inverno, mentre la famiglia radunata in cucina, stava cenando prima di andare nella stalla a veglia, la mamma disse:
— Ora la Nanna è una giovane da marito.
— Quanti anni ha? domandò il capo di casa, che, nella sua superiorità da uomo, non si curava di tenere il conto esatto di quei particolari.
— Ne ha due più di Pietro. Fate il vostro conto. Alla seminagione del riso saranno diciassette. Vi ricordate che quell’anno non ho potuto andar in risaia perchè ero nei quaranta giorni?
— Che cosa sono i quaranta giorni, mamma? domandò Pietro.
— I quaranta giorni sono... quaranta giorni! disse la Maddalena coll’aria furba di chi ha trovata una scappatoia ingegnosa; e soggiunse:
— Non si dovrebbe mai parlar di nulla davanti all’innocenza.
Così non c’era più pericolo che Pietro, a quattordici anni, non indovinasse che là sotto c’era un mistero. Poi riprese il discorso interrotto:
— Dicevo che la Nanna ha diciassette anni a momenti, e bisognerà comperarle gli spilloni d’argento. Questo carnovale potrebbe andare a marito; ma, se non ha l’argento in capo, nessun giovine si presenterà.
Questo era vero; quella brutta e fredda aureola di metallo, è l’armatura di cui si rivestono le fanciulle delle nostre campagne per entrare nella lizza amorosa. Vi sono parecchi uccelli che, all’epoca dei loro amori, si ricoprono di penne eccezionalmente splendide; le nostre contadine mettono gli spilloni nelle trecce; sono le loro penne d’amore.
Era vero; ma le annate non correvano buone. Gli orti rendevano pochino; l’affitto era gravoso, ed il proprietario metteva una esattezza desolante nel riscuoterlo.
La massaia sottopose alle savie riflessioni del marito questi due fatti indiscutibili:
1.° Che gli spilloni costavano almeno tre lire ciascuno; 2.° Che, per farne un bel giro, ce ne volevano ventiquattro.
— Settantadue lire! disse la Nanna che aveva già fatto e rifatto a sazietà quel conto sulle dieci dita, e, da circa un anno, si addormentava ogni sera verificandolo, poi lo sognava la notte.
— Settantadue lire! gridò Pietro al colmo della stupefazione. Ci sarebbe da comperare tre maialini e mezzo! e guardò con una specie di ammirazione quella sorella, che doveva portare tre maialini e mezzo intorno alle trecce bionde.
— Settantadue lire! sospirò la mamma chinando più e più volte il capo come per dire:
“Sì, è proprio questa somma enorme che ci occorrerebbe.”
E il babbo gemette anch’esso:
— Settantadue lire! Come si fa?
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