Il vicario di Wakefield/Capitolo quinto

Capitolo quinto

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Oliver Goldsmith - Il vicario di Wakefield (1766)
Traduzione dall'inglese di Giovanni Berchet (1856)
Capitolo quinto
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CAPITOLO QUINTO.


Nuovo e grande personaggio conosciuto. Le cose in cui si fondano le maggiori speranze per lo più riescono funestissime.

Poco discosto dalla casa il mio predecessore aveva eretto un sedile assiepato di spinalba e madreselva che faceanvi bell’ombra. Quivi nel silenzio della sera, quando il cielo era sereno, ci adunavamo a riposo a godervi di amena e vasta veduta; e quello ci serviva di tavoluccia da tè, che non era più per noi bevanda comunale; e le poche volte che ci veniva dato di berlo era una festa, perchè tutti affannosi noi avresti veduto apparecchiarlo con gran cerimonia. Allora i poveri piccini leggevano in vece nostra, ed avevano la loro tazza dopo di noi, e soventi volte le fanciulle per dare varietà allo spasso cantavano accompagnandosi colla chitarrina; e intanto ch’elleno formavano quel piccolo concento, io e mia moglie passeggiavamo a traverso l’orto fiorito di campanella turchina e di centaurea, con esultanza chiacchierando de’ nostri figliuoli, e godendo de’ venticelli che spiravano a un tempo armonia e salubrità. Per tal maniera appariva ogni [p. 34 modifica]stato della vita avere di che esser bello; e se il mattino ci richiamava al lavoro, ce ne ristorava poi sempre la sera largheggiando d’ilarità e d’ozio.

Un dì di festa, sul far dell’autunno, io aveva tratta la mia famiglia all’usato luogo ond’ella si trastullasse, perchè sempre considerai que’ giorni come sacri al riposo d’ogni fatica; e già le fanciulle cominciavano a strimpellare, quando presso a venti passi lungi da noi mi venne veduto un cerbiatto fuggire a tutta foga come inseguito da’ cacciatori. Appena avemmo tempo di por mente alla sciagura di quella povera bestia, che tosto ecco venirne a quella stessa volta i cani e la cavalleria a rompicollo. Io stava lì per ritirarmi in casa colla famiglia; ma, o curiosità che la fosse o maraviglia od altra ragione più segreta, ritenne al loro posto le donne. I cacciatori andando di tutta carriera ci oltrepassarono come un baleno seguiti da quattro o cinque pedoni del pari infuriati: un sol gentiluomo, di giovane aspetto e gentile, si appressò, mirandoci fissamente; ed anzichè proseguire la caccia, fece alto, e raccomandando il cavallo ad un servo che lo accompagnava, venne diritto a noi con una svogliata aria di maggioranza. Egli parve non abbisognare di introducimento, e si diresse con saluti alle mie figliuole come certo d’esserne ben accolto; ma elleno avevano di buon’ora imparato a leggere negli altrui visi la presunzione. Allora si fe conoscere per Thornhill, signore di quelle terre che per gran tratto ci circondavano, e con ciò di bel nuovo offerti i saluti alla brigata femminina, su cui molto poteva il titolo di ricco ed un bell’abito, egli non ebbe più ripulse. Per le di lui maniere facili quantunque superbette si accrebbe tra di noi la familiarità in modo, che avvedutosi degli istromenti di musica, pregò di favorirlo d’una canzoncina. A me non andava a genio un’amicizia cotanto disparata, ed accennai alle fanciulle di sottrarsi dal compiacerlo: ma con altro cenno mia moglie contrammandò il mio; e quelle cantarono con somma leggiadria un’aria [p. 35 modifica]favorita di Dryden, della quale il signor Thornhill parve soddisfattissimo. Posta poi mano egli stesso alla chitarra, vi suonò a malo modo qualche cosuccia; ma la fanciulla maggiore pagò con usura le di lui lodi, giurando che nè il di lei maestro valeva a trarre tanta armonia da quello strumento. Egli fece un inchino alla bella lodatrice, ed ella glielo contraccambiò cortesemente: e in lui l’intelletto, in lei il buon gusto a vicenda per loro furono encomiati così bene, che la pareva amicizia di un secolo. Gongolava la buona madre per lo contento, e si faceva bella di tanto onore, pregando il signor padrone a voler accettare un bichieretto di vino d’uva spina in di lei casa, e tutta la famiglia poneva opera in festeggiarlo e farsegli grata. Procurarono le fanciulle d’intrattenerlo con discorsi da loro creduti i più di moda; mentre per lo contrario Mosè gli propose una quistione o due intorno a cose antiche, per le quali ottenne finalmente di vedersi ridere in volto, attribuendo il gonzo sempre alla propria acutezza d’ingegno il ghigno con cui altri beffava la di lui semplicità. I piccini anch’eglino amorevolmente venivano accarezzando quell’ospite, aggrappandosegli sulle ginocchia con tanta confidenza, che a mala pena io poteva impedire che i loro diti sudiciotti non guastassero il gallone del di lui vestito cui non rifinivano mai di palpare, sollevandogli a ogni tratto gli orecchi delle tasche per vedere che ci fosse dentro. Al venire della sera, egli pigliò licenza, chiestaci prima la permissione di visitarci altre volte; a cui tostamente acconsentimmo, stante che egli era il nostro padrone.

