Il ventre di Napoli (1906)/Il ventre di Napoli (adesso)/Che fare?

Il ventre di Napoli (adesso) - Che fare?

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Il ventre di Napoli (adesso) - Le case del popolo L'anima di Napoli

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che fare?


Se io leggo giornali, opuscoli, libri che si occupino delle grandi questioni napoletane, se io seguo il movimento delle sue associazioni, se io noto i voti dei congressi, se io odo i lamenti degli albergatori, non veggo da tutto questo che una costante, nobile, ammirevole ed esclusiva preoccupazione di rendere gradito, sempre più, il soggiorno di Napoli, ai forestieri. Benissimo! Ottimamente! Tutti gli sforzi per attirarvi qui, oltre che per il fascino di un indescrivibile paesaggio, oltre che per la dolcezza di un clima soavissimo, per la civiltà e la grazia dell’ambiente, il grande mondo cosmopolita, che tante delizie trova, in inverno, al Cairo e a Nizza, tutti questi ese plari sforzi, fatti non [p. 126 modifica]solo per attirare, ma per trattenere qui, fra noi, la ricchissima ed elegantissima società internazionale, sono degni del più grande e più profondo incoraggiamento. Sì, formiamo il Rione della Beltà, ove, sulle sponde del mare, dal primo angolo di Santa Lucia Nova a Mergellina non sieno che belle case, floridi giardini, magnifici alberghi, botteghe di cose di arte: facciamo che queste vie sieno spazzate bene, due o tre volte al giorno, e che il lastricato non costituica un pericolo per le ossa dei forestieri: otteniamo che le carrozzelle sieno meno sgangherate, i cocchieri meno laceri e meno sporchi e, sovra tutto, meno avidi e screanzati coi forestieri: compiamo il miracolo di fare sparire i mendicanti schifosi, i venditori ambulanti odiosi, i fiorai petulanti e tanti altri individui anche più bassi, anche più equivoci da questo Rione della Beltà: e che i capitalisti costruiscano un kursaal a santa Lucia, aperto in inverno per gli stranieri e in estate per i provinciali: e altri capitalisti facciano un Palais de la jetée alla rotonda di via Caracciolo, bello e ricco come quello di Nizza: e vi sieno altre attrattive più larghe e più possenti, i cui progetti, noi lo sappiamo, fervono [p. 127 modifica]nella mente di coloro che amano Napoli: e, su tutto questo, si strombetti ai quattro venti della stampa dei due mondi, che la salubrità e la igiene di Napoli sono diventate di prim’ordine, il che è la verità, si strombetti che la sua mortalità è bassissima di fronte a quella di tante altre capitali europee e di Nizza e del Cairo, sovra tutto, il che è la santissima verità; si strombetti, poiché nessuno lo sa, all'estero, che la sua acqua di Serino è la migliore di tutte le acque europee, come è dichiarato in tutti i bollettini sanitarii, con l’analisi alla mano e che non vi è bisogno, quindi, di ricorrere, per gli stranieri, a tutte le acque minerali che bevono altrove, dalla Saint-Galmier all’Apollinaris, e che domandano anche qui, perchè ignorano il Serino: e in ogni maniera, in ogni forma, si raddoppii, si triplichi il movimento dei forestieri a Napoli, si renda loro il soggiorno cosi piacevole, qui, da trattenerli giorni e settimane, da imprimere nel loro animo, partendo, una nostalgia invincibile, in modo che, lontani, non potendo essi tornare, mandino da noi i loro parenti, i loro amici, le loro conoscenze. Questa è opera civile, questa è opera bella, anche se confini troppo con la reclame industriale, anche se abbia troppo l’ [p. 128 modifica]aria di una speculazione, anche se tenda a trasformare sempre più in un enorme Palace, tutta la Napoli che sale, laggiù, dal mare sino alle colline fiorite di Posillipo e del Vomero! Quel che si è fatto a Nizza e a Montecarlo ha formato la fortuna di tutta la Cornice da Mentone a Hyéres, quel che si è fatto al Cairo, ha formato la fortuna di tutto l’Egitto: sia, sia, questa opera buona, questa opera santa, e in questo paese così bello e così povero, così affascinante e così pieno di miseria, in questo paese così delizioso e dove si muore di fame, in questo paese dall’incanto indicibile, si dia alla industria del forestiere la forma larga, felice, fortunata, che porti, a Napoli, il solo modo di far vivere centinaia di migliaia di persone !

