Il vespaio stuzzicato/Al lettore
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Dario Varotari - Il vespaio stuzzicato (1671)
Al lettore
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AL
L E T T O R E.
P
erche mi son raccordato del precetto d’Ovidio: Quà vocans fluctus, hàc tibi remus eat, hò voluto scrivere nella mia lingua naturale, e materna, per diporto, e per genio. E, se tù volessi credere, che ciò havessi fatto per agevolarmi lo scrivere, non te la voglio far buona. Prima, perche la materia non può esser più malagevole; dovendosi pungere, che non dolga; anzi pur che diletti: e poi l’introdurre in questa lingua con famigliarità, e naturalezza di stile l’erudizioni, non può riuscir così facile, come forse te la vai imaginando: anzi (à mio credere) non v’è cosa più ardua del disporre le frasi, che mendicate non paiano: ne sò veder così pronti quegli artifizij, che si studiano di parer negligenze. Mi son compiacciuto di capitar finalmente alle stampe, così consigliato pur’anco da chi può darmi consiglio. Ma vorrai dirmi tù forse, che non deve alcuno del consiglio molto affidarsi; mentre hà la Fortuna anch’essa la sua ragione. Anch’io lo sò: ma che far si potrebbe? E viltà, se tù volgi alla Fortuna le spalle. E poi questo è un vizio commune.
Tenet insanabile multos- Scribendi cacoethes.
Multa sed solet trepidus detegere vultus,
E leggi frattanto, e, se puoi, compatisci. Avvertendo di non far capitale di quelle voci, che poeticamente usate, non possono cancellarmi il carattere di Christiano Cattolico; mentre mia ferma intenzione è di sempre vivere nel grembo di Santa Chiesa Romana. Vivi felice.