Partito colui, ecco mia moglie chiamar a consiglio sull’avventura, affermando quella essere proprio delle più fortunate, e saper essa come ogni più strana cosa serve a qualche fine. Ella sperava che, traendone partito, il dì ancora verrebbe in cui si potesse rizzare il capo di bel nuovo; e conchiuse il cicaleccio con protestare ch’ella non sapeva vedere alcuna ragione, per cui le giovanette [p. 36 modifica]Wrinklers dovessero maritarsi a gente agiata, e non le di lei figliuole. Quest’ultima punta essendo a me balestrata, le risposi ch’io neppure sapeva indovinare alcun perchè, nè per qual diritto un uomo giocando al lotto ottiene il premio di dieci mila lire, mentre l’altro rimane colla sua polizza bianca a mani vuote. “Eppure,” io soggiungeva, “chiunque aspira a mariti al di sopra del proprio stato od al premio delle dieci mila lire nel giuoco, l’ottenga o no, sarà sempre per sì matta pretensione uno scimunito.” Ella allora mi accusò come avessi sempre una smania di attristar lei e le ragazze, ogni qual volta le vedeva di buon umore, con delle noiose canzoni; e rivoltasi a Sofia: “Che pensi tu,” le disse, “di quel signore? non ti pare egli di amabil tratto?” — “Davvero che sì,” rispose la fanciulla; “egli sa di tutto, e non gli muore mai la lingua in bocca: più l’argomento è secco, più egli pare condirlo di motti piacevoli; e bisogna dire ch’egli è proprio bello, e ciò importa più d’ogni altra cosa. Saltò in iscena anche Olivia dicendo: Oh! sì, com’uomo egli è abbastanza bello: ma se debbo confessarlo, e’ non mi quadra gran fatto per quella sua troppa impudenza e familiarità. Alla chitarra poi ti fa noia, non ne sapendo egli un ette.” Io interpretai a rovescio questi discorsi, e scopersi che Sofia in cuore lo disprezzava quanto l’ammirava Olivia; e volgendomi loro, dissi: “Qualunque sia il vostro parere, figliuole mie, a dirvela schietta, egli non mi ha volto l’animo interamente a favor suo. Le amicizie disparate vanno sempre a terminar male; e mi parve che con tutta quell’aria di affabilità da lui ostentata egli sentisse assai la distanza che passa tra lui e noi. Atteniamoci a compagnie di nostro pari; e siavi noto che non vi ha carattere più da sprezzarsi in tutto il mondo di quello d’un avventuriere: nè veggo ragione per cui non siano pure da abborrirsi le donne di tal fatta. Per quanto onesti fossero i di lui disegni, noi non ci guadagneremmo certo grande stima collo spingere tant’alto le nostre mire. Che se [p. 37 modifica]fossero tutt’altro, guai a me, mi cade l’animo al solo pensarvi; non ch’io abbia timore alcuno della saviezza delle mie fanciulle, ma bensì del carattere di quell’uomo.” — Io stava per proseguire, ma ne fui interrotto da un servo dello scudiere che ci recava i saluti del suo padrone con parte della cacciagione, promettendoci in di lui nome voler egli stesso venire a desinare con noi alcun dì appresso. Quel dono ebbe eloquenza per cattivarsi attenzione più di me; però mi tacqui, contento d’aver accennato alle zittelle il pericolo, e lasciando alla loro discrezione la cura d’evitarlo. Una virtù che abbia d’uopo d’essere tenuta in guardia eternamente, non merita neppure ch’altri la custodisca.