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capitolo terzo. | 33 |
perchè non istà bene il lusso a noi, cui mancano quasi i mezzi per sostenerci in decenza. Non so se neppure ai ricchi convengano tanti cincischi e frascherie, se si fa pensiero che la nudità del povero può essere vestita col risparmio di quelle bazzecole.”
Con questo dire ottenni quant’io bramava; ed elleno andarono di buona voglia a mutarsi tosto di panni; e il dì vegnente le vidi con piacere tagliare lo strascico alle loro vesti e farne de’ farsetti pe’ dì festivi a Ricciardetto e Guglielmino, i due piccini; e quell’accorciamento parve dar più grazia alle gonne.
CAPITOLO QUINTO.
Poco discosto dalla casa il mio predecessore aveva eretto un sedile assiepato di spinalba e madreselva che faceanvi bell’ombra. Quivi nel silenzio della sera, quando il cielo era sereno, ci adunavamo a riposo a godervi di amena e vasta veduta; e quello ci serviva di tavoluccia da tè, che non era più per noi bevanda comunale; e le poche volte che ci veniva dato di berlo era una festa, perchè tutti affannosi noi avresti veduto apparecchiarlo con gran cerimonia. Allora i poveri piccini leggevano in vece nostra, ed avevano la loro tazza dopo di noi, e soventi volte le fanciulle per dare varietà allo spasso cantavano accompagnandosi colla chitarrina; e intanto ch’elleno formavano quel piccolo concento, io e mia moglie passeggiavamo a traverso l’orto fiorito di campanella turchina e di centaurea, con esultanza chiacchierando de’ nostri figliuoli, e godendo de’ venticelli che spiravano a un tempo armonia e salubrità. Per tal maniera appariva ogni