Ma si permetta a un’anima solitaria e ardente di passione, pel suo paese, come è la mia, di chiedere una parte di tutto questo, una povera piccola parte per migliorare le condizioni igieniche e morali del popolo napoletano. Non si chiedono milioni: poiché i milioni hanno fatto fiasco, [p. 129 modifica]nell’opera del Risanamento, e nessuno, naturalmente, vuol dare più milioni, quando i primi sono stati spesi male o perduti, per fatalità, quasi che una mano misteriosa perseguitasse questo buon popolo nostro.

Si chiedono, in nome di quel Dio giusto che volle fossero accolti tutti i poveri, nel suo nome, povero e vagabondo egli medesimo, sulla terra, che alla redenzione fisica e spirituale dei poveri un po’ di attenzione, un po’ di denaro, un po’ di cura sia dedicata da coloro che debbono e possono fare questo! Tutto deve esser fatto con modeste ma tenaci idee di bene, con semplici ma ostinati rimedii, con umili ma costanti intenzioni di giovare. Bando alla rettorica sociale, bando alla rettorica industriale, bando alla rettorica amministrativa, quella che viene dal Comune, la peggior rettorica perchè guasta quanto di pratico, di utile, di buono si potrebbe fare dagli edili nostri. Perchè dunque non si obbligano la società dei nuovi quartieri al Vasto, all’Arenacela, al Quartiere Orientale, di ridurre al minimo possibile le pigioni, in modo che le case fatte pel popolo siano abitate proprio da esso e non dalla piccola borghesia, in modo che, ogni stanza, non costi più di nove o dieci lire e [p. 130 modifica]non vi possano, per regolamento, stare più di due o tre persone, quando vi sono bimbi? Si tenti questo! E se ciò non basta, in tutte le nuove costruzioni, sia nei quartieri popolari, sia nei quartieri più aristocratici, perchè non si obbligano, con legge, con regolamento, ad avere un piano dei loro palazzi, l’ultimo, fatto in modo che gente del popolo vi possa abitare, avendo delle stanze, delle soffitte, ciò che si chiama il suppenno, che non costino, appunto, più di nove o dieci lire il mese, ogni stanza? E se qualche società ancora, qui, vuol costruire, sulle colline, o sulla spiaggia, verso ja ferrovia o verso il mare, perchè non la si obbliga , per legge, per regolamento, se vuole tal concessione, a costruire, al quarto, al quinto piano, tali stanze, a cui si accederebbe dalle scale di servizio? E nei conventi che il Municipio oramai, possiede, in gran numero, da cui sono state discacciate tante sventurate monache, perchè albergano solo dei grandi elettori o dei servitori di consiglieri comunali? Perchè, poiché le povere monacelle ne furono gittate fuori, alla strada, alla miseria e alla morte, non si fa una spesa, una santa spesa, per pulire, per restaurare, questi numerosi monasteri e non si affittano, quelle stanze,. [p. 131 modifica]diventate nette e salubri, al popolo napoletano? Un poco, un poco di questo denaro che dovrebbe servire , per chiamar qui gente, dall’Europa e dalle Americhe, pochissimo di questo denaro dedicarlo, saviamente, mitemente, ma costantemente, a creare delle case, modicissime, modestissime, non case, ma stanze, stanze per il popolo!

E qualcuno di quei vividi lampioni a gas che splendono nel Rione della Beltà, perchè non metterlo, laggiù, anche meno splendido, ma lampione, ma acceso, dietro il paravento, dietro i famosi palazzi del Rettifilo, alle cui spalle, nella notte, si ruba, si commettono infamie e si uccide, nelle tenebre profonde e paurose? Perchè non dare un poco di luce, proprio un poco, perchè non si possa più né rubare, né uccidere, almeno in alcune di quelle vie? Non è un dovere stretto, rigoroso, di qualunque municipio, di dare la luce, di sera, di notte, ai cittadini? Questo rigorosissimo dovere perchè non si compie, in favore del popolo napoletano, dai due lati del Rettifilo, da Porto a Pendino, a Mercato, a Vicaria? L’idea semplice: [p. 132 modifica]che lampione, o edili nostri! E di questa schietta limpida, fresca; spumante acqua di Serino, vanto di Napoli, salvazione di Napoli, lavacro interiore, lavacro esteriore, perchè laggiù, dietro il paravento, non vi è, pare, neanche la conduttura? Questo supremo benefìcio che tanto è costato, non era, non deve esser fatto solamente per il volto e per il ventricolo dei ricchi, forestieri o non forestieri, dei borghesi, piccoli o grandi, ma chi lo volle, questo beneficio profondo dell’acqua, lo volle sovra tutto, per il popolo e il popolo non lo ha, dietro il Rettifilo, non lo ha, o lo ha scarsissimo e beve e si lava nell’acqua verminosa dei pozzi e delle cisterne: e in un modo qualunque, provvisorio, semi provvisorio, definitivo, come meglio si può, bisogna darla, darla, questa buona acqua ai quartieri popolari e non servirsene solo per inaffiare la passeggiata di via Caracciolo! E qualcuno di quegli spazzini che dovrebbero rendere nitido come il cristallo il Rione della Beltà, dopo avere spazzato questo rione, discenda dove non è mai stato, dove non si spazza mai, e scrosti, tenti scrostare il sudiciume annoso, e trasporti via, oggi superficialmente, domani meglio, fra un mese completamente, i cumuli invecchiati e putridi d’ [p. 133 modifica]immondizie. Vi sia un piccolo, piccolo servizio di spazzamento, laggiù, appaia la scopa, appaia il carretto, si compia il dovere oscuro ma preciso di nettare le vie, alla meglio, come si può, ma in qualche modo, ma ogni giorno! E qualcuno di quei gloriosi militi municipali che debbono tener lontani i pezzenti, i mendicanti, i fiorai, per non seccare gli stranieri della Riviera e del Chiatamone, penetri, penetri laggiù, e applichi le leggi di polizia urbana, laggiù ove non vi è traccia di tutto questo, laggiù ove ognuno fa quello che vuole, perchè niuno s’incarica di fargli fare quello che deve! E i militi della questura non si occupino solo a vegliare nei quartieri aristocratici che i cocchieri non vessino i viaggiatori del Grand Hôtel e del Bertolini’s ma qualche milite di essi si occupi a impedire, possibilmente, il vizio, l’infamia e il delitto nei quartieri popolari, dietro il Rettifilo!

Che chiedo io, infine, per i miei fratelli del popolo napoletano, che chiedo io, come tutti quelli che hanno cuore e anima, salvo che finisca l’oblio [p. 134 modifica]e l’abbandono? Che chiedo io, in nome della eguaglianza umana e cristiana, salvo che il popolo di laggiù sia trattato come tutti gli altri cittadini, abbia una casa, abbia della luce, nella notte, dell’acqua, della nettezza, della sorveglianza, sia guardato e protetto contro sé stesso e contro gli altri? Che chiedo io, se non l’applicazione della legge umana e sociale, trattar quelli come si trattano gli altri, dar loro quello che spetta loro, come esseri viventi, come uomini, come cittadini di una grande città? Faccia il suo dovere, chiunque, non altro che il suo dovere, verso il popolo napoletano dei quattro grandi quartieri, faccia il suo dovere come lo fa, altrove, lo faccia con scrupolo, lo faccia con coscienza e, ogni giorno, lentamente, costantemente, si andrà verso la soluzione del grande problema, senza milioni, senza società, senza intraprese, ogni giorno si andrà migliorando, fino a che tutto sarà trasformato, miracolosamente, fra lo stupore di tutti, sol perchè chi doveva si è scosso dalla mancanza, dalla trascuranza, dall’inerzia , dall’ignavia e ha fatto quel che doveva.

Napoli, primavera 1